Mi sento vuoto, dice Luciano al padre dopo l’ennesima sbronza. Dopo aver visto Re Granchio mi sono sentito svuotato e riempito, e di nuovo, riempito e svuotato. Perché Re Granchio non si riduce alla sola piacevole esperienza del racconto leggendario e folkloristico (esplicitata fin dall’inizio), ma spinge a riflettere sul presente: sui dubbi, le angosce dei giovani, di tutti coloro che si sentono, come Luciano, incompresi e incomprensibili. Come riempire un’esistenza vacua?
I due giovani registi italoamericani Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi con Re Granchio, presentato al Festival di Cannes 2021, presentano l’atto conclusivo della trilogia “viterbese”, cominciata con il celebrato Belva nera e continuata con Il solengo.

Con la loro ultima fatica si sono attirati le attenzioni non solo della critica, ma anche di una parte del grande pubblico, inserendosi di diritto nel panorama cinematografico italiano.
A poche settimane dall’uscita in sala di Re Granchio, noi di ArteSettima abbiamo chiacchierato con i due registi cercando di carpire qualcosa dalla loro creatività.
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Domanda di rito. Come vi sentite? Che reazione vi aspettate dal pubblico?
Matteo Zoppis
Ormai siamo quasi alla fine del pubblico. Speriamo si aggiungano altre sale. Però è andata bene, mi sembra, per quello che ci eravamo proposti.
Alessio Rigo de Righi
Speriamo che il film venga visto il più possibile. Più che quello che ci aspettiamo, ci interessa quello che riceviamo: confrontandoci col pubblico, promuovendolo in varie città.
Come presentereste a uno spettatore Re Granchio?
Alessio Rigo de Righi
Lo presenteremmo come il terzo film che scaturisce da questa casina di caccia, in cui un gruppo di persone, con cui abbiamo legato un vero rapporto affettivo, ci racconta queste storie e questa è una di quelle. È la storia di Luciano. Un ubriacone che entra in conflitto col principe del suo paese per il diritto di passaggio da una porta. Si innamora e poi commette un fattaccio e finisce salvato dal padre che lo manda in esilio nella Terra del fuoco.
Quant’è stato difficile immergersi nella quotidianità di Tuscia? Come avete ottenuto la fiducia e poi la partecipazione al film della gente del posto?
Alessio Rigo de Righi
Il film è la conseguenza di quest’amicizia. Di questo rapporto e interesse che è quasi come quello di un ragazzo che ascolta le storie dai suoi nonni. La difficoltà forse, se ne dobbiamo trovare una, è che le persone che recitano nella prima parte del film non volevano stare di fronte alla macchina da presa e quindi cercavamo di convincerli, dovevamo costruire delle scene con attori non professionisti.
Matteo Zoppis
È l’evoluzione di un percorso nostro. Una nostra sfida interna, in realtà. È iniziata con un film molto più piccolo, che poi è diventato un altro film e ancora un film nuovo in cui noi ci mettevamo alla prova. La sfida di rendere loro degli attori e palesare il fatto che diventassero degli attori in questo film.
Abbiamo conosciuto il cuore di questo paese e ciò ci ha portati a continuare a conoscere le persone del paese fino a convincerle a recitare come attori. Abbiamo instaurato un rapporto che è durato molti anni, abbiamo ricercato e approfondito la storia e i rapporti con loro.
Alessio Rigo de Righi
Da parte loro è iniziata a esserci anche la volontà di stare semplicemente assieme, mangiando, bevendo e chiacchierando.

Quanto c’è di storicamente narrato dagli abitanti del posto e quanto è frutto della vostra immaginazione?
Matteo Zoppis
Partiamo da un’idea storicamente narrata per poi inventare tutto.
Alessio Rigo de Righi
Prendiamo spunto da una serie di elementi che loro ci hanno fornito col racconto: l’ubriacone del paese, il conflitto col principe per il diritto di passaggio da una porta, un fattaccio misterioso, un esilio in Argentina.
Matteo Zoppis
Poi la storia è una commistione di altre storie, cose che ci ricordavamo, cose che magari non sono mai state dette, cose che appartengono a qualcos’altro.
Vi hanno associati a Herzog e addirittura a Tarkovskij. Io non azzardo paragoni che possono sfuggire di mano, ma mi interesserebbe sapere quali vostri interessi hanno influenzato la creazione di questa storia, sia a livello letterario che a livello cinematografico.
Alessio Rigo de Righi
A livello letterario c’è una fascinazione da parte nostra per Dino Campana, anche a livello biografico. Ad esempio, col suo misterioso viaggio in Argentina. Anche qualcosa del realismo magico e il romanzo di avventura come Lord Jim di Conrad. Rispetto al cinema sicuramente il western anni ’70 americano e gli spaghettoni.
Passando alla storia in sé, a me ha colpito molto il ruolo di Dio e del sacro. C’è un’aura di sacralità nel corso del film. Poi, nella seconda parte, quando Luciano si finge prete, invoca direttamente la figura di Dio. Quindi volevo sapere da voi, che ruolo svolge Dio e il divino nella storia?
Matteo Zoppis
In questo paesino c’è un santo patrono come quasi in tutti i paesini d’Italia. Santo patrono portato da una famiglia nobile. E questo santo ha una storia più pagana che altro. È un santo che arrivava dal nord, era stato in Francia. Prima ancora di questo, c’era stato un altro santo portato da un’altra famiglia nobile che poi è stata sostituita. Noi partiamo dall’idea di un paese con delle credenze anche pagane per arrivare poi all’altra parte del mondo dove c’è l’abisso a dover cercare Dio. Una specie di cammino salvifico che parte dal basso, vicino al mare, e arriva fin su, alla luce. C’è anche l’idea di Luciano che muore più volte e poi resuscita, un’idea di inframondo della seconda parte. Come se nella seconda parte il personaggio fosse svuotato da tutto.
Il suo salvataggio è Dio o il granchio, ovvero il tesoro, oppure non si sa?
Matteo Zoppis
È una commistione di cose. Non ha più elementi né mezzi o strumenti.

A livello tecnico mi chiedevo se il formato che avete scelto avesse un valore significante o semplicemente estetico?
Alessio Rigo de Righi
Abbiamo girato in super 16, quindi il formato è un classico 16:9.
Matteo Zoppis
Abbiamo lavorato concettualmente nella fotografia, la prima parte doveva avere una visione più claustrofobia del mondo che doveva riflettere la personalità del personaggio. È un personaggio indeciso, che cerca di realizzarsi e fare delle cose, ma non riesce a fare nulla, quindi la sua dimensione interiore è più stretta. Mentre nella seconda parte si apre, il paesaggio diventa desolato e lui è sempre più perso.
Mi ha colpito anche l’utilizzo di una specie di “zoom rallentato”, che a volte andava stringendo e a volte andava allargando verso Luciano.
Matteo Zoppis
Ha ovviamente valenze di regia. Se sta stretto su di lui e si apre può indicare che Luciano stesso si sta aprendo verso il mondo e rivela sicuramente delle cose. Mentre quando si trova nei sassi lo zoom serve per rappresentare la sua sensazione di perdizione.
Alessio Rigo de Righi
Rispetto alla questione del santo mi è venuto in mente che a Vejano festeggiano ogni anno il santo Orsio. Avevano il santo Orsio che era stato portato dagli Orsini e quando un’altra famiglia nobile decise di portare un nuovo santo, loro hanno invece rivendicato il vecchio Santo Orsio come loro santo, pur essendo stato imposto da un’altra famiglia nobile. È un processo interessante per comprendere come si sedimentano e come cambiano col tempo le tradizioni.
Matteo Zoppis
Orsio era un cavaliere di Carlo Magno che era andato a combattere nella Ex Jugoslavia ed era poi rimpatriato. Il suo simbolo è il braccio con la trinità che gli era stato staccato per togliergli l’anello da un ladro. Ma c’è anche un’altra leggenda attorno a questo santo. Luciano ha un percorso salvifico simile a questo santo. Storie di redenzione. Infatti Sant’Orsio non aveva riconosciuto la moglie incinta e il padre lo aveva condannato a vagare per dodici anni in cerca di Dio.
Alessio Rigo de Righi
Questo racconto nasce un po’ dalle leggende che ci hanno raccontato e un po’ da delle ricerche.

Noi nel nostro piccolo abbiamo teorizzato una corrente del cinema italiano contemporaneo, definendola realismo allegorico: si tratta di quel filone di film che pur partendo da una base profondamente realista diviene, nel corso della narrazione, metafora e racconto del realismo stesso, di matrice garroniana e di cui fanno parte i film di Alice Rohrwacher, Favolacce dei Fratelli D’Innocenzo, Fulvio Risuleo e Pietro Castellitto.
A proposito di Re Granchio vorrei chiedervi: quanto c’è di reale e contemporaneo nell’archetipo del personaggio di Luciano? E quanto la sua storia – profondamente favoleggiante e decontestualizzata – generi, in realtà, codici collegabili al contemporaneo stesso?
Matteo Zoppis
Il protagonista del film è stato scelto da noi proprio perché non faceva parte del gruppo di abitanti. Che è un po’ quello che collega i nostri film quello fuori dal gruppo. Il primo film era una pantera che si aggirava nella campagna. Nel secondo è quest’uomo che aveva deciso di vivere lontano da tutti gli altri uomini per sessant’anni dentro un grotta e non voleva parlare con nessuno di quelli che raccontavano il film.
E il Re Granchio è un personaggio al centro di un paese formato solo da nobili da una parte e contadini dall’altra. Lui è un alieno. L’unico borghese del paese. Per questo abbiamo scelto un nostro amico e non un abitante del posto. Quasi come se fossimo noi stessi nel luogo. Personaggio al centro di una situazione che deve risolvere, ma alla fine non riesce a risolvere nulla, un personaggio pieno di dubbi della nostra generazione.
Alessio Rigo de Righi
Abbiamo messo dentro la storia e il personaggio questioni che riguardano direttamente la nostra generazione, la nostra società: il cercare un amore e distruggerlo, la ricerca di un ideale.
Matteo Zoppis
Di essere tutt’altro che risoluti.
Alessio Rigo de Righi
Cercare la fortuna in culo al mondo…
Rispetto alle altre cose che dici questa è una cosa che trovo interessante, soprattutto per quanto riguarda voi che scrivete di film. Trovare collegamenti tra autori e poi inserirli all’interno di una corrente, un filone, e poi creare da quel filone qualcosa, mi sembra sempre interessante.
Aspetti tecnici che generano una sorta di sospensione, l’utilizzo di una luce molto abbagliante (come in Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher), anche l’idea di una realtà allegorizzata attraverso una narrazione favolistica. Mi sembrano elementi del realismo allegorico che ritornano nel vostro film.
Alessio Rigo de Righi
Sì, magari si parla più di correnti, movimenti, che di wave o manifesti che definiscono e fermano. Di qualcosa che non è fermo, è in movimento, è costante, che va avanti.
Matteo Zoppis
È un dialogo aperto. Ho comunque capito di cosa stai parlando, ho letto il manifesto.

Dai, vi faccio l’ultima domanda e poi siete liberi. Progetti futuri? State già scrivendo qualcosa di nuovo?
Alessio Rigo de Righi
Stiamo facendo esattamente quello. Stiamo lavorando a un nuovo progetto, che però non sappiamo ancora descriverti.
Matteo Zoppis
Beh, in realtà, potremmo già… (ridono)
In una parola?
Matteo Zoppis
È un po’ diverso. Vogliamo fare cose nuove.
Alessio Rigo de Righi
Vogliamo cercare di portarci avanti, sempre più lontano.
Rimarrete nel viterbese?
Matteo Zoppis
Boh, chissà. Siamo andati talmente lontani geograficamente che capace te dico di sì e invece…
Alessio Rigo de Righi
Stiamo comunque lavorando a un nuovo film, sperando di farlo più velocemente.