Cosa succede davvero nel finale di Tár?
Qual è il destino di un carnefice? Dopo un fatto di cronaca nera o, come spesso accade, una serie di accuse mediatiche, si tende a concentrarsi sull’individuazione del colpevole. Dopo che quest’ultimo è stato condannato da una sentenza o dall’opinione pubblica, di solito ci si dimentica di lui, del suo futuro e della sua esistenza. Nell’ultimo atto di Tár, film candidato a sei premi Oscar, il regista Todd Field decide di dedicare spazio al destino della direttrice d’orchestra Lydia Tár (Cate Blanchett).
Dopo le accuse di condotta sessuale inappropriata e abusi di potere, la vita di Lydia subisce un drastico e drammatico cambiamento. Viene lasciata dalla compagna Sharon (Nina Hoss), che le impedisce di vedere anche la figlia adottiva, e viene sostituita nella direzione della sua orchestra.
Completamente sola, sia professionalmente sia sentimentalmente, Lydia si trasferisce in un luogo imprecisato del sud-est asiatico.
Dopo un po’ di tempo, sembra che la donna riesca comunque a continuare la sua professione, venendo assunta come direttrice di un’orchestra del luogo. La sera dell’esibizione, Lydia sale sul palco come ha sempre fatto. La donna stringe la mano al primo violino e, con la dedizione e la passione che la contraddistingue, inizia a dirigere l’orchestra. In questo momento, lo spettatore crede che quella di Lydia, nonostante tutto, non sia una caduta completa. Certo, ha perso un posto di rilievo nella città in cui viveva e l’amore della sua famiglia, ma può comunque riprendere a dirigere.
A un certo punto, però, l’inquadratura si sposta da Lydia all’orchestra. Dietro di essa scendono dei teli, su cui iniziano ad essere proiettate delle immagini, con una voce fuoricampo. Di primo impatto, il pubblico crede che Lydia stia conducendo la colonna sonora di un film. Poi però, la macchina da presa inquadra il pubblico: si tratta di un vasto gruppo di cosplayer. Capiamo così che Lydia sta dirigendo la colonna sonora di un videogioco che, non a caso, si chiama Monster Hunter. In questo modo si conclude la tragica e autodistruttiva storia di Lydia Tár.
Di primo impatto, l’epilogo di Tár non può che far percepire il senso di sconfitta provato dalla protagonista.
Field non intende certo denigrare o sminuire la qualità dei videogiochi contemporanei, ma è chiaro come per Lydia dirigere questa colonna sonora sia una vera e propria umiliazione. Dinanzi a tale epilogo, lo spettatore prova sentimenti contrastanti. Da una parte si rende conto che Lydia ha adottato comportamenti moralmente riprovevoli, che hanno profondamente ferito le persone attorno a lei. Non sarebbe stato giusto se la donna avesse mantenuto la propria posizione di potere.
Dall’altro lato, però, non si può fare a meno di provare una certa amarezza per il suo destino. In fondo, abbiamo conosciuto Lydia nella sua intimità, cogliendone sì l’arroganza, ma anche e soprattutto la vulnerabilità. Come già anticipato, il fatto che il videogioco si chiami Monster Hunter non è una scelta casuale. Per quanto Lydia abbia commesso azioni immorali e illegali abusando della propria posizione di potere, additarla come “mostro” è probabilmente troppo semplicistico, se non ingiusto. Per quanto spesso fatichiamo ad ammetterlo e preferiamo vedere il mondo in bianco e nero, anche i cosiddetti carnefici sono esseri umani.
Questo però è il significato manifesto dell’epilogo dell’opera, il più palese e immediato.
Se ci si sofferma a pensare al significato che Lydia Tár dà al proprio mestiere, il finale assume un significato più profondo.
Durante una delle prime scene del film, Lydia rimprovera uno studente della Julliard perché antepone i propri ideali alla musica. In particolare, il ragazzo si rifiuta di suonare Bach, perché in vita il compositore aveva adottato comportamenti misogini. La direttrice, di tutta risposta, gli rivolge le seguenti parole:
Devi sublimare te stesso, il tuo ego e sì, la tua identità.
Durante la sua carriera, si può dire che l’Io di Lydia Tár fosse diviso in due. Da una parte, la donna dirigeva l’orchestra con passione e trasporto emotivo, lasciandosi completamente condurre dalle note del compositore. Dall’altra, però, Lydia si serviva del proprio mestiere per farsi ammirare e adulare, ma soprattutto per abusare della propria posizione. In un certo senso era proprio il suo ruolo di direttrice a permetterle di affermare prepotentemente la propria identità.
Quando le viene sottratta la sua posizione di potere, Lydia Tár perde parte del proprio Io.
E così, dato che non può fare a meno di dedicare la propria esistenza alla musica, diventa un tutt’uno con’essa. In un certo senso, si potrebbe affermare che il finale di Tár contenga una sorta di ironia tragica. Con arroganza e una certa ipocrisia, rimproverava a uno studente di non avere l’umiltà di scindere la propria identità dal proprio mestiere, quando era lei stessa la prima a non riuscirci. Ora, nel momento in cui sembra aver perduto tutto tranne la passione per il proprio mestiere, non può fare a meno di annullare il proprio ego, mettendo inconsapevolmente in pratica le parole che aveva pronunciato.
L’artista annulla il proprio io per essere un tutt’uno con la sua arte, a prescindere da quanto essa possa incontrare il suo gusto o il suo interesse. In questo amaro ma meraviglioso epilogo, la sublimazione di Lydia Tár con la musica è completa e probabilmente definitiva.