Quanto è difficile rappresentare la vita nell’arte? Molto, anzi moltissimo. In ogni tipo di arte, ben inteso, dalla letteratura alla musica, dal cinema alla pittura. Noi siamo qui per parlare di cinema, e per questo tratteremo di un film tanto importante quanto meraviglioso: Vivre sa vie di Jean-Luc Godard.
Come dice il titolo, il film rappresenta filmicamente la vita di una persona, di una donna in particolare, la bellissima Nana, interpretata dalla straordinaria Anna Karina, musa del grande regista francese, il quale decide di narrare la sua storia dividendo l’opera in dodici capitoli, o meglio, quadri, come vediamo dal titolo completo originale: Vivre sa vie: film en douze tableaux.
All’inizio Godard presenta la protagonista di spalle, seduta al bancone di un bar, e così facciamo la sua conoscenza, scoprendo che ha lasciato compagno e figlio per traferirsi a Parigi, in quanto sogna di diventare attrice. Nel frattempo lavora in un negozio di dischi, ma non riesce a far fronte ai costi della vita nella metropoli, così finisce per darsi alla prostituzione.
Il cineasta mostra anche una Parigi pre-Sessantotto avvolta in un bianco e nero impeccabile, che fa da sfondo a una vicenda che, per certi versi, non è una vicenda vera e propria, ma una serie di sprazzi di vita, un insieme di microeventi, accadimenti quasi del tutto irrilevanti a volte, e proprio per questo efficaci a esprimere in maniera sincera e diretta ciò che Godard vuole comunicare.
Un film limpido e preciso, che in poco più di un’ora e venti riesce a offrire un ritratto a tutto tondo di un personaggio affascinante e complesso. Ciò è possibile anche grazie alle doti registiche di Godard, che dona al film una vitalità invidiabile attraverso un connubio strepitoso di soggettive, quadri fissi, carrellate, piani sequenza, panoramiche orizzontali, jump-cut e riprese documentaristiche.
Anna Karina regala una performance magnifica, asso portante nonché perno del film. Nana ci accompagna fin dalla prima sequenza, e seguiamo la sua evoluzione, la sua vita quotidiana, i suoi amori e umori, le delusioni, le paure, le preoccupazioni e le certezze.
Vivre sa vie è un film di grande onestà, messo in scena senza filtri e che ci comunica sensazioni profonde in maniera elegante e sobria.
Un’opera che tratta i rapporti sociali in modo diretto e realistico, con un tocco di crudezza, in cui la vuotezza delle relazioni umane emerge in tutta la sua brutale sincerità, e viene sottolineato anche il consumismo intrinseco dei rapporti interpersonali, quando Nana accetta di prostituirsi, ovvero di concedere a estranei pezzi del proprio corpo, del proprio essere, in cambio di denaro.
Nana si prostituisce però, come sottolineato da lei, per libera scelta, perché la libertà ha un peso, un’importanza, e comporta delle responsabilità. L’essere umano non può tirarsi indietro rispetto alla propria volontà, alla propria responsabilità, come d’altronde non può fare a meno di comunicare, nonostante Nana cerchi il silenzio e si rifugi in esso, finendo per esporre appunto il proprio corpo.
«Dobbiamo pensare. Per pensare, dobbiamo parlare. Non si pensa in altro modo. E per comunicare, bisogna parlare. È la vita umana», dice un vecchio filosofo con cui Nana si intrattiene in un bar.
Nana è un personaggio universale, senza confini, che racchiude dentro di sé questioni e dubbi esistenziali che non hanno confini di genere, ma si riferiscono a ogni spettatore attraverso l’uso che Godard fa della parola, vettore di riflessioni filosofiche complesse, di un’analisi sociologica stimolante.
La struttura frammentata, non tradizionale né lineare, dona ulteriore forza alle immagini, perché affidandosi quasi esclusivamente a esse per narrare la storia aggiunge ulteriore aura di fascino al film, staccando nettamente con la tradizione cinematografica. Un nuovo modo di raccontare quindi, che rende il tutto più teatrale, più autentico, perché dopotutto i personaggi del film vivono la loro vita, e noi li guardiamo, incantati.
Il film è uno degli esponenti più celebri e importanti della Nouvelle Vague, la nuova ondata di grande cinema francese iniziata tre anni prima, nel 1959, col capolavoro d’esordio di Truffaut, I 400 colpi. Godard, dopo Fino all’ultimo respiro, vero e proprio manifesto di un’epoca, continua così il suo percorso nel cinema d’autore realizzando l’ennesimo film memorabile dei suoi anni d’oro.
E lo fa con un’opera di cristallina bellezza, di innovativo splendore, di chiarezza sconvolgente, lanciando definitivamente il suo nome nell’olimpo dei grandi autori europei, e consacrando Anna Karina al pubblico di tutto il mondo come icona di stile e bravura.