«Al vostro amore si aggiunga la coscienza del vostro amore».
(Pier Paolo Pasolini, Comizi d’amore)
Comizi d’amore racconta l’Italia di ieri e di oggi
Con Comizi d’amore, Pier Paolo Pasolini tentò l’impresa più ardua della sua carriera: girare un documentario sulla vita sessuale degli italiani composto da molte interviste fatte a tutti gli strati della società, a persone di tutte le età. Con poco più che una cinepresa e un microfono immortalò un’Italia immortale: fatta di tabù, silenzi, pregiudizi e di dogmatiche verità imposte dall’altro.
Presentato al Festival di Locarno il 26 luglio 1964, il documentario fu diviso in quattro capitoli, ciascuno concernente un aspetto diverso della sessualità: I – Grande fritto misto all’italiana; II – Schifo o pietà?, III – La vera Italia?; IV – Dal basso e dal profondo. Chiude il film l’episodio della sposina, inventato, nel quale Pasolini tira le conclusioni sul lavoro svolto.
Ne risulta un trattato sociologico dell’epoca, in cui l’autore evidenzia tra le cause dell’ignoranza, della paura e dell’ipocrisia sull’argomento sessualità l’influenza svolta in gran parte anche dalla Chiesa cattolica.
Certo, molto è cambiato dal 1964, anno di uscita nelle sale della pellicola, come l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto giuridico del divorzio nel 1970 e la legge 194 sull’interruzione di gravidanza del 1978. Tuttavia, queste leggi hanno cambiato l’Italia sul piano normativo, ma non su quello sociale.
I dogmi che hanno plasmato le menti di generazioni di italiani non possono essere rimossi con la semplice approvazione di una legge. Basti pensare che nell’Italia del 2022 è ancora difficoltoso – soprattutto in certe aree del territorio – trovare un medico disposto ad effettuare un’interruzione di gravidanza.
Ecco quindi che l’Italia del 1964 presenta i tratti embrionali di un processo evolutivo che l’avrebbe portata a quella del 2022, nella quale l’educazione sessuale è stata affidata alla pornografia, dove la donna è ancora un oggetto da maneggiare senza consenso, e in cui la donna viene ammazzata quando non vuole più essere di qualcuno.
Un’Italia, la nostra, nella quale un omosessuale non viene tutelato nemmeno dalla legge, vagando in balia di violenze fisiche e verbali. Lo stigma di amare la persona sbagliata attaccato addosso, per chi ha forza di urlare al mondo le proprie preferenze sessuali. La condanna a una vita vissuta nell’ombra per chi è conscio di perdere tutto, rivelando il nome di chi ama.
I comuni denominatori di queste realtà aberranti sono la vergogna, il segreto, il detto-non-detto.
Vediamo, nel 1964 e nel 2022 un’Italia nell’ombra, che preferisce non parlare. Perché parlare vuol dire esporsi. E in una società in cui prevale il consenso, come la nostra, questo è intollerabile.
Il peccato originale dell’Italia che neppure il Diavolo tollera: l’ignavia.
Comizi d’amore come cinema-verità?
Pasolini: «Professor Musatti e Moravia, io mi rivolgo a voi come a due autorità e vi chiedo che senso può avere fare un’inchiesta come quella che ho cominciato. Tu Moravia, che ne pensi?».
Moravia: «Mah, penso che sia bene farla, qualunque siano gli effetti e i risultati di questa intervista; perché è una cosa che si fa per la prima volta, cioè per la prima volta, o quasi, credo che si faccia un film che i francesi chiamano cinema-verità, e per la prima volta questo cinema-verità in Italia parla della questione sessuale, la quale è tabù non soltanto sullo schermo, ma perfino nei salotti o nelle conversazioni abituali; perciò credo che in sé e per sé, l’intervista sia… sia bene farla».
Musatti: «Io penserei che la gente o non risponde o risponde in modo falso».
L’osservazione del Musatti su quanto detto da Moravia non è di poco conto.
È possibile, in un paese come l’Italia, produrre cinema-verità? Quanto attendibili possono essere le risposte di un italiano a domande inerenti al sesso, nelle sue più varie sfaccettature?
L’inibizione della babilonesca Italia rappresentata nel film – soggiogata da una morale cattolica e borghese – diventa, di fatto, il vero nucleo della produzione pasoliniana. Man mano che la ricerca avanza Pasolini prende coscienza di non poter ricavare risposte sincere dagli intervistati per diversi fattori: questi sono davanti a una macchina da presa, circondati da persone del loro stesso strato sociale, che ascoltano e replicano a quanto viene detto. Comizi d’amore non può essere cinema-verità ipso facto.
Cosa fare, dunque? Resosi conto che le uniche risposte sincere, davvero sincere, provenivano da ambienti proletari – tendenzialmente situati nelle zone meridionali della nostra penisola – legati a regole di comportamento e decoro rigide, sedimentatesi nei secoli, Pasolini si focalizza maggiormente su ambienti borghesi, questa volta ponendo loro quesiti ben più “caldi”.
Omosessualità – Schifo o pietà ?
Pasolini: «Appurato che gli Italiani, di fronte a delle domande generali oppongono una serie di innocenti e un po’ balordi NO COMMENT, vediamo un po’ che cosa succede di fronte a una domanda precisa, brutale, bruciante come, per esempio, l’omosessualità».
Il conformismo come testarda certezza degli incerti
Seguono, in questo capitolo, una carrellata di interviste, girate in ambienti medio-borghesi, in cui il concetto di omosessualità viene respinto in maniera categorica.
Più aggraziate nella condanna le donne milanesi in una balera che, poste davanti alla prospettiva di avere un figlio “invertito”, si appresterebbero a curarlo in ogni modo possibile. Non abbandonandolo, sia ben chiaro. Forse perché la morale cattolica non lo permette.
Ben più violente e rozze le considerazioni in merito all’omosessualità di alcuni uomini in viaggio in treno. Bofonchiando perifrasi quali: «mi fa schifo», «mi fa pietà» e «ne provo repulsione», creano un interessante contrasto con le eloquenti idee esposte dal poeta Ungaretti sul medesimo tema e chiudono il secondo ciclo di interviste. Certamente il più doloroso, per lo spettatore di oggi e per il regista di ieri.
Matrimonio e… divorzio all’italiana in Comizi d’amore
Pasolini non può fare a meno di notare un grande vulnus nel suo girato: gli italiani intervistati mancavano da una parte di intimità, dall’altra si dimostravano assolutamente privi di idee generali sulla vita sessuale. Nei capitoli che chiudono la pellicola, il terzo e il quarto, Pasolini-intervistatore modifica le domande della sua inchiesta tenendole a un livello molto più pratico. Concreto.
Sulle calde spiagge italiane Pasolini chiede agli intervistati di fornire un proprio parere sull’istituzione del matrimonio e sull’eventuale possibilità di ottenere una legge sul divorzio.
Anche qui, le donne sembrano sempre essere più aperte al cambiamento, mentre gli uomini tendono a voler preservare il vincolo del matrimonio senza possibilità di recesso.
Il tema della verginità viene affrontato da giovani romani con estrema leggerezza e giubilo, toccando di traverso anche il tema della pari libertà sessuale, rivendicata dai moti femministi di quel decennio.
I primi piani sui volti di questi giovani uomini e giovani donne, sorridenti, giocosi, dallo sguardo vispo, non possono che infondere un forte senso di orgoglio – per quello che sono riusciti a cambiare – e di rimpianto – per tutti i muri che non sono riusciti ad abbattere.
«Ner mondo ha fatto Dio ‘gni cosa degna,
ha fatto tutto bono e tutto bello…
BONA LA CASTITÀ, MEJO LA…».
(Giuseppe Gioachino Belli)
In un’Italia che si racconta come ligia al dovere cristiano, ecco che Pasolini chiude il cerchio di interviste con una nota d’ironia. Quale mai sarà il parere degli italiani sulla chiusura delle case di tolleranza con la Legge Merlin? Il dissenso con il dettato giuridico è unanime. «Meglio tenerle nascoste le prostitute, sulla strada rovinano il decoro urbano». Sembra una barzelletta, ma è proprio quello che si pensava al tempo: sì alla prostituzione, no alla prostituzione messa in mostra.
Tutto ci riporta qui. All’apparenza, al decoro. Favole che ci raccontiamo da quando la Chiesa cattolica è nata. Ma l’umanità è un’altra. Lo sappiamo noi nel 2022, lo sapevano loro nel 1964.
«Bisogna chiarire l’odio in comizi d’amore» scriveva PPP, in uno dei tanti finali scartati de Il sogno di una cosa. Chiarire, dunque conoscere. Conoscere, dunque non rifiutare.