Con La stranezza, suo ultimo film Roberto Andò sembra voler indagare la dialettica tra reale e immaginario. Lo si può notare già dall’incipit; la trama, infatti, pone subito in risalto due situazioni, una di cronaca (il ritorno di Luigi Pirandello in Sicilia per onorare l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga) e una inventata (le difficoltà burocratiche incontrate da Pirandello per poter assistere all’inumazione della sua amata balia). A tutto questo si aggiunge poi la presenza di due bizzarri e rocamboleschi becchini (Ficarra e Picone), suoi accompagnatori per due giorni.
Quello di Roberto Andò è da tempo un cinema letterario, e non è un caso, forse, che ad un certo punto abbia deciso di avvicinarsi alla teoria del metateatro pirandelliano. Dalla stravaganza comica di Viva la libertà al rigore bressoniano di Confessioni, dal metalinguaggio di Una storia senza nome fino all’ultimo e drammatico Il bambino nascosto, i suoi film hanno sempre avuto come punto di riferimento questioni sociali e romanzi. All’interno della sua ormai ben nutrita filmografia (oltre un ventennio di lavoro) La stranezza è con ogni probabilità la sua opera più riuscita, e lo è nel momento in cui la scrittura riesce a trovare un efficace punto d’incontro tra il cinema d’autore e la commedia popolare.
L’incontro tra la commedia popolare e il cinema d’autore
Nel film le due realtà citate pocanzi arrivano a collidere partendo innanzitutto dai toni. Se da una parte essi guardano infatti ad un cinema impegnativo e rivolto ad un pubblico più smaliziato, dall’altra strizzano l’occhio ad una produzione più ironica e divertita (rappresentata significativamente dai personaggi interpretati da Salvatore Ficarra e Valentino Picone). L’inatteso e balzano incontro tra Tony Servillo e Ficarra e Picone trova quindi un accorpamento nella capacità di combinare questi due mondi narrativo-simbolici. Quando utilizzo la parola “simbolici” mi riferisco in particolare allo statuto di questi stessi attori, di cui il primo facente parte di una galleria densa di personaggi storici della cultura e della società italiana, e i secondi notoriamente legati alla commedia più popolare e ad elementi che talvolta potremmo definire “farseschi”.
La stranezza pone quindi a confronto due mondi, quello di Pirandello (che vaga pensieroso per le strade catanesi) e quello di Ficarra e Picone, becchini con la passione per il teatro che cercano di mettere in scena il loro spettacolo incrociando per puro caso lo scrittore siciliano, dando vita ad una sorta di metafora del tipo di film che lo spettatore sta osservando (un film dove si incontrano teatro serio e teatro farsesco). Tutto ciò calato nel contesto degli anni 20, all’interno di un momento storico che da una parte vedeva Pirandello dissestare il pensiero teatrale italiano, e dall’altra la prosecuzione di un filone della cultura popolare che ha le sue forme, il suo pubblico e la sua capacità di intuire gli elementi della realtà che li circondano.
Emblematica a tal proposito è la scena in cui i teatranti di Ficarra e Picone, attraverso la scrittura del regista, dimostrano di aver catturato i tipi e i personaggi della loro comunità con persone che dalla platea si riconoscono e si arrabbiano per essersi ritrovati nella rappresentazione di personaggi corrosivi. Si snoda così il tema della capacità teatrale di svelare forme di autenticità e di esplorare i nodi distorti o nascosti della società.
Toni Servillo e la maschera
A parere di chi scrive, l’ultimo film di Andò non può esimersi da un confronto con un’altra opera cinematografica avente come soggetto la dimensione teatrale italiana, ovvero Qui rido io (Mario Martone, 2021). Nel film del regista siciliano il Pirandello di Toni Servillo è alle prese con un’opera da lui stesso definita come una “stranezza” (che diverrà in seguito il dramma teatrale Sei personaggi in cerca di autore) mentre in quello di Martone interpreta un commediografo, Eduardo Scarpetta, concentrato sul parodiare un’opera teatrale impegnata (il dramma di Gabriele D’annunzio La figlia di Iorio).
In entrambi i casi, ciò a cui si assiste è la rappresentazione di un’importante porzione della cultura proto-letteraria novecentesca, all’interno della quale viene costruita un’oscillazione tra sacro e profano, tra serio e faceto, tra comico e poetico. Dal punto di vista iconografico vi è però un ribaltamento di senso, se Servillo infatti, da una parte, interpretava un guitto appassionato di comicità assoluta che inseriva la maschera all’interno della vita reale, dall’altra dà forma ad un Pirandello meditabondo, concentrandosi su una recitazione che è l’esatto opposto di quella scarpettiana di Martone, lavorando in sottrazione piuttosto che in addizione.
Nelle numerose pellicole da lui interpretate, l’aspetto istrionico ed esibizionista delle sue performance risulta funzionale all’individuazione degli aspetti contradditori e tragicomici di un’umanità allo sbando. Basti pensare al Giulio Andreotti sorrentiniano de Il divo, personaggio totalmente iperbolico e figurale, costruttivamente asfissiante; oppure, sempre di Sorrentino, al dittico Loro, opera nella quale la maschera di Servillo-Berlusconi serviva non solo ad inquadrare un personaggio di per sè già difficilmente scindibile dalla sua immagine ma diventa anche una sorta di rielaborazione buffonesca e, in qualche misura, “archetipica” di un’idea di berlusconismo che si riflette in quasi tutti i personaggi del film. Il Berlusconi di Servillo balla, canta, parla in napoletano e fa l’imbonitore, acquisendo man mano consapevolezza della sua impossibilità di uscire dalla finzione.
Idee della rappresentazione e creatività
Ne La stranezza, forte anche di una sceneggiatura estremamente intelligente e consapevole (Massimo Gaudioso ha partecipato, tra le molte cose, alla scrittura di quasi tutti i film di Matteo Garrone e di alcuni film di Daniele Ciprì) Daniele Andò utilizza i personaggi di Pirandello e dei due becchini per esplicitare il concetto di maschera e riflettere sullo statuto dell’arte tutta. Qui, allora, Servillo sembra volersi spogliare del suo approccio “brechtiano” al personaggio per porvisi a distanza critica. il Pirandello di Servillo non sembra voler avere intenzione di costituirsi come maschera, ma pare voler guardare ad essa come elemento creativo capace di esorcizzare le turbe psichiche dell’individuo. Qui si innesta, dunque, la riflessione sul rapporto tra immaginario e reale e su come l’arte si inserisca all’interno di questi due poli. Il vero interesse di quest’opera non è, più banalmente, di costruire un metafilm sul metateatro, ma di analizzare i problemi creativi facenti parte di due idee rappresentative opposte.
Nel caso del personaggio interpretato da Picone, le difficoltà nel cercare di realizzare uno spettacolo drammatico, nel caso di Pirandello le difficoltà nel partorire un copione valido attraverso il quale dar vita ai personaggi che infestano la sua mente e che sono, appunto, in cerca di un autore. Il concetto di “autore”, quindi, viene messo in crisi, assumendo addirittura connotazioni fantasmatiche. Il teatro popolare di Onofrio e Sebastiano non ha difatti un vero autore (i loro spettacoli prendono spesso pieghe a sè, specie quando Ficarra si esibisce in improvvisazioni) e i personaggi della mente di Pirandello non trovano un padre che gli dia casa.
La stranezza si costruisce quindi principalmente su un meccanismo di assenza e presenza, sottolineato anche dai continui vagabondaggi di Servillo, sempre intento a non farsi notare, rimanendo quindi ai margini del quadro (proprio come un fantasma).
La scissione dell’io alla quale egli andrà incontro nel film (che trova forma nelle continue visioni di personaggi) diviene quindi la sintesi profonda della crisi che lo attraversa, anche specchio di una crisi generale nell’ambito dell’idea di “autore” all’inizio della letteratura novecentesca.
La messa in crisi della realtà
“Tu ci hai tolto da sotto i piedi la realtà che avevamo faticosamente costruito”
È questa la frase detta da Giovanni Verga a Pirandello in occasione del loro incontro. Il verismo, infatti (corrente letteraria affermatasi nel corso dell’Ottocento grazie allo stesso Verga) compiva un’operazione antiletteraria di discesa all’interno della realtà piuttosto che distanziarsene. L’affermazione di Verga, nel film, diventa quindi sintesi di tutto il processo messo in atto da Pirandello, ovvero rinunciare al verismo per farsi ispirare dal teatro popolare (il fascino suscitatogli dagli spettacoli di Onofrio e Sebastiano, ai quali il drammaturgo non riesce a rinunciare) per arrivare infine ad una rarefazione di pensiero tradottasi in una visione quasi nichilista, dove letteratura e realtà non hanno più senso.
Una delle ultime scene de La stranezza vede infatti i personaggi interpretati da Ficarra e Picone andare alla prima di Sei personaggi in cerca di autore, rimanerne affascinati ma non riuscire a comprenderlo, mentre il resto della sala si pronuncia chiassosamente in insulti ed elogi. E’ qui che allora il film raggiunge la sua catarsi, nel momento in cui, dopo che teatro borghese e popolare si sono vicendevolmente influenzati, la voce di Pirandello irrompe prepotentemente scatenando il caos. Per l’arte è un momento rivoluzionario.