Wonder Woman (WW), all’anagrafe Diana Prince, è la prima eroina dell’universo della DC Comics. Personaggio fittizio appartenente alla metaletteratura, nasce nel 1941 per mano dello psicologo William Moulton Marston e del fumettista Harry G. Peters.
L’industria editoriale capitalistica e di massa (tipicamente metropolitana) individua nel fumetto un nuovo e potente mezzo di comunicazione. Siamo nella cosiddetta Golden Age del fumetto, tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento negli Stati Uniti, quando e dove questo medium conosce il suo massimo splendore.
Wonder Woman, Batman e Superman sono le colonne portanti del magico universo di supereroi della DC Comics. La storia editoriale di Wonder Woman è corposa, variegata e travagliata.
Ma chi è in origine Diana Prince?
Partiamo da molto lontano, esattamente dall’Antica Grecia. Ippolita è la regina delle Amazzoni dell’Isola Paradiso. Prega la dea Afrodite di donarle una figlia, chiamata Diana (nome latino della dea della caccia). Una volta cresciuta, Diana incontra Steve Trevor, pilota statunitense che cade sulle coste della magica isola durante la seconda guerra mondiale. Diana affianca Steve, presto suo compagno, contro i nazisti e continua a combattere contro i malvagi a conflitto terminato.
Arriviamo al 2017. Wonder Woman è il film diretto da Patty Jenkins. Interpreti principali sono la bellissima Gal Galdot (Diana/Wonder Woman), e Chris Pine (Steve Trevor). Ritroviamo la coppia di attori anche nel successivo Wonder Woman 1984 (2020), sempre di Jenkis. La regista decide di staccarsi dalla biografia originale della supereroina, ambientando il capitolo iniziale durante la prima guerra mondiale. Scelta assolutamente non casuale.
In primis, ricordiamo che le Amazzoni sono ritenute nell’antichità nemiche dei Greci. Nella società di stampo maschilista quale quella greca, era inconcepibile che regnassero delle donne combattenti.
In secondo luogo, la Grande Guerra segna un momento nevralgico nella storia dei diritti delle donne. È l’epoca delle suffragette, e numerose donne ricoprono un ruolo fondamentale come infermiere, dottoresse e inviate al fronte. Le donne iniziano a prendere coscienza delle limitazioni imposte dalla società e fanno sentire la loro voce. Un punto di non ritorno per l’emancipazione femminile.
Inoltre, essendo gli uomini partiti per il fronte, le donne rimaste a casa dovevano badare ai figli e sostituire la forza lavoro maschile nei campi e nelle fabbriche. Esse dimostrano una forza da supereroine, venendo tra l’altro sottopagate.
Giornaliste carismatiche quali Matilde Serao, Flavia Steno e Stefania Türr sono solo alcuni dei nomi delle corrispondenti di guerra italiane durante la prima guerra mondiale. Pur non dichiarandosi femministe e avendo per certi aspetti una visione ancora tradizionale della donna, non sono rimaste in silenzio.
Grazie ai loro scritti emerge quanta forza e coraggio le donne dovevano impiegare, sia dal fronte interno – offrendo supporto emotivo a figli, mariti e fratelli in trincea -, sia da quello italiano, con assistenza sanitaria e, nel caso di Steno e Türr, con le parole di chi la guerra l’ha vista con i propri occhi. Parole devastanti di donne, che in mezzo a una folla di voci maschili, spesso fanno fatica a farsi sentire e valere.
Per questo, come Diana Prince e altri supereroi, ricorrono a una sorta di costume, una maschera. Uno pseudonimo.
Flavia Steno, inviata a Berlino per il Secolo XIX, dichiara con la lettera inviata il 5 febbraio 1917 all’editore Mario Perrone: «sono una donna, non posso neanche firmare tutto quello che scrivo perché io stessa sono la prima a riconoscere che non sarebbe opportuno mettere un nome di donna in fondo a qualsiasi articolo».
Steno quindi si ritrova costretta a scrivere molteplici articoli firmandosi con diversi pseudonimi, quali Ariel, F. Steno, Mario Valeri e Mauro Deni.
Wonder Woman incarna anche tutto questo: gli ostacoli che le donne hanno dovuto e devono superare. L’origine di WW ha infatti un intento pedagogico e l’eroina può essere considerata senza alcun dubbio un’icona femminista. Suo padre, lo psicologo William Morton Marston, l’ha creata per esternare i suoi principi etici e morali. Egli voleva dimostrare agli adolescenti le illimitate potenzialità di una donna, che doveva essere considerata forte quanto Superman o Batman.
Oltre a psicologia, femminismo, mitologia greca e narrativa pittoresca del supereroe, Wonder Woman presenta, senza grandi pretese, anche fatti e nomi reali della Grande Guerra.
Innanzitutto, il film è ambientato nella cosiddetta “offensiva dei cento giorni”, tra l’8 agosto e l’11 novembre 1918, sul fronte belga. L’offensiva finale portata avanti dagli Alleati contro gli Imperi Centrali. Il nemico principale di Diana è Ares, dio della guerra. L’eroina pensa sia incarnato da Erich Ludendorff, generale nazionalista e accanito sostenitore del pangermanesimo, collaboratore durante il conflitto del generale Paul von Hindenburg.
Infine, ritroviamo l’atroce presenza delle trincee e dell’iprite, conosciuto come gas mostarda per l’odore acre. Il gas letale è utilizzato dall’esercito tedesco per la prima volta il 12 luglio 1917 sul fronte belga, Ypres.
Wonder Woman – il 21 ottobre 1941 faceva la sua prima apparizione su All Stars Comics n.8. – quest’autunno spegnerà ottanta candeline, portandoli splendidamente.
La Warner Bros ha dato l’8 marzo, data non causale, il via ai festeggiamenti. Punto focale dell’anniversario è la campagna di Innocean Usa “Believe in Wonder”, in onore della cover di Wonder Woman dell’artista Nicola Scott del 2016.
Insomma, Wonder Woman non è il solito blockbuster alla Hollywood con effetti speciali e supereroi pieni di muscoli che sconfiggono i cattivi, portando in salvo le donzelle in pericolo.
Pur restando avvolto dalla brillante patina del genere fantastico, narra la storia dell’emancipazione di una ragazza che diventa donna, traendo forza da se stessa e dall’arma più potente al mondo: l’amore. La regista racconta indirettamente altre storie di donne, che, da casa o dal fronte, vissero e sopravvissero alla prima guerra mondiale, raccogliendo preziose testimonianze e asfaltando la strada per la lotta, in salita, delle donne per l’uguaglianza di genere. Lotta che continua ancora nel presente, in numerosi stati e contesti.