Wong Kar-wai e l’arte della sospensione
Narratrice: «Fu un momento imbarazzante. Lei se ne stava timida a testa bassa per dargli l’occasione di avvicinarsi, ma lui non poteva, non ne aveva il coraggio. Allora lei si voltò e andò via».
In the mood for love e l’amore sospeso
L’incipit poetico di In the mood for love (2000) risospinge gli spettatori verso un orizzonte indefinito ed evanescente. Prima ancora che le immagini danzino sullo schermo lo spettatore è catapultato in un mare in tempesta di interrogativi. Quando è avvenuta questa storia? Chi ne sono i protagonisti? Perché è giunta a termine?
Wong Kar-wai a partire dalle sue prime opere si è presentato quale maestro indiscusso della sospensione: le storie da lui raccontate accarezzano lo spettatore come una brezza leggera, senza toccarlo per davvero. In In the mood for love, la signora Chan e il signor Chow non si perdono mai per davvero l’uno dentro l’altro, ma tutto ciò che costituisce il loro rapporto sono sguardi fugaci, amari sospiri, i forse e i chissà sussurrati a fior di labbra e dalla musica che li accompagna nella loro triste danza.
«Sempre che ti chiedo
cosa quando come e dove
tu sempre mi rispondi
chissà chissà chissà».
(Nat King Cole, “Quizas, Quizas, Quizas”)
Il loro amore si forma sullo schermo senza assumere contorni definiti una volta per tutte. I due incantano come sirene per la loro inafferrabilità, la loro inconsistenza, e noi ci ritroviamo come bambini che cercano di acchiappare le foglie d’autunno mosse dal vento, spinti da una parte e dall’altra in mezzo alle vicende narrate, senza poterle snudare, sviscerare dall’interno. Tutto ciò che ci resta è guardarle attraverso un vetro appannato.
Le pellicole di Wong Kar-wai cantano un’ode al non-detto, al non-ancora. Storie di un amore che non giunge mai pienamente a manifestazione, viene solo cantato come una melodia, ma paradossalmente ciò che c’è di più importante rimane celato, come se venisse custodito una volta e per sempre in un nascondiglio inespugnabile, rappresentato emblematicamente dal foro scavato nel tempio Angkor Wat, in Cambogia, dal signor Chow e serrato con del fango per far sì che nessuno venga a conoscenza del suo segreto.
È come se noi spiassimo i protagonisti, è come se ascoltassimo non il loro racconto diretto, che è stato sepolto per sempre nel fango, ma la testimonianza di coloro che hanno avuto la fortuna di assistere allo sbocciare del loro amore: i loro vicini di casa, il signor Ping, il datore di lavoro della signora Chan che sembra insospettirsi per le telefonate che le arrivano dal signor Chow. È come se noi guardassimo attraverso quella fessura e tutto ciò che ci resta non è che un ricordo sbiadito dal tempo.
Narratrice: «Quando ripensa a quegli anni lontani, è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato. Il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare; e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto».
In the mood for love è una poesia di coincidenze, incontri casuali che prendono vita in un orizzonte sospeso, come se la storia d’amore tra i due protagonisti, che scoprono che i rispettivi coniugi sono amanti, avvenisse in un mondo parallelo che non ha presa sulla realtà.
Già dalla prima inquadratura si avverte la casualità e la fatalità del loro incontro. I due, difatti, si scontrano per caso in un condominio, essendo in cerca di un appartamento in cui andare a vivere con il proprio coniuge, e una serie di indizi ci fanno dedurre fin da subito che le loro storie si intrecceranno: la ditta che si occupa del trasloco fa recapitare nell’appartamento della signora Chan delle scarpe che non sono le sue, così come i libri che il signor Chow trova tra i suoi pacchi non sono i suoi.
E galeotti della storia tra i due sono propri i libri, libri da leggere, ma anche da scrivere, come il romanzo a puntate sulle arti marziali che scrivono insieme.
Entrambi sono soli. La moglie del signor Chow lavora di notte in un albergo e il marito della signora Chan spende la maggior parte del suo tempo all’estero. Lo spettatore osserva la storia prendere forma sullo schermo, ma, come nel celebre dipinto di René Magritte, la riproduzione è vietata.
Sebbene la relazione che prende vita tra il signor Chan e la signora Chow, i coniugi dei due protagonisti, sia in qualche modo il movente dell’intera storia, questi non vengono mai ripresi in volto, ma ne vediamo solo la nuca, così come della loro storia d’amore non c’è traccia concreta, tutto ciò che ci è dato sapere sono le percezioni che ne hanno i due protagonisti, i loro interrogativi, i loro tentativi di ricostruire come sono andate le cose.
Della loro storia non c’è dato sapere. Lo intuiamo, così come pian piano iniziano a rendersene conto i protagonisti, come se mettessero insieme i pezzi di un puzzle. Due borse uguali per due vicine di casa, due cravatte identiche per i due rispettivi mariti. Il sospetto cresce.
La signora Chan e il signor Chow si vedono così rigettare addosso una amara verità. Trascorrono le loro giornate cercando di ricostruire come sia incominciata la relazione tra i due partner, chi abbia fatto il primo passo, ma nel tentativo di sostituire il vuoto lasciato dal coniuge attraverso l’altro, ad esempio ordinando per l’altro secondo il gusto del marito e della moglie, i due finiscono per innamorarsi, sebbene rimanga ferma la volontà di non essere come loro.
La storia viene così attraversata da ellissi e intermittenze al punto che appare difficile distinguere il sogno dalla realtà, la finzione, la menzogna dalla sincerità. Numerose sono le sequenze in cui sembra che i due si stiano lasciando, per poi rivelare che non si trattava che di una farsa, come quando la signora Chan finge di assistere a una confessione di tradimento da parte del marito, ma viene sopraffatta dal dolore e il signor Chow la consola ricordandole che non si tratta che di una finzione.
Sebbene, dunque, i due si avvicinino per la triste circostanza che li accomuna, le due anime in pena finiscono per cadere l’una per l’altra, per provare un amore così puro il cui fuoco sono proprio i forse e i se, le incertezze, i dubbi, i timori per il giudizio sociale, un amore al condizionale, di sempre e di mai.
Signor Chow: «Sono io. Se ci fosse un biglietto in più verresti via con me?».
Signora Chan: «Sono io. Se ci fosse un biglietto in più mi porteresti via con te?».
In the mood for love è una poesia la cui forza sta nel non essere mai del tutto rivelata, sempre in parte nascosta, pur essendo in bella vista. I due personaggi sembrano perdersi per sempre. La signor Chan torna nella stanza 2046 in cui ha incontrato ripetutamente il signor Chow e che porta ancora impressi i loro passi, i loro corpi. Quando il signor Chow vi fa ritorno di lei non c’è alcuna traccia, se non una sigaretta spenta con all’estremità del rossetto rosso.
Il destino non li ha fatti incontrare e questo incontro sembra continuare a essere rimandato anche negli anni a venire quando entrambi fanno visita, ma in tempi differenti, al condominio in cui si sono conosciuti. Non è possibile sapere cosa riserverà per loro il futuro, tutto ciò che resta è il ricordo di ciò che hanno condiviso.
Hong Kong Express e il promemoria della scadenza
Non è, tuttavia, la prima volta che Wong Kar-wai ritrae la sospensione quale carattere inevitabile di ogni relazione. Qualche anno prima, con Hong Kong Express (1994) il regista svela come nell’epoca contemporanea, nelle grandi metropoli globalizzate in cui ci si scontra ogni giorno inavvertitamente con milioni di persone, senza mai conoscerle per davvero, sembri che l’unica costante che intesse i nostri rapporti sia, per l’appunto, una sospensione inevitabile. Sguardi fugaci, mani che si sfiorano, storie sempre aperte in attesa di ulteriori sviluppi la cui continuazione è tuttavia continuamente rimandata, sempre a venire.
Poliziotto 223: «Nell’istante in cui i nostri corpi si sono scontrati ho provato un brivido… Cinquantasette ore dopo mi sarei innamorato di quella donna».
Attraverso la sofisticata modalità del racconto di Hong Kong Express, che sembra costantemente avvertire lo spettatore dell’avvenimento di un evento significativo ai fini della storia, come un campanello di allarme, Wong Kar-wai conferisce alla pellicola una sospensione che si conferma quale quintessenza delle relazioni interpersonali in una realtà frenetica, resa splendidamente dalla fotografia di Chris Doyle, a tal punto che non si fa in tempo a vivere il presente che già si è trasformato in passato, e tutto ciò che ci rimane è la collezione di esperienze passate rimaste sospese per sempre in attesa di una continuazione.
Due sono gli scontri fortuiti che costituiscono il cuore pulsante della pellicola. Anzitutto, l’incontro fugace, talmente breve da risultare inafferrabile, tra un poliziotto con il cuore infranto e una narcotrafficante calcolatrice. Il tempo che scorre inesorabilmente e alle cui avide fauci nessuno può sottrarsi viene rappresentato emblematicamente da Wong Kar-wai attraverso l’immagine eloquente di barattoli la cui data di scadenza appare in bella vista.
La loro storia, prima ancora di cominciare, è delineata nei suoi esordi e nella sua conclusione. Ciò che ci è dato sapere fin da subito è che il poliziotto si innamorerà della donna con cui si è scontrato inavvertitamente e che la data di scadenza del loro fugace amore, a tal punto da sembrare irreale, è il primo maggio.
Lui, difatti, consuma scatolette di ananas a scadenza ravvicinata promettendosi che il giorno del suo compleanno – il primo maggio appunto – avrebbe dimenticato la donna che gli ha spezzato il cuore, innamorandosi di un’altra. Lei, parallelamente, riceve un barattolo con la medesima data di scadenza che porta con sé; tuttavia, questo non è la traccia di un amore finito, bensì l’avvertimento di una vita sottratta, quella di colui che ha osato minacciare la donna misteriosa, la cui identità rimane celata da una parrucca bionda, un trench e degli occhiali da sole.
Poliziotto 223: «Nell’istante in cui i nostri corpi si sono scontrati ho provato un brivido… Sei ore dopo si sarebbe innamorata di un altro uomo».
Wong Kar-wai introduce così allo spettatore la seconda parte della pellicola che coinvolge il poliziotto 663, anche lui con il cuore spezzato dopo essere stato lasciato dalla sua fidanzata, e la cameriera di un fast-food, il Midnight Express, che ama ascoltare una musica assordante – memorabile è la sequenza in cui ascolta le note di California Dreamin’ di The Mamas & the Papas – per non dar voce ai propri pensieri.
Lei si innamora segretamente di lui e si introduce furtivamente a casa sua, introducendo di volta in volta dei piccoli cambiamenti nell’arredo, forse per indurre lui stesso a cambiare, a evadere dalla routine che tanto gli ricorda la fidanzata che l’ha lasciato.
Sembra che tutte le storie narrate da Wong Kar-wai rimangano sospese tra il non-detto e il non-fatto, sempre aperte a nuovi sviluppi che però di fatto ci restano ignoti. Il poliziotto 663 e la cameriera, Faye, in fondo non sembrano condividere nulla, neppure un bacio a fior di labbra, eppure il ricordo dell’uno rimane impresso nel cuore dell’altro. Si perdono, trovandosi in due Californie diverse, per poi ritrovarsi, forse, come sembra suggerire la scena finale.
Faye: «Dove vorresti andare?».
Poliziotto 663: «È indifferente. Diciamo… dove vai tu».
La loro storia rimane sospesa, come quella della signora Chan e del signor Chow. Chissà se partiranno davvero insieme, forse nella loro amata California, e chissà se i due amanti di In the mood for love si ritroveranno, dopo che Chow si sarà recato nel 2046 per ritrovarla. Tutto ciò che sappiamo è quello che c’è stato tra loro e il ricordo che i loro cuori avidamente conservano.
In un mondo in cui tutto sembra avere una data di scadenza, coerentemente con il consumismo imperante nelle società odierne, in cui nulla sembra avere consistenza perché tutto ciò che esiste non sono che attimi fugaci che scorrono come sabbia tra le dita, l’unica speranza che resta è che perlomeno i ricordi che custodiamo, che spesso sono l’unica traccia delle avventure, delle esperienze che viviamo a fior di pelle, non scadano mai.