Euforia – Accettare il caos e abbracciarlo disperatamente

Alessandra Savino

Giugno 27, 2022

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Euforia – Accettare il caos e abbracciarlo disperatamente

All’interno del percorso sul New Queer Cinema, aggiungiamo un capitolo di poesia sul fine vita, quello spazio di confine in cui la pulsione erotica incontra l’ultima pagina. La stessa che, piena di silenzio, rimarrà ineffabilmente bianca. E il cinema, come ogni arte che si rispetti, compie la più grande opera di significazione: proprio laddove viene a mancare il senso di tutto, la vita prende il sopravvento, non potendo fare a meno di compiersi.

«So in a manner of speaking
I just want to say
That just like you I should find a way
To tell you everything
By saying nothing».

(Tuxedomoon, In a Manner of Speaking)

Euforia è, dopo Miele, il secondo struggente lungometraggio dell’attrice Valeria Golino. Attraverso il rapporto controverso tra due fratelli, Matteo ed Ettore, interpretati rispettivamente da Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea, l’accettazione dell’omosessualità del primo si sovrappone all’accettazione della malattia terminale del secondo.

Valerio Mastandrea e Riccardo Scamarcio sono Matteo ed Ettore

L’euforia di Matteo

Matteo è un imprenditore carismatico, abita in un attico a Roma, veste firmato. Ride beffardo. Ma il suo sorriso sembra segarlo in due. Due, come il figlio che la sua famiglia avrebbe voluto avere e quello che invece è, un gay, un frocio, un finocchio, un diverso. Riempie i vuoti delle sue giornate in compagnia di dubbie amicizie, fa uso di sostanze stupefacenti, non riesce a stare mai da solo.

L’amore per lui è una caccia in cui si alternano preda e predatore, a volte con noia a volte con smania. Sa che per lui questa è la droga più difficile a cui resistere. Il desiderio di essere amato non ha niente a che fare con l’amare, prendersi cura di qualcun altro gliene darà la prova. Questo qualcun altro è suo fratello.

Quando Matteo scopre che non c’è guarigione dal male che lo ha colpito, inizia un estenuante gioco di depistaggi. Gli nasconde la verità in tutti i modi, cerca di fargli recuperare in intensità tutta l’euforia che gli è mancata per indole, organizza viaggi e appuntamenti combinati. Gli inscena la vita, gli crea delle possibilità.

L’euforia di Ettore

Ettore è un insegnante, modesto e pacato, abita ancora nella piccola città di provincia in cui entrambi sono nati e cresciuti. Cura il giardino, indossa spesso la tuta. Non ha particolari slanci. Sembra non avere alcuna percezione di sé, si lascia agire dagli eventi, segue la corrente delle cose.

La sua unica vera follia è stata lasciare la moglie (Isabella Ferrari) e il figlio per Elena (Jasmine Trinca), la donna di cui si è perdutamente innamorato. Quando alla fine viene casualmente a conoscenza dello stato della sua malattia, in preda al terrore e alla rabbia, si scaglia contro Matteo. Qui avviene la conflagrazione, quel momento tanto atteso di rottura, di reazione, quasi di esorcizzazione. Ettore sa che morirà presto, ma sa anche che è ancora vivo.

L’euforia della vita

Nel finale di Euforia Matteo guida come un ossesso per le strade di Roma in cerca di Ettore, pentito e amareggiato per lo scontro avvenuto la notte precedente. Lo chiama al cellulare, stonato dai rumori dei clacson e con le lacrime che gli annebbiano la vista. Il fratello inaspettatamente gli risponde, serafico, distratto, sembra rapito da qualcosa. Matteo lo raggiunge. Eccolo lì sul Lungotevere, in ammirazione di uno stormo che danza sopra la sua testa, così libero e così lontano dal dolore.

I loro nodi, ferite suppuranti, nascoste sotto strati e strati di convenzioni sociali e disappunti familiari, si sciolgono in un abbraccio disperato. Ed è questa resa il vero atto rivoluzionario, l’apice dell’amore, l’euforia della vita, il fatto stesso di esistere, di scorrere, di lasciare andare.

euforia
L’abbraccio tra Matteo ed Ettore rappresenta la riappacificazione con la vita

«Mi sembra che la morte, o la felicità travolgente, o meglio la bellezza sublime – cui si unisce chi ritiene che la morte sia il nulla e che l’estasi, il piacere non abbiano alcuna importanza; che l’orrore, la bellezza, il sublime e la banalità si sommino e si accordino – che la morte e il piacere e la bellezza si ritrovino, o piuttosto si perdano nel sorriso che nessuno riuscirà mai a distinguere da un singhiozzo. Ma ci sarà in un sorriso il miscuglio confuso che nasconde un singhiozzo?».

(George Bataille, Il morto, 1964)

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