La forma e il contenuto dei film di Wong Kar-wai sono un sublime saggio sulla complessa e conflittuale relazione tra noi e il tempo. Poiché è nel tempo che le nostre vite si dispiegano, il regista di Hong Kong sembra comunicarci che esso è il fattore definitivo.
Ragioni, passioni, compagnia e isolamento, realtà e fantasia: tutti i vissuti che sperimentiamo trovano un senso perché è il tempo a chiarirlo. Le situazioni narrate dai film del regista di Hong Kong sono surreali perché quotidiane, e nella loro normalità dimostrano le sfumature di contatto tra realtà oggettiva e soggettiva.
Senza esagerare le tematiche che affronta, Wong Kar-wai è l’acrobata sul filo che gioca con i sentimenti perché riesce chiaramente a vedere l’impazienza e la frustrazione che affliggono l’uomo nel rapporto tra desiderio e realtà.
Siamo creature complicate, che oscillano tra concretezza e fantasia nell’attesa di uno specifico soddisfacimento; la tolleranza del tempo che passa tra lo stato di tensione e quello di quiete è una soglia squisitamente soggettiva, ma anche una questione universale.
L’ispirazione per questa analisi proviene da due film connessi più in senso ideale che reale: In the mood for love (2000) e 2046 (2004) narrano, attraverso la storia d’amore tra il signor Chow e la signora Chan, le conseguenze più recondite e letali che il tempo e i sentimenti possono provocare.
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In the mood for love: L’amore sospeso di due esistenze parallele
Quando ripensa a quegli anni lontani, è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato: il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare; e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto.
Il gioco di contemplazione che Wong Kar-wai costruisce si sviluppa su due dimensioni separate solo apparentemente: il tempo dell’esistenza individuale dei due protagonisti e quello della loro eterea storia d’amore.
Finge d’ingannarci il fatto che la prima parte del film dà spazio esclusivo alla quotidianità del signor Chow e della signora Chan, lasciando intendere i loro vissuti soltanto in maniera sfumata e parziale.
La nostra comprensione delle dinamiche che li coinvolgono inizia a maturare laddove termina il focus della narrazione sulle due singolarità, e la poesia del loro imbarazzato amore prende forma.
Quotidiane attività scandite dal trascorrere delle ore lasciano il posto all’impenetrabile, densa sfera sentimentale che avvolge i due amanti: uno spazio-tempo che possiamo sentire, ma nel quale non possiamo davvero entrare perché è una comunità degli amanti, e noi terzi non abbiamo il diritto di accedervi.
I due iniziano a incontrarsi per strada, in albergo o nelle rispettive camere dei contigui appartamenti, ma la sintonia non cresce fino in fondo e non ci rassicura mai sulla forza del loro legame.
Il chiasmo che il regista di Hong Kong realizza mette da un lato in mostra l’inevitabile dinamismo obbligato di un’esistenza che scorre via seguendo le naturali acque del tempo, e dall’altro la più sopraffina espressione di un sentimento condiviso che neanche il tempo può inquinare.
Ciò che si trasforma sul piano individuale, non lo fa sul piano relazionale, pur raggiungendo una silenziosa, impercettibile evoluzione.
Gli amanti si guardano, toccano, riconoscono al di là della dimensione che affligge le esistenze degli altri, e Wong Kar-wai è bravissimo a connotare le loro interazioni nel paradosso di un’ingenuità maliziosa, leggera e seducente.
Signora Chan: Forse sarei più felice. Non immaginavo che la vita a due fosse così complicata. Quando si è da soli non si deve rendere conto a nessuno, ma una volta che sei sposata, anche se fai del tuo meglio non basta.
Chow: Non stare a rimuginarci, forse torneranno presto.
Signora Chan: Ma la cosa non ti tocca?
Chow: Siamo nella stessa situazione, ma non mi do troppa pena, non è colpa mia, non perderò tempo a compatirmi. La vita è troppo corta, bisogna cambiare.
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2046: La passione bruciante di una vita stagnante
Nel 2046 corre una rete che collega ogni punto della terra. E c’è un treno misterioso che parte regolarmente verso il 2046. Tutti quelli che vanno al 2046, hanno un solo pensiero in mente: ritrovare i ricordi perduti. Perché si dice che niente cambia mai nel 2046. Ma nessuno sa se quel punto esiste veramente, perché nessuno è mai tornato.
La retorica simbolica e poetica di Wong Kar-wai giunge al punto tale da intitolare il sequel di In the mood for love con il numero della stanza nella quale Chow e Chan si incontravano, la 2046.
Alcuni anni sono trascorsi e la donna è sparita, lasciando il povero scrittore smarrito nei suoi tristi ricordi al punto tale da ideare un racconto fantascientifico, che è anche lo spazio psichico nel quale rivivere le emozioni sperimentate in passato.
Chow descrive il 2046 come un inferno dal quale non è possibile tornare indietro: in questa proiezione mentale riversa il suo rancore per le esperienze della sua vita che non sono andate come desiderava, in primo luogo l’amore per la signora Chan.
Mentre la sua vita scorre nella ricerca spasmodica del soddisfacimento edonistico di desideri brutali, la sua psiche è ferma in quella speciale stanza d’albergo, sede di un amore perduto.
Il chiasma temporale del primo film si capovolge, perché adesso ad essere in uno stato di sospensione è il tempo della sua esistenza singolare, a fronte di una frenesia ardente e pulsionale che contraddistingue tutte le sue interazioni sentimentali con le donne.
Le ragazze che incontra e quelle che il suo personaggio immaginario incontra nel suo romanzo fantascientifico si sovrappongono, sono condensazioni oniriche di emozioni e pensieri sfuggenti, mai completamente capaci di integrarsi perché a lui manca la possibilità di vedere chiaramente la fine dell’antico legame.
Consumazione di rapporti e di denaro consumano Chow, fiaccato nel corpo e nello spirito dal pensiero sempre più sfuggente della remota comunione raggiunta con la donna della sua vita sotto la pioggia di Hong Kong.
Pur cambiando esteriormente, interiormente lui non cambia mai, perché è rimasto ancorato disperatamente al dono d’amore che la signora Chan gli aveva elargito.
I sentimenti ci prendono alla sprovvista? Ma lei se ne rendeva conto? Parlando, mi chiese, se al mondo esisteva qualcosa di immutabile. Avevo capito quello che intendeva, così le promisi di scrivere un romanzo sui sentimenti, in cui avrei cercato si spiegare ciò che provava il suo fidanzato. Per gioco lo intitolammo 2047, ma la storia mi prese e molto presto lui divenne un’ombra, la mia.
Il signor Chow è il tramite visivo che permette alle idee di Wong Kar-wai sul rapporto tra uomo e tempo di trovare forma, una relazione caduca, fragile e prossima all’esaurimento in ogni momento in cui si dispiega, perché il paradosso di ogni percorso e di ogni esistenza è la compresenza simultanea dell’inizio e della fine.
Non si voltò ed ebbe l’impressione di salire su un treno senza fine, lanciato in una notte insondabile, verso un futuro nebbioso e incerto.
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