Negli ultimi anni i registi italiani si stanno facendo portavoce di un cinema delicato e sensibile, in grado di affrontare questioni etiche e morali servendosi delle loro stesse contraddizioni. Esponente del realismo allegorico italiano, Laura Bispuri è senza dubbio una regista che vale la pena scoprire e apprezzare.
Nonostante abbia girato soltanto tre lungometraggi, Laura Bispuri ha mostrato il suo talento analizzando argomenti spinosi – come l’identità sessuale e la maternità – senza renderli ulteriormente intricati e, per questo motivo, si può dire che sia riuscita a scardinare quel sistema convenzionale che ancora oggi tratta certe tematiche come fossero tabù.
In attesa del suo ultimo film Il paradiso del pavone, analizziamo Vergine giurata e Figlia mia, due film che mettono a nudo la psiche umana, mostrando quanto l’essere umano sia fragile e vittima delle proprie elucubrazioni mentali.
Vergine giurata (2015)
Il primo film di Laura Bispuri è incentrato sulle vicende di Hana (Alba Rohrwacher), giovane albanese che dopo essere rimasta orfana, viene accolta da una famiglia di montanari. Hana ottiene di nuovo una famiglia e una casa in cui ritornare, ma ogni cosa ha un suo prezzo e la giovane sarà costretta a cambiare drasticamente la sua vita rinunciando alle sue libertà di donna.
In alcune comunità albanesi, infatti, vengono applicate le rigide regole del Kanun, ovvero il codice di diritto albanese che sostiene il patriarcato e che, di conseguenza, priva la donna di ogni diritto e libertà relegandola al ruolo di madre e moglie ubbidiente.
Alle donne non è concessa la minima libertà, non hanno voce in capitolo e sono costrette a subire le imposizioni se vogliono avere salva la vita. In poche parole, essere donna diventa una condanna e una disgrazia.
Nonostante Hana lotti per affermare i propri diritti, continua a essere osteggiata, e comprende che per avere una vita normale deve diventare un uomo.
Sì, avete letto bene: Hana, come tante altre donne della comunità, non solo decide di cambiare nome e indossare abiti maschili, ma di fare anche un giuramento fondamentale per il Kanun, ovvero quello di rimanere vergine a vita, conservando così la propria integrità e purezza.
Rinunciando al suo essere donna, Hana, o Mark (nome datole dalla comunità), è finalmente libera di vivere senza doversi scontrare con la misoginia del villaggio.
A questo punto lo spettatore potrebbe giudicare Hana per le scelte fatte, ma riflettendoci bene, ci si rende conto che la ragazza aveva due scelte: o vivere da donna e vittima del Kanun, o diventare un uomo e godere di ogni libertà senza pregiudizi.
A queste si aggiunge una terza possibilità: quella della fuga. La sorella adottiva di Mark, oppressa dal padre che vuole darla in sposa a un uomo che non ama, decide di fuggire con il suo fidanzato, spezzando ogni legame con la famiglia d’origine.
Ma perché Hana non fugge? Perché non abbandona Mark? La risposta probabilmente sta nel fatto che la ragazza ha ormai forgiato la propria identità in quel luogo, ha imparato a sopravvivere in quelle condizioni ed è in debito con quella famiglia che l’ha salvata. Ed essendo l’unico figlio maschio della famiglia ha il dovere di aiutare i suoi genitori che, altrimenti, rimarrebbero soli nella vecchiaia.
Tuttavia basta poco per accorgersi che ci sono motivi ben più profondi. La giovane, infatti, ha nascosto Hana in Mark per difenderla da una società che annienta le donne. Mark è diventato un’armatura, ma Hana è consapevole che fuori da quei monti non potrà portarlo con sé, e questo crea una crisi identitaria.
Dopo la morte della madre, Mark si reca in Italia per trovare la sorella, e qui tutte le sue certezze crollano. Dopo essere entrata in un ambiente nuovo e libero che le permette di viversi come vuole, Hana comincia a urlare per poter emergere e vivere.
A questo punto l’armatura comincia a sgretolarsi, la donna comincia a chiedersi chi è e chi vuole essere realmente. Hana comincia a (ri)conoscere il proprio corpo, scopre i misteri della sessualità e della femminilità e, cosa più importante, scopre cosa sia la libertà.
In Albania era libera di fare quello che voleva, dimenticando che a essere libero era Mark, quello stesso Mark che aveva zittito Hana.
Quando alla fine del film la protagonista ritrova se stessa e la propria identità, si rende conto che talvolta la libertà – quella più profonda – consiste nell’essere liberi di non essere necessariamente qualcosa. Hana afferma la propria identità continuando a indossare i vestiti di Mark, ed è libera sia di sentirsi Hana sia di continuare a essere Mark.
D’altronde, è difficile abbandonare un qualcosa che per molto tempo è stato parte di te, e anche in tal caso non possiamo giudicare Hana se fatica a lasciare andare quel Mark che, volente o nolente, l’ha protetta. Senza di lui si sentirebbe nuda e a disagio.
Alla fine del film Hana non è più schiava della propria identità, il corpo non è più un ostacolo e lei può vivere e viversi come donna senza essere giudicata. E questa è l’unica vera forma di libertà, quella che serve a Hana e a tutti noi. Quella libertà che ci libera da tutto ciò che è materiale per elevarci e farci vivere leggeri.
«Essere è essere libero. No: niente legami, neppure con noi stessi. Liberi da noi stessi e dagli altri, contemplativi privi di estasi, pensatori privi di conclusioni».
(Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine)
Figlia mia (2018)
I figli sono di chi li mette al mondo o di chi li cresce? Questa è la domanda che ci poniamo guardando Figlia mia, il secondo film di Laura Bispuri.
La trama è semplice: Vittoria, all’età di dieci anni, scopre di avere due madri. Tina, che l’ha adottata, e Angelica, che l’ha data in adozione in cambio di un luogo dove poter vivere e di aiuti economici.
Le due donne sono agli antipodi. Tina è pudica quanto timorata, mentre Angelica è impulsiva e sfacciata. Nel mezzo troviamo la piccola e fragile Vittoria, la quale, dopo aver scoperto la verità sulle sue origini, si trasformerà da bambina fragile e insicura a piccola donna coraggiosa e sicura di sé.
Il fulcro di questa storia, infatti, è proprio la piccola Vittoria e la sua crescita personale.
All’inizio del film la bambina è insicura, senza autostima e costantemente impaurita. Questo perché, nonostante Tina l’abbia cresciuta con amore, le ha involontariamente inculcato i suoi timori e questo anche perché teme possa assomigliare alla madre biologica.
L’incontro con Angelica cambierà la vita della piccola che comincerà ad affrontare le sue paure e a essere più solare e vivace. Angelica le farà acquistare quella dose di carattere necessario per affrontare il mondo degli adulti.
Angelica trascina fuori la bambina da quella campana di cristallo che le aveva costruito Tina, le fa affrontare la vita vera senza troppe protezioni e la dona al mondo perché sa che è l’unico modo per farla sbocciare in tutta la sua bellezza.
«I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono».
(Khalil Gibran)
Questo non vuol dire però che Vittoria abbandoni gli insegnamenti di Tina: si trova a metà strada, tra la timidezza di Tina e la sfrontatezza di Angelica. D’altronde crescere vuol dire trovare quel giusto equilibrio tra l’estrema paura e l’estremo coraggio. Per questo motivo Vittoria si è dimostrata migliore delle sue madri. La maternità è di fatto l’altra grande questione del film.
Alla fine, Vittoria di chi è figlia? Di chi l’ha partorita per poi darla via o di chi l’ha cresciuta amorevolmente?
Il fatto che Tina le abbia fatto da madre non è indifferente, l’ha amata e accettata e questa è la sola cosa ad avere importanza.
Dall’altro lato, Angelica e Vittoria si sono amate dal primo istante e si sono riconosciute l’una nello sguardo dell’altra non solo per la somiglianza fisica, ma anche perché hanno lo stesso animo e la stessa irrequietezza che le rende strane e particolari.
Quindi, per rispondere alla domanda, i figli sono di chi li ama e li aiuta a crescere. La differenza tra le due donne è che Angelica deve imparare il mestiere del genitore, ma la conclusione del film suggerisce che Tina e Vittoria l’aiuteranno.