Introduzione
«A tutti, grazie per i tanti magnifici ricordi. Ho amato il mondo in cui ho vissuto. Solo il fatto di poterlo pensare mi rende felice. Le tante persone che ho incontrato nel corso della mia vita, sia che fossero positive che negative, mi hanno aiutato a plasmare l’essere umano che è Satoshi Kon, e sono grato per ognuno di quegli incontri»
(Satoshi Kon)«Cara immaginazione, quello che più amo in te è che non perdoni»
(André Breton)
Nel panorama del cinema d’animazione giapponese, Satoshi Kon (1963 – 2010) è stato uno dei registi più importanti e rivoluzionari. Egli si formò come mangaka e pittore, salvo poi approdare al cinema dopo il confronto con il maestro Katsuhiro Ōtomo. Cifra caratteristica delle sue opere è la ricerca del dialogo tra realtà e fantasia, costruito esplorando le profondità dei protagonisti da lui inventati e gli eventi surreali delle sue trame.
Scomparso di cancro all’età di soli 48 anni, nei pochi film da lui diretti si è contraddistinto non solo per la poetica originalità delle narrazioni, ma anche per la maestria tecnica attraverso la quale permetteva al pubblico di penetrare nelle contraddizioni inconsce dei personaggi. Egli creava una duplice illusione: da un lato, quella del coinvolgimento diretto degli spettatori nella trama, che si perdono nelle complesse rappresentazioni mentali dei protagonisti; e dall’altro lo smarrimento che per alcuni momenti governa la percezione spettatoriale. In questi momenti, quello che è fantastico per i protagonisti è al tempo stesso reale e fantastico per gli spettatori, suscitando di conseguenza il dubbio, data la prima illusione, che esso possa essere reale anche per i protagonisti stessi.
Seguendo la ricerca poetica e filosofica sul tema della percezione alterata e dell’espressività originale attraverso il mezzo cinematografico, questo approfondimento esplora alcune caratteristiche dei più importanti film del regista giapponese, adottando un approccio interpretativo psicodinamico.
In questo articolo saranno formulate solo alcune considerazioni generali sul rapporto tra il cinema di Kon, la dimensione onirica da lui narrata e le caratteristiche tecniche delle sue animazioni che ne esprimono pienamente le potenzialità.
La morte di Murano per mano dell’infermiera sarà presa in considerazione per descrivere le potenzialità percettive di Perfect Blue, mentre per quanto riguarda Paprika la scena specifica approfondita sarà una parte della battaglia finale tra i protagonisti, che si svolge all’interno di un sogno.
Perfect Blue – Esperienza visiva di un incubo
Mima: «Io… non riesco più a capire chi sono.»
Eri: «Ascolta, lo sai perché riesci a capire che tu in questo momento sei la stessa persona di un secondo prima? Perché c’è la continuità della memoria: è l’unica cosa che ci permette di costruire l’illusione di avere una personalità unica e coerente.»
Mima: «Dottore, io non so cosa mi stia succedendo, ma ho paura. C’è qualcuno che agisce dentro di me senza che…»
Eri: «Non ti preoccupare. Nessuna illusione si concretizza in realtà.»
Primo film diretto da Kon, Perfect Blue (1997) illustra la capacità poetico-creativa di dare vita a una storia in cui i piani di realtà erano così frantumati da rendere impossibile la demarcazione tra fatti e illusioni. La storia di debutto dell’autore è anche un’oscura poesia che ruota intorno al personaggio di Mima Kirigoe, giovane idol e popstar insoddisfatta della propria carriera e che vorrebbe quindi passare al lavoro di attrice.
I fatti ossessivi che la riguardano trasformano rapidamente il film in un thriller di natura psicologica, nel quale Mima scopre di essere al centro di una costante attività di minaccioso stalking ad opera di un fan da lei ossessionato.
Con spirito tagliente e difficilmente ignorabile, attraverso l’allegoria di Mima Perfect Blue racconta la mania dell’ossessione per le celebrità e la precarietà delle conversioni di carriera nella società orientale, offrendo un forte sottotesto femminista all’intera opera. E, naturalmente, il film cancella completamente il confine tra realtà e finzione: la lenta frattura dello stato mentale di Mima stravolge la percezione dello spettatore, che scena dopo scena si trova a vivere le angosce della protagonista con i suoi stessi stati d’animo.
Nella seguente scena, verso il finale dell’opera, Kon rappresenta con cruente surrealismo le fasi di un sanguinoso omicidio.
Perfect Blue è un film spaventoso e un gioco mentale notevole, i cui soggetti minacciosi e personaggi deliranti sono animati in modo sublime e meraviglioso. Un specifico significato attende il turno di ogni scena e ogni taglio, creando un’idea narrativa in movimento caratterizzato da un’espressività poetica ricercata, che influenza la narrazione attraverso il costante sconvolgimento tra realtà e fantasia.
Nella scena presa ad esempio come caso studio, sicuramente perturbante e angosciante, a impressionare non è solo la furia dell’assassina, che si scaglia sul presunto stalker della protagonista con una furia quasi animale. La particolarità espressiva e percettiva attraverso la quale Satoshi Kon cerca di trasmettere fenomenologicamente il dolore della morte sta forse nelle continue sovrapposizioni tra il volto della donna aggressiva e la figura di Mima, quasi a sottolineare che lei sia la causa di questo impeto omicida.
Surrealismo, irrazionalità e istinto si fondono nel comportamento della donna, mettendo chi guarda in una posizione in cui sia quasi impossibile comprendere se si tratti di realtà o fantasia.
Paprika – Distopie dell’inconscio
Presidente: «Il sogno è il luogo della gioia di vivere. Io non permetterò in alcun modo che l’arroganza della tecnologia invada questo territorio sacro. I sogni sono conturbati dall’idea che la tecnologia possa attaccare e distruggere la sicurezza del loro rifugio. In questo nostro mondo crudele, il sogno è l’unica testimonianza di umanità che ancora ci resta.»
Rispetto al suo primo film, Paprika (2006), ultima opera completa del regista, si presenta come una narrazione visionaria matura, che esprime al grado massimo una forma di fantascienza, trasposta in formato animato attraverso una tecnica di pregevole fattura.
In questo film, Kon esamina a fondo idee specifiche attraverso personaggi che vivono vite diverse, fondendo insieme fantasia e verosimiglianza e ritagliando il tessuto del tempo e dello spazio a suo piacimento con un’animazione psichedelica e inscindibilmente legata al surrealismo.
Paprika esprime un inconfondibile amore per la visione del cinema, comunicando esplicitamente che la correlazione tra immaginazione, sogni e realtà dialoga attraverso le illusioni della percezione veicolate dal mezzo cinematografico.
Un’invenzione nota come DC Mini permette agli psicoanalisti di immergersi nei sogni dei pazienti in modo da conoscere e curare stati alterati e problematiche inconsce. La dottoressa Atsuko Chiba, inizia ad adoperare illegalmente lo strumento per aiutare i suoi pazienti al di fuori dei laboratori di ricerca, celandosi nel mondo dei sogni con il suo alter-ego “Paprika”.
Il caso studio preso ad esempio per l’ultima opera è la suggestiva battaglia all’interno del sogno, che ispirerà un capolavoro come Inception. Qui, Paprika è all’interno di un sogno per confrontarsi con il capo dell’azienda produttrice del Dc Mini, ma il sogno si trasforma rapidamente in un incubo dal quale la donna deve fuggire in qualche modo.
La trasformazione condensata dell’ambiente, gli spostamenti e le sovrapposizioni tra caratteri, figure e personalità trasmutate in animali volanti o incantevoli sirene. Tutto avviene nella mente dello spettatore come se egli avesse assunto stupefacenti, mentre in realtà si tratta solo delle magie che Kon è in grado di creare sullo schermo.
Un altro elemento che meriterebbe approfondimento specifico è la parata di pupazzi, le cui facce si trasformano continuamente sia prima che durante questa scena. La sorpresa e il terrore si fondono negli occhi di chi guarda, che sebbene abbia difficoltà a seguire l’evoluzione della narrazione, in qualche modo riesce a comprendere che in quello che guarda un senso esiste. Solo decifrando le trasformazioni spazio-temporali e attendendo le decisioni di Kon, sarà possibile disvelarlo.
Scegliendo di lasciare celata la differenziazione tra buoni e cattivi fino alla fine dell’opera, attraverso un’operazione di mascheramento pirandelliana, come d’altronde accade in Perfect Blue, tutte le strategie attraverso le quali la percezione dello spettatore è alterata diventano esponenzialmente più efficaci per suscitare l’effetto desiderato da Kon.
Conclusioni
Dal punto di vista psicodinamico e filosofico, la qualità delle immagini proposte nei due film sono notevoli perché, esattamente come nel caso di altri maestri del surrealismo come Lynch e Bunuel, egli sfrutta i principi della psicologia della Gestalt e gli studi sulle caratteristiche percettive dell’umano per fare dell’inquietudine il punto di forza delle sue trame.
Tra le moderne espressioni artistiche, il cinema si avvale di strumenti sensoriali specifici, che contribuiscono a veicolare attraverso l’arte il fascino che i registi nutrono nei confronti di alcune tematiche specifiche, come la follia. L’interrogazione sul rapporto tra pensiero razionale e irrazionale, così come sulla relazione tra le diverse interpretazioni del genio artistico come prodotto di un funzionamento psichico singolare (Jaspers, 2001), è presente nella produzione cinematografica sin dalla prima metà del Novecento e attraversa le opere provenienti da paesi e continenti diversi.
Uno dei motivi più importanti di questa scelta potrebbe essere dato dal fatto che il prodotto filmico è un potente strumento in grado di rivelare aspetti topici e dinamici (Freud, 1986) relativi alla mostruosità di alcuni comportamenti umani, che talvolta esulano dal funzionamento consapevole per addentrarsi negli oscuri abissi dei vissuti che fertilizzano le basi su cui può germogliare un disturbo della personalità, un disturbo dell’umore o un deficit cognitivo ed affettivo specifico.
Concludendo, dunque, la posizione di Satoshi Kon in questa ricerca è giustificata dai giochi estetici prodotti nei suoi lavori. Lavori di cui siamo grati, ma che avremmo auspicato durassero un po’ più a lungo.