“Vivi!” – Miyazaki, Jodorowski e l’amor fati di Nietzsche

Tommaso Paris

Marzo 26, 2020

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“Vivi!” – Miyazaki, Jodorowski e l’amor fati di Nietzsche.

«Si alza il vento!…
Bisogna tentare di vivere».

(Paul Valery)

Queste le parole che fanno da cornice all’ultimo armonioso quadro dipinto da Hayao Miyazaki. Queste le parole che eternamente ritornano e pervadono la narrazione di Si alza il vento, la vita di Jirō e il suo sogno di diventare progettista d’aerei. Le pennellate dell’artista giapponese immergono lo spettatore in un mondo visionario, dove il senso di meraviglia, di aristotelica memoria, trova la sua autentica espressione.

Si alza il vento, dunque, e l’accadere destinale del mondo porta il piccolo Jirō a essere miope, scoprendosi così impossibilitato a pilotare gli aerei, apparentemente negando ciò che più lo appassionava a vivere. Tuttavia, quel medesimo accadere, gli dona la possibilità della poiesis, della costruzione dei suoi amati aerei, della progettazione di Sé nella realizzazione del proprio sogno. Divenendo ciò che sembra destinato a essere, Jirō fu uno dei più grandi progettisti d’aerei dell’intera storia giapponese, manifestando il suo sentimento per la vita nel proprio sogno e nell’amore verso la dolce Nahoko.

Con "Vivi!", Miyazaki, Jodorowski e Nietzsche, in forme profondamente diverse, si ritrovano a confessare il medesimo segreto: l'amor fati

Si alza il vento

La sua aspirazione si realizzò, ma se per qualcuno gli aerei sono una ragione di vita, per altri sono una ragione di morte. Durante la Seconda guerra mondiale, infatti, il Giappone utilizzò gli aerei di Jirō per scopi tragicamente bellici, trasformando il sogno in incubo, l’affermazione in negazione, rivelando così come l’andamento del vento sia eternamente imprevedibile.
Invero, quello stesso vento che con un soffio gli portò la donna della sua storia, con un altro gliela tolse, essendo lei, per caso o per destino, affetta da tubercolosi.

Le pennellate finali del quadro filmico mostrano Jirō perso in un mondo nel quale entrambi i suoi ideali sembrano essere andati in fumo. Tuttavia, in un sogno, il protagonista incontra Caproni, il proprio mentore, che lo convince a non rimpiangere la costruzione dei suoi aerei, anche se vennero finalizzati alla sofferenza umana; e il suo amore defunto Nahoko che lo esorta a vivere, a urlare «Sì» alla vita, nonostante tutto. Alcune tra le ultime parole filmiche di Hayao Miyazaki al mondo, infatti, provengono dalle dolci labbra di Nahoko che sussurrano:

Nahoko: «Vivi, vivi!».

Esattamente quel «Vivi!» che incarna Alejandro Jodorowski ne La danza della realtà quando, durante un atto psicomagico, sollecita sé stesso bambino a non gettarsi da un dirupo.

https://www.youtube.com/watch?v=mWkNGm_2YNA&feature=emb_title

Jodorowski: «Fermati!
Non saltare.
Non sei solo.
Sei con me.
Tu quanto sarai…lo sei già.
Quello che cerchi…è già in te.
Sii felice delle tue sofferenze: grazie a esse arriverai a me.
E io chi sarò da qui a vent’anni?
Da qui a cento, a diecimila?
Continuerà la mia coscienza ad avere bisogno di un corpo?
Io, per te, ancora non esisto.
Tu per me, non esisti più
Alla fine del tempo,
quando la materia inizia il cammino di ritorno,
al punto d’origine, saremo stati, tu ed io, solo ricordi.
Mai realtà.
Qualcuno ci sogna: affidati all’illusione,
vivi!».

Jodorowski, per redimersi da un passato nel quale non trovava sé stesso, immerso nelle trame di un padre dispotico e violento, una madre incapace di amarlo come dovrebbe e una società che non lo accetta per come semplicemente è, decide di riscrivere la propria narrazione, di raccontarsi un’altra storia, nella quale i genitori trovano la propria redenzione: il padre compiendo un percorso cristologico e la madre cantando lirica.

Per redimersi dai propri demoni, il poeta cileno racconta non ciò che fu, ma ciò che avrebbe voluto che fosse. Eppure, paradossalmente, quel «ciò che fu» divenne «ciò che volle che fosse», poiché furono proprio tutte le disgrazie e le sofferenze che venne condannato a subire a renderlo ciò che è oggi, a renderlo in grado di affrontare i propri demoni, abbracciandoli, accogliendoli.

Con "Vivi!", Miyazaki, Jodorowski e Nietzsche, in forme profondamente diverse, si ritrovano a confessare il medesimo segreto: l'amor fati

Alejandro Jodorowski

«Vivi!» ci esorta Jodorowski, perché solo affidandoci all’illusione troveremo risposta, e quella risposta, canta Bob Dylan, sta soffiando nel vento.

«The answer my friend, is blowing in the wind

The answer is blowing in the wind».

(Bob Dylan- “Blowin’ in the Wind”)

Vento come metafora dell’accadere del mondo, quel flusso di realtà che succede, semplicemente, senza un come o un perché, senza alcun valore etico o razionale, soffiando al di là del bene e del male. Un vento che, come l’eterno scorrere del fiume eracliteo, con il suo fischio ci invita a seguirlo, a coglierne l’essenziale e irripetibile attimo; mostrando come, nella sua imprevedibilità, l’assenza di un fine ultimo e assoluto conduca a un teatro di possibilità potenzialmente infinito.

Stiamo parlando di quel vento che portò un terremoto sconvolgente per la città giapponese, ma che permise l’incontro tra Jirō e Nahoko. Quello stesso vento che destinò a un piccolo Alejandro dei genitori repressi e non aperti alla sua innocente sensibilità, ma che gli consentì di divenire il poeta senza fine capace di redimersi persino dal proprio passato. Ed è lo stesso vento che causò la malattia e la follia di un profetico Nietzsche, ma che lo innalzò a essere voce delle sorti dell’Occidente.

Friedrich Nietzsche

Ma cosa lega un fumettista giapponese convinto che le anime dei bambini siano le eredi della memoria storica delle generazioni precedenti, un ebreo nel Cile fascista che compie atti psicomagici e un filosofo tedesco ritenuto da qualcuno nel passato come il fondamento ideologico del nazismo?

Il segreto ultimo che necessitano di confessare: amor fati.

«La mia formula per la grandezza dell’uomo è amor fati: non voler nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l’eternità. Non solo sopportare, e tanto meno dissimulare il necessario, ma amarlo».

(Friedrich Nietzsche)

Questa pratica esistenziale che avvicina degli autori così distanti, eppure così vicini, è in grado di trascendere culture, epoche storiche e spazi globali. In questo eterno polemos tra opposti, l’amor fati permette l’incontro di Oriente e Occidente, anima e corpo, destino e contingenza, determinismo e libero arbitrio, amore e odio, in un unicum che è l’eterno accadere della vita.

È il dire «Sì» alla vita, il desiderare le proprie sofferenze, l’accettare e assumere il proprio destino nelle sue più assurde e tragiche forme, così come nelle più autentiche e genuine.

Questo modo di esistere, professato dall’esistenzialista Jean-Paul Sartre nella formula secondo cui «bisogna trasformare la contingenza in passione», è reso manifesto dalle ultime parole dell’ultimo protagonista di Miyazaki che, con il vento che gli soffia in volto, sussurra «Ti ringrazio, ti ringrazio». 

Finale di Si alza il vento

In un luogo in cui l’accadere della vita si fa strada, destinale o contingente ormai poco importa, la scelta da compiere è continuare a camminare, accettando l’accadere così come si presenta e seguendo quella narrazione che diviene autentica solo se si decide di prenderne parte attivamente. E in tale scelta, il contingente si svela destino.

Nella danza della realtà Si alza il vento, direbbe Nietzsche.

Forse la libertà risiede proprio nell’assecondare tale necessità. Forse la risposta sta soffiando nel vento, direbbe il buon vecchio Bob Dylan, e a noi non resta che inseguirla.

«Si alza il vento!…
Bisogna tentare di vivere».

(Paul Valery)

Leggi anche: Si Alza il Vento – Miyazaki, Dedalo e Iron Maiden

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