Prima di Lievito, da oltre vent’anni il binomio d’arte di Cyop&Kaf – dietro il quale non viene annullata l’individualità, bensì impreziosita dall’accento sulla differenza e sulla sua congiunzione -, dice di «infestare la loro città con segni (spine, rughe, tagli, graffi, mica semplici graffiti) che i più definiscono inquietanti».
La città in questione è Napoli, terra madre e porto insolente, piazza abbacinata dal sole e labirinto oscuro.
Anche le loro “operazioni” («è chirurgia la pittura», ci tengono a sottolineare) portano in seno queste profonde contraddizioni, tanto terribili quanto poetiche. Dopo Il segreto, che segna nel 2013 il loro esordio alla regia, ritornano con il docu-film Lievito. Prodotto da Parallelo41produzioni, è più di un documentario: si tratta di una ricerca fatta di sguardi, quelli di bambini e adolescenti, materia informe e incandescente.
Questi sguardi si intrecciano tra passato e presente, come avviene tra i frutti e i suoi innesti, attraversando il vuoto, luogo non-luogo di potenza e non ancora d’atto, fino alla costruzione di uno spazio condiviso.
Alla dicitura “lievito” si legge: /liè·vi·to/ dal lat. volg. *levĭtum, der. di levare “alzare”, orig. del sec. XIV. In senso fig.: quanto serve ad alimentare il diffondersi di uno stato d’animo o di un’idea.
Si alternano così sullo schermo le immagini di tre episodi che dialogano a distanza ravvicinata. Un’associazione, che opera in un quartiere del centro storico, organizza un soggiorno estivo per adolescenti nel parco naturale del Cilento. Un dojo di judo che ha sede nel complesso in disuso dell’Albergo dei Poveri diventa un punto di riferimento per centinaia di giovani. Il Madre, Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina, offre le proprie sale a un laboratorio teatrale per ragazzi e ragazze di tutti gli strati sociali.
«Lievito indaga le relazioni tra questi gruppi di adolescenti e le loro guide adulte; i metodi didattici e le pratiche educative; le regole materiali e simboliche; il rapporto tra la forma dei luoghi e i corpi nello spazio».
(Cyop&Kaf)
Intorno, come una cornice, le storie di Bruno Leone, maestro di guarattelle, e di Peppe Carini, educatore, a mostrare le implicazioni di ogni rapporto tra allievi e maestri, ma anche le suggestioni politiche di un passato solo apparentemente remoto, in una città, Napoli, radicale e radicata, in cui la scuola non è mai stata l’unico luogo, e nemmeno il principale, dove imparare a vivere.
«Quando organizzavamo le cose, a un certo punto, dopo due, tre anni, ci accorgevamo di essere diventati una comunità vera. C’era talmente un rapporto di scambio, ma anche di fiducia… Per tanti ci siamo sostituiti alle istituzioni e ai genitori».
(Peppe Carini)
Per Cyop&Kaf la soluzione non è mai nella risposta, ma piuttosto nella domanda. Il sale della crescita, anzi il lievito, sono l’interrogazione, il confronto, il conflitto, la sfida. Ci ricordano che i valori pedagogici dello scambio e dell’ascolto sono alla base di ogni realtà sociale funzionale, sono ciò che permette di addomesticare la “tribù”, di forgiarla nel fascino dell’apertura e di sospingerla verso una comunione di intenti.
Grazie alla presenza dell’altro, guida e agente lievitante, si può sconfiggere il pregiudizio, uscire dalla paura, entrare nella vita. Ma solo stando alle regole del gioco, perché, come diceva Bruno Munari, «giocare è una cosa seria!».