Ce magnifique gateau!, ovvero un dolce eccezionale, dall’imponente impatto visivo e da una forza comunicativa talvolta quasi angosciante. Già il titolo ci sussurra, ci suggerisce la natura sorprendente del mediometraggio in questione, diretto da Marc James Roels ed Emma De Swaef e girato in stupefacente stop-motion. La scena è perpetuamente occupata da pupazzi, o meglio, da bambole umanizzate che si muovono lentamente in scenari rarefatti e difficilmente definibili terrestri.
I loro sguardi, a primo impatto immobili e inespressivi, scatenano una consapevolezza raggelante attraverso impercettibili movimenti del viso. La quasi totale assenza di dialoghi veicolanti la narrazione isola lo spettatore di fronte al minimalismo quasi grottesco delle sequenze. Un lavoro meraviglioso, il lato più desolante e oscuro dell’animo umano è mostrato senza edulcorazioni, senza manierismi di alcun genere.
Ma di cosa parla Ce magnifique gateau?
Parla di un viaggio, figurativamente e letteralmente parlando, di un percorso intrapreso tra le nascoste e inquietanti gallerie del subconscio umano. I vari episodi, apparentemente indipendenti, seguono un fil rouge che si illumina e si mostra man mano che scorrono le scene. Così come in qualche modo intercorre una parentela, un legame tra i vari personaggi del film.
Il clarinettista stonato e disilluso, che appare a più riprese senza reale ragione, nell’impercettibile malinconia del suo viso; il giovane lavorante pigmeo, immerso nel lusso di un hotel-villa francese, il cui intrinseco candore d’animo viene schiacciato al suolo dal crollo di un pianoforte. L’archetipo del ricco nobile decaduto e alcolizzato, schiavo di un egoismo che l’ha spinto a derubare la famiglia per ritirarsi in una solitudine dorata quasi gollumiana; e infine il ragazzo giovane, inesorabilmente incapace di assumere un qualsiasi tipo di controllo sulla sua vita, e in fuga da genitori e ufficiali di caserma. Tutti inseriti in una dimensione al di fuori del reale, intangibile, quasi onirica, ma che proietta in scenari degenerati, perturbanti, al cospetto di una desolazione prettamente umana.
L’episodio che vede protagonista il ricco ubriacone è, in questo senso, emblematico. Egli è inconsciamente, e in alcuni casi consciamente incapace di non poter più sopportare la vita in superficie, tanto da rotolare nel sottosuolo al seguito di una lumaca, l’unica a concedersi al suo squallido essere. La caverna nella quale si svolge il grottesco scambio tra i due è iconicismo puro, culminante con la morte della lumaca e il pianto finale dell’uomo, desolante, angosciante, di fronte alle ceneri perpetue delle persone che ha prima amato e poi rovinato.
Il giovane disertore
Quello del giovane disertore, parallelamente, è l’episodio chiave del mediometraggio; anch’egli fuggito dall’ambiente familiare, anch’egli in completa e irreparabile solitudine. Nell’irrazionale e illogica giostra del grottesco, il ragazzo incrocia lo sguardo del vecchio ubriacone, a bordo della sua stessa nave, prima di vederlo affogare inseguendo una bottiglia oltre il parapetto. Svolgersi dell’episodio che lo porta a dividere la stanza con lo stesso nipote del ricco ladro alcolizzato, convincendosi a seguirlo e rinunciando alle grigi prospettive lavorative che lo attendevano alla fine del viaggio.
La controversa coppia si ritrova a vagare tra la vegetazione di un’Africa pre-coloniale senza un autentico motivo di fondo. Alla morte improvvisa e inquietante del suo nuovo punto di riferimento, il giovane disertore si ritrova nuovamente solo, trovando riparo tra le mura angosciosamente alte e imponenti di un castello nobiliare spuntato tra gli alberi e gli arbusti africani.
Le stesse mura che avvolgevano i deliri onirici del vecchio ubriacone, in un cerchio che si chiude di fronte ai nostri occhi e che colora di senso e significato il concatenamento dei precedenti episodi. Anch’egli, sull’orlo di un crollo psicologico dettato dalla straziante solitudine, scova il passaggio che accede al sottosuolo, alla stratificazione del suo animo che accede ai nodi più inestricabili della natura umana.
Ma contrariamente a quanto succede al vecchio ubriacone, la cui fuga e conseguente tracollo si deve all’intrinseca corruzione dettata dall’avidità, ciò che guida il ragazzo è semplice purezza, semplice desiderio e ricerca del candore infantile perduto. Ritroverà, dunque, la casa dove i genitori l’attendono ansanti da quasi un mese, laddove il ladro alcolizzato trovò solamente ulteriore angoscia. Ed è in questo momento che la continuità delle storie assume una forma, un profilo che si rivela ai nostri occhi nella sua nitidezza. Pur rimanendo, nell’insieme, un magnifique gateau, un piatto meraviglioso nella sua surreale conformazione.
Un mediometraggio che gareggerà con i lungometraggi per l’assegnazione dell’anello d’oro di questo sempre più ricco Festival di Ravenna, dettaglio assolutamente non banale.