Il cinema fenomenologico di Yuri Ancarani

Tommaso Paris

Giugno 24, 2022

Resta Aggiornato

Il Cinema Fenomenologico di Yuri Ancarani

«Il film non si pensa, ma si percepisce».

(Maurice Merleau-Ponty, Il cinema e la nuova psicologia, 1945)

Così sentenzia Maurice Merleau-Ponty in una conferenza a Parigi nel 1945, invitato da André Bazin – fondatore dei Cahiers du cinéma e padre spirituale della Nouvelle Vague –, realizzando uno dei primissimi contributi della corrente fenomenologica sul linguaggio cinematografico.

Il film non si pensa dunque, né nella sua fase di realizzazione produttiva-autoriale né in quella di ricezione spettatoriale. Il film, come qualsivoglia altro fenomeno, si percepisce.

Abbandonando l’idea tradizionale di fenomeno come mera apparenza mascherante, il motore di ricerca dell’indagine fenomenologica è qui inteso, attraverso l’incontro relazionale con una coscienza-in-situazione, come «ciò-che-si-manifesta-in-se-stesso». Paradossalmente, il fenomeno si rivela essere, al contempo, un assoluto e un relativo – come ciò che appare in se stesso, ma sempre rispetto a qualcuno o qualcosa -, rompendo il classico dualismo dicotomico occidentale.

Ma cosa intendiamo con fenomenologia?

«L’espressione fenomenologia significa primariamente un concetto di metodo. Essa non caratterizza il che-cosa reale degli oggetti della ricerca filosofica, ma il come di quest’ultima».

(Martin Heidegger, Essere e tempo, 1927)

Da Vinci di Yuri Ancarani

Risulta difficile, se non inverosimile, definire che cosa sia la fenomenologia, in quanto impossibile racchiudere una prassi all’interno di un recinto teoretico circoscritto. Prediligendo la descrizione anziché la spiegazione, la fenomenologia tenta di rispondere alla domanda del «come» piuttosto che a quella del classico «cosa» di platonica memoria.

«La filosofia contemporanea non consiste nel concatenare concetti, ma nel descrivere il mescolarsi della coscienza con il mondo, il suo incarnarsi in un corpo, la sua coesistenza con le altre, e questo argomento è cinematografico per eccellenza».

(M. Merleau-Ponty, Il cinema e la nuova psicologia, 1945)

La pratica fenomenologica avviene attraverso l’atteggiamento di epochè: sospensione di giudizio, messa tra parentesi di qualsivoglia pensiero orientato al mondo, prassi teorica tendente a un’osservazione pura del reale. E in questo, il cinema, come mezzo espressivo che più di tutti riesce a rappresentare l’immaginario, diviene fratello gemello della fenomenologia. Non è un caso, infatti, che cinema e fenomenologia nascano a qualche anno e qualche chilometro di distanza.

Lo sa molto bene, forse inconsciamente, Yuri Ancarani: autore di svariate opere audiovisive che, nella loro produzione ed espressione, assumono caratteri fenomenologici, nelle quali segno e significato appaiono indistinguibili, in cui il raccontare viene sovrastato dall’esigenza esistenziale di mostrare.

Se per Merleau-Ponty la fenomenologia «è il tentativo di una descrizione diretta della nostra esperienza così come è»; della stessa filosofia è il cinema di Yuri Ancarani che, attraverso la sua macchina da presa e senza una sceneggiatura, si immerge voyeuristicamente e camaleonticamente in svariate realtà, osservandole, scrutandole, spiandole, e rappresentandole filmicamente.
Nella sua lunga realizzazione di prodotti audiovisivi – per i quali cura la regia, la fotografia e il montaggio -, il cinema di Yuri Ancarani si concentra inizialmente sui cortometraggi: scoprendo e mostrando ne Il capo (2010) la direzione orchestrale degli scavi nella cava di marmo di Carrara, immergendosi insieme a dei sommozzatori in una camera iperbarica per estrarre del gas in Piattaforma Luna (2011), e seguendo i bracci robotici di un sistema chirurgico in un’operazione in corso in Da Vinci (2012).  

Il Capo di Yuri Ancarani

Yuri Ancarani, perseverante nella ricerca del fenomeno in quanto fenomeno, è riuscito a convincere le Nazioni Unite a entrare in un cimitero di Haiti, luogo in cui trascorse due anni, per riprendere filmicamente una danza rituale vudù in Whipping Zombie (2017). Analogamente, per Séance (2014), ha persuaso una medium e un morto a filmare una seduta spiritica.

«Non è un lavoro, non è un business, e non è sempre piacevole. È una vocazione».

(Yuri Ancarani)

La ricerca di Yuri Ancarani prescinde e sussiste da un giudizio morale o politico di fronte alla realtà, persino quelle più eticamente discutibili sono un agglomerato di fenomeni e, in quanto tali, necessitano di essere mostrati per ciò che intimamente sono. L’autore, infatti, si immerge in situazioni che personalmente non lo aggradano, come la realtà del carcere, la ricchezza del calcio o degli sceicchi, ma incarnando l’esigenza di chiedere «come» è il mondo, piuttosto che «cosa» è o dovrebbe essere.

Dunque, passa anni alla lavorazione di San Siro (2014) sviscerando tutte le ramificazioni dello stadio, oppure trascorre altri tre anni in Qatar per The Challange (2016) a osservare gare di falchi nel deserto da parte di sceicchi che girano in Lamborghini con un leopardo al guinzaglio.

The Challenge di Yuri Ancarani

Per entrare nelle situazioni più disparate, Yuri Ancarani deve agire da camaleonte, sospendere fenomenologicamente il proprio giudizio e lasciarsi attraversare dalla realtà così come accade. Risulta l’unico modo possibile per addentrarsi autenticamente in un mondo, farsi accettare da esso e permette che possa manifestarsi così come appare, senza sentirsi limitato di fronte a un occhio giudicante. In tutti questi lavori documentaristici non esistono attori o sceneggiature che vadano a orientare l’andamento delle cose, ma è la realtà in quanto tale a divenire protagonista, perennemente scrutata dallo sguardo libero da pensieri e accogliente di percezioni di Yuri Ancarani e della sua videocamera, pedinando poeticamente il mondo. Tuttavia, inserendosi in questi ambienti come coscienza incarnata e osservatore partecipante, l’autore vive una relazione osmotica con le realtà che intende rappresentare, lasciandosi inevitabilmente trasformare da esse.

«L’unico attore di questo film sono io».

(Yuri Ancarani)

Riuscendo a trasformare la contingenza in passione, nel 2019 l’autore si è gettato nel suo ultimo progetto: Atlantide (2021), primo vero lungometraggio che gioca con la finzione, mostrando la vita reale di alcuni adolescenti della laguna di Venezia, tra barchini, motori, musica techno e marijuana.

«All’inizio erano scettici, pensavano fossi della Digos. Poi ho scoperto che a Jesolo c’era una serata con Carl Cox e che ci andavano tutti. Ho fatto in modo di riuscire a salire sul palco e ho girato un video, loro mi hanno visto, li ho conquistati così».

(Yuri Ancarani)

Atlantide di Yuri Ancarani

Yuri Ancarani, consapevolmente o meno, attua l’epochè fenomenologica, mette tra parentesi il proprio pensiero intorno al mondo e si lascia sorprendere da esso, osservandolo così come accade, infatuato dalle possibilità della percezione. Infatti, conferma Merleau-Ponty «quando percepisco, non penso il mondo, ma è il mondo a organizzarsi davanti a me». In questo senso, Yuri Ancarani si mostra fenomenologo, in quanto si lascia sorprendere dal mondo, dal fenomeno come appare a una coscienza che, insieme all’obiettivo cinematografico, tenta di essere scevra di ogni residuo di soggettività latente. Il film non si pensa, dunque, ma si percepisce.

«Io lavoro solo con l’inconscio».

(Yuri Ancarani)

Atlantide di Yuri Ancarani

La troupe di Yuri Ancarani non deve fare domande, non deve chiedere «cosa» o il «perché» delle scelte registiche durante le riprese, poiché come un automatismo psichico puro, l’istinto prende il sopravvento e si manifesta in quanto tale, a prescindere da qualsivoglia implicazione di ordine etico o logistico. La ricerca di Yuri Ancarani è eminentemente percettiva e sensoriale, tanto che nella lavorazione di Atlantide, accompagnato da due psicanalisti e due esoteristi, effettuava rituali di ayahuasca, sperimentando esperienze alterate, ma fenomenologicamente reali, che potessero aprirgli nuovi orizzonti di possibilità. 

«La percezione è a fondamento di tutto perché essa ci insegna, per così dire, ad avere un rapporto ossessivo con l’essere: esso è là, davanti a noi, e tuttavia ci raggiunge da di dentro».

(M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 1945)

È proprio la percezione, nelle sue infinite ramificazioni, che guida e solca il sentiero ininterrotto da percorrere, che sorprende e meraviglia in una dialettica perturbante di stupore e spavento. Ed è proprio quella percezione meravigliosa che vuole rendere riprodotta, rappresentata ed espressa, tentando di imprimere al divenire il carattere dell’essere attraverso l’ausilio del mezzo cinematografico.

«Il mio segreto è lasciarmi sorprendere, devo cercare di portare allo spettatore esattamente la stessa sorpresa che ho avuto la prima volta. Io ho bisogno di vedere quella cosa e devo riprenderla subito. E allora lì riesco a imprimere quella cosa. Il mio lavoro è così: un fluido che non può essere contenuto, che può essere cinema ma anche memoria».

(Yuri Ancarani)

L’autore, meravigliato da quel mondo che emerge a un grado sempre più elevato di purezza senza mai esaurirla, tenta di esprimere filmicamente quelle percezioni che lui stesso ha esperito.

yuri ancarani
Whipping Zombie di Yuri Ancarani

Se per Merleau-Ponty «il film non vuol dire nient’altro che se stesso», ciò significa che il film è da intendersi in quanto fenomeno, percettivo ed espressivo, e dunque al contempo esperienziale e conoscitivo. Lo spettatore – anch’esso partecipante a una forma di epochè perché osservatore attivo solo dialetticamente, presente e passivo poiché distante – scopre, conosce e si meraviglia davanti a un mondo che gli si manifesta innanzi, percependo una realtà che, consapevole di essere finzione, esprime più realtà persino della realtà stessa. Il film non si pensa, dunque, ma si percepisce.

«Una volta ho fatto delle normali riprese a una ragazza. Poi qualche giorno dopo sono tornato a casa e ho guardato il girato. Solo lì, osservandola, mi sono accorto che quella ragazza era vergine».

(Yuri Ancarani)

Eppure, il cinema, libero e liberato persino dallo stesso metodo fenomenologico, può accedere a stadi di realtà altri, misteriosi, segreti e inconsci che, forse, pur rimanendone intimamente intrecciato, trascendono la fenomenologia stessa.

«È vero che, di solito nella vita, perdiamo di vista il valore estetico della minima cosa percepita. È vero anche che mai nel reale la forma percepita è perfetta, c’è sempre del mosso, delle sbavature e come un eccesso di materia. Il dramma cinematografico ha, per così dire, una trama più serrata dei drammi della vita reale e si svolge in un mondo più esatto del mondo reale».

(M. Merleau-Ponty, Il cinema e la nuova psicologia, 1945)

La ricerca di Yuri Ancarani passa rigorosamente attraverso le immagini, entità rivelatrici che, mostrando la presenza di un’assenza e l’assenza di una presenza, attuano un’eccedenza estetica tale da sembrare (ed essere) più vere del mondo vero.

«Mi interessano le immagini che parlano, quelle sublimi, contraddittorie, opposte. Sono difficili da raggiungere, ma cerco sempre di avvicinarmici il più possibile. L’unica cosa che mi interessa è raggiungere il sublime».

(Yuri Ancarani)

yuri ancarani
Piattaforma Luna di Yuri Ancarani

«Sublime è il senso di sgomento che l’uomo prova di fronte alla grandezza della natura sia nell’aspetto pacifico, sia ancor più, nel momento della sua terribile rappresentazione, quando ognuno di noi sente la sua piccolezza, la sua estrema fragilità, la sua finitezza, ma al tempo stesso, proprio perché cosciente di questo, intuisce l’infinito e si rende conto che l’anima possiede una facoltà superiore alla misura dei sensi».

(Immanuel Kant, Critica del giudizio, 1790)

Come l’epochè, anche la ricerca del sublime si rivela un’impresa impossibile da realizzare, ma necessaria da perseguire. Come quel Sisifo camusiano condannato a sollevare una pietra su una montagna per l’eternità, il lavoro del fenomenologo e del cineasta è inesauribile, aprendo infinite porte possibili, sempre all’insegna di qualcosa che possa sorprendere, percettivamente ed espressivamente.

«Io nell’ambiente del cinema cerco di portare nuove possibilità».

(Yuri Ancarani)

Il cinema non si pensa, dunque, ma si percepisce e si esprime.

yuri ancarani
Yuri Ancarani

Leggi anche: Bloom up – Il voyeurismo fenomenologico di Mauro Russo Rouge

Correlati
Share This