È il 1899 quando Sigmund Freud pubblica per la prima volta il suo scritto Interpretazione dei sogni: da quel momento, il mondo della cultura subì uno stravolgimento irreversibile. Il padre della psicoanalisi scriverà nei suoi saggi della fitta stratificazione dell’essere umano, in cui risiedono desideri reconditi, pulsioni represse, traumi infantili, sogni e incubi che sono “contenuto manifesto” dell’inconscio. Quest’analisi della psiche investì le certezze dell’uomo di una luce nuova: finalmente si sarebbe cominciato a parlare di psicoanalisi come cura delle inquietudini dell’animo.
Quarantasei anni dopo, esce il film Spellbound ( in italiano “Io ti salverò”), diretto da Alfred Hitchcock, che nel 1945 partecipa, come altri artisti e letterati di quel tempo, alla rappresentazione artistica delle nuove teorie psicoanalitiche che avrebbero cambiato per sempre la prospettiva dell’arte, della letteratura e il loro processo creativo. Con quest’opera, il maestro del brivido decide di cimentarsi in un’impresa non da poco: mettere su pellicola le caratteristiche principali della psicoanalisi e i suoi risvolti straordinariamente inquietanti.
Hitchcock e l’intuizione geniale
A primo impatto, ciò che colpisce di piú del film è, sicuramente, la struttura narrativa che, a discapito di quanto si possa pensare, è molto simile ad una tipica narrazione freudiana presente in qualsiasi suo scritto, in cui lo psicoanalista viennese racconta dei casi analizzati come un vero e proprio narratore.
A riconoscere la sottile linea, in realtà quasi invisibile, che fa congiungere il Freud narratore con quello psicoanalista fu James Hillman, psicoanalista e filosofo che nel suo saggio Le storie che curano (Healing stories) fa notare come lo stesso Freud avesse un’inclinazione naturale per la narrazione. Quello che emerge dalle opere freudiane, secondo Hillman, è una struttura fissa e precisa di presentazione dei casi in cui ci sono regressioni nello sviluppo del paziente, resistenze, momenti critici, in cui il mistero corrisponde alla rimozione di ricordi. una storia completa, senza “buchi di trama”, è sinonimo di consapevolezza e guarigione se la si sa raccontare e, soprattutto, se la si guarda da una prospettiva completa del caso.
Nonostante la teoria di Hillman, che risale agli inizi degli anni Ottanta, Alfred Hitchcock scorge in modo geniale e quaranta anni prima, quello che solo dopo fu razionalizzato: l’esposizione dei casi di Freud è una sorta di narrazione strutturata e intrecciata, adatta quindi ad una trasposizione su pellicola. Infatti, nel suo saggio, Hillman accosta il modo narrativo con cui si raccontano i casi clinici ad un’indagine poliziesca in pieno stile Sherlock Holmes, dove tutti gli episodi nella terapia non vengono narrati come se fossero già risolti: si scava a fondo, ci si interroga, si sbaglia strada, si cambia approccio, tutte azioni che in Io ti salverò sono presenti in modo scandito e sono propedeutiche allo sviluppo labirintico della trama.
L’impatto della psicoanalisi su Hitchcock
Come si può vedere nella pellicola, Hitchcock pone l’attenzione sulla fruibilità di alcuni concetti e capisaldi psicoanalitici, rendendoli comprensibili al pubblico attraverso l’inserimento di dialoghi didascalici che evidenziano alcuni meccanismi della psiche teorizzati dallo stesso Freud. Partendo dalle sue teorie citate nelle battute, come quella della sessualità infantile, il complesso di Edipo, la teoria della sublimazione fino alla definizione di resistenza in campo psicoterapeutico, si nota come Hitchcock voglia coinvolgere lo spettatore in modo attivo nella conoscenza della psicoanalisi, affinchè anche un fruitore qualsiasi possa comprendere l’importanza e lo scopo dell’introspezione psicologica.
Dr. Brulov: «L’uomo sovente si rifiuta di scoprire la verità su se stesso perché ha paura di soffrire troppo e, invece, cercando di dimenticarsene, ne soffre maggiormente».
Anche la caratterizzazione dei personaggi è frutto di ciò che Freud scrisse nelle sue opere. Basti pensare al modo con cui HItchcock rappresenta il personaggio interpretato da Edward Fielding, reincarnato nel tipico paziente affetto da nevrosi che degenera in pura isteria. Le cause del malessere del personaggio sono a lui sconosciute e rimosse dalla sua stessa psiche, eccetto ricordi vaghi e indefiniti che gli sovvengono ancora. Le patologie che presenta Edwardes trovano il loro significato nell’interpretazione dei sogni.
Il contenuto onirico è fondamentale nel film poiché, proprio come nei numerosi casi clinici di Freud, reminiscenze e sogni sono indizi di una verità inconscia ben più grande di quella che pensiamo, ma che si svela solo volta per volta per lasciare la giusta suspense allo spettatore, come se egli dovesse seguire man mano i processi, i ragionamenti e le varie strade da percorrere per giungere alla comprensione dei simboli onirici. Sempre in Edwardes, anche il tema del trauma trova spazio nella sua psiche, quando realizza che è disturbato dal ricordo dell’involontaria uccisione del fratello durante la tenera età, momento della vita dove, secondo Freud, inizia a costruirsi il nostro carattere.
«I nostri pazienti isterici soffrono di reminiscenze. I loro sintomi sono i residui e simboli mnestici di certe esperienze traumatiche»
(Sigmund Freud, La psicoanalisi in cinque conferenze,1910)
Inoltre, se si fa particolare attenzione, si può notare che anche lo stesso dottor Brulov viene rappresentato con tratti somatici che richiamano esteticamente Freud, non solo nel modo di esprimersi o nei concetti enunciati, quasi con l’intenzione di omaggiare l’estetica, ormai iconica dello psicoanalista dalla barba bianca, anziano, ondivago, curioso e sempre in cerca di nuovi casi da analizzare con fervore.
Se, da una parte, nella pellicola ci sono scene che ci possono sembrare stereotipate, dall’altra non dovremmo meravigliarci, dato che nel 1945 il mondo aveva come unico famoso punto di riferimento la figura di Freud anche a livello iconografico.
Hitchcock, dunque, apre il suo racconto con un prologo, dove presenta in modo chiaro e concreto le intenzioni dell’opera e del suo contenuto, comunicando già allo spettatore di cosa si parlerà e perchè se ne parlerà tramite una scritta a schermo che recita «la nostra storia riguarda la psicoanalisi, il metodo con cui la scienza moderna tratta i problemi emotivi»
I protagonisti saranno il presunto Dottor Anthony Edwardes (interpretato da Edward Fielding), che arriva in qualità di primario nella clinica psichiatrica, dove opera la psichiatra Constance Petersen. Quest’ultima, tenterà di svelare e riconoscere le inquietudini che albergano nell’animo del Dottor Anthony Edwardes quando scoprirà che, in realtà, quel nome cela un’altra identità, poiché vittima di un presunto stato di amnesia.
Da questo punto in poi dell’opera, subentra la suspense che lo stesso Freud usava per narrare i casi clinici opachi e misteriosi. Lo stato di smarrimento sarà, poi, sintomo del presagio del dottore di aver ucciso il vero primario di psichiatria, aprendo così l’indagine psicologica da parte di Petersen nella mente del presunto assassino e futuro suo amante. Il paziente, confuso, della sua vecchia identità ricorderà solo le iniziali “J.B.”. Questo unico indizio apre una pista da seguire, ma senza nessuna certezza. L’unica cosa sicura è che il metodo psicoanalitico potrà far luce sul caso.
Dopo vari tentativi di far riemergere i ricordi sublimati nell’ inconscio del Dottor Edwardes grazie alle associazioni libere, la dottoressa Petersen è ciecamente convinta che il suo paziente sia innocente, sensazione condizionata anche dallo spassionato amore che lei ormai prova per lui, prova di come l’analisi, alcune volte, potrebbe abbattere il muro tra paziente e terapeuta (ciò che Freud aveva definito “transfert”). Sarà proprio il sentimento e la determinazione della dottoressa che, dopo un lungo viaggio di fuga dalle autorità, porterà i due protagonisti a trovarsi nella casa di Alexander Brulov (Michail Čechov), analista e mentore alla stessa Petersen. Successivamente, il dottore, abbastanza sicuro delle proprie teorie, analizza il sogno ricorrente del paziente per fare chiarezza sui turbamenti del paziente. Questo passaggio, come negli esempi riportati da Freud nell’Interpretazione dei sogni, rappresenta un momento di massima suspance, dove passato e presente del paziente hanno un nuovo volto, un nuovo significato.
Mentre il Dottor Edwardes racconta il sogno, si fa spazio una rappresentazione onirica attraverso una scenografia prodotta da Salvador Dalí, pittore surrealista per eccellenza, scelto per dare una rappresentazione accurata del mondo onirico [in questo articolo abbiamo approfondito l’importanza di questa sequenza]. Il sogno si rivela fondamentale per indagare ancora più a fondo sul delitto, ma l’interpretazione non è facile, poiché sopravvengono simboli e figure poco decifrabili ai profani dell’analisi; nonostante le difficoltà, sarà l’analisi onirica a rivelare la verità che si cela dietro il caso di omicidio, fornendo una soluzione a ciò che poteva sembrare rimasto vagamente in sospeso.
In sostanza, forma e contenuto narrativo del film sono stati ispirati a quel “narratore inconsapevole” che fu il padre della psicoanalisi nella sua epoca, rendendo Io ti salverò l’esempio paradigmatico di una cultura rinnovata, con nuovi stimoli che provengono dai meandri della nostra psiche e non più dal mondo che ci circonda. Non solo Hitchcock ci ha voluto raccontare che cosa può succedere quando si viene a contatto con l’introspezione psicologica, ma anche che ci si può fare un film a riguardo, complesso, commovente, inquietante, spiazzante, senza trascendere nel banale, come solo lui avrebbe potuto fare.