Céline Sciamma – Per una voce queer nel cinema francese

Sabrina Pate

Giugno 1, 2022

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Vincitrice del Prix du scénario e della Queer Palm al Festival di Cannes per il suo Ritratto della giovane in fiamme (2019), Céline Sciamma rappresenta oggi una regista simbolo del New Queer Cinema. Fin dal suo primo lungometraggio, La nascita delle piovre (2007), la Sciamma si fa portavoce della comunità queer, rendendo il cinema d’autore un mezzo privilegiato per indagare le questioni dell’identità e dell’orientamento sessuale. Céline Sciamma riprende la tradizionale attenzione riservata alle tematiche amorose e all’infanzia dalla Nouvelle Vague, per rielaborale attraverso uno sguardo femminista e attento alla comunità LGBTQ+.

Come illustrato da Laura Mulvey in Piacere visivo e cinema narrativo (1975), il sistema patriarcale ha influenzato il mondo cinematografico, in particolare, il cinema hollywoodiano classico. Ciò si evince dal fatto che le pellicole cinematografiche spesso elicitano una identificazione dello spettatore con il personaggio maschile, attivo e artefice del proprio destino, e, al contrario, una oggettificazione del personaggio femminile, passivo agli eventi e presente unicamente per essere guardato.

Il cinema di Céline Sciamma è rivoluzionario proprio nella misura in cui sovverte questi rapporti di potere e porta sullo schermo una prospettiva femminista e subalterna.

La sua produzione cinematografica si fa carico di narrazioni che sembrano non aver avuto finora diritto di esistenza tanto nel mondo filmico, quanto in quello letterario. Le sue pellicole raccontano storie spesso taciute e dimenticate, di persone marginalizzate ed escluse, che offrono una prospettiva diversa sulle cose, un punto di vista sul mondo agli antipodi rispetto a quello dominante.  

céline sciamma
Céline Sciamma e Adèle Haenel sul set di Ritratto della giovane in fiamme (2019)

Nel suo primo film, come anche in Tomboy (2011), la Sciamma sovverte la logica imperante, esclusivamente maschilista e eteronormativa, presentando un mondo al femminile in cui i personaggi maschili sono assenti o del tutto secondari ai fini della narrazione. Si decostruisce l’idillio della coppia “tradizionale”, della famigliola felice, per mostrare amori giovanili e omosessuali, bambini che prima ancora degli adulti comprendono che il sesso biologico non ha nulla a che vedere con l’identità di genere. Céline Sciamma si fa così portavoce di una nuova tendenza del cinema francese che, con uno stile delicato e impressionistico, ritrae vissuti fin troppo spesso ignorati.

La nascita delle piovre

La nascita delle piovre, proprio come il successivo Tomboy, presenta un itinerario di formazione incompiuto, e forse proprio per questo più autentico di altre opere che ambiscono ad affermare verità universali. L’elemento che domina il film è l’acqua, simbolo della femminilità, ma anche dello scorrere continuo, di quel panta rei di cui parla Eraclito. Metafora del passare del tempo, della crescita inesorabile che chiama a venire a patti con se stessi, ma anche della fluidità, della malleabilità, innanzitutto di genere.

Mettendo in scena i topoi dei teen movies, Céline Sciamma segue l’innamoramento della giovane Marie (Pauline Acquart), appena quindicenne, rimasta folgorata dalla visione di Floriane (Adèle Haenel), durante una performance di nuoto sincronizzato. Ben più sgraziata è invece la sua amica di lunga data Anne (Louise Blachère), inconsapevole del proprio corpo e ancora bloccata in una ingenuità infantile.

Il corpo, in sua continua mutazione ed evoluzione, è di fatto il protagonista della pellicola, qualcosa di cui si prende coscienza proprio nell’età adolescenziale.

Il corpo femminile è stato storicamente oggetto di una costante strumentalizzazione e reificazione da parte dell’industria cinematografica ai fini di soddisfare il male gaze. Al contrario, Céline Sciamma ripudia una rappresentazione del corpo femminile volta a soddisfare i desideri scopofili degli spettatori e mostra piuttosto quel rapporto di odio e amore con il proprio corpo e con il corpo altrui, centrale per la propria identità e il proprio orientamento sessuale.

Contro i canoni estetici dominanti nella nostra cultura, la Sciamma mostra un corpo gracile e minuto come quello di Marie, imprigionata in un aspetto da bambina che non corrisponde alla sua maturità interiore. Ancora, un corpo goffo e impacciato, di cui Anne si vergogna. Infine, un corpo etereo e sinuoso, come quello di Floriane, sbirciato di nascosto attraverso lo sguardo di Marie.

In La nascita delle piovre e Tomboy Céline Sciamma riflette sull'identità di genere e l'orientamento sessuale con uno sguardo femminista.
Floriane e Marie si baciano

Marie contempla Floriane, che ai suoi occhi appare come una novella Venere botticelliana. La narrazione si costruisce attraverso una dinamica di sguardi, di parole non dette, di frasi lasciate a metà. Per tre volte le labbra di Marie e Floriane si sfiorano, ma solo alla fine, quando Marie trova il coraggio di uscire maggiormente allo scoperto, le due si abbandonano a un bacio appassionato. Il desiderio dell’una per l’altra, tuttavia, innesca più che una storia d’amore, una storia di ricerca di sé, di una verità sul proprio orientamento sessuale in una fase in cui si abbandonano le illusioni e le certezze infantili.

Eppure, in questo spaccato di crescita, la Sciamma sembra proprio suggerire che non c’è alcuna identità prestabilita da cercare, nessuna verità assoluta e immutabile su se stessi, ma solo un continuo divenire e un continuo mutare.

Si è ciò che si diventa, si diventa ciò che si è, si è ciò che si fa e in quanto esseri umani l’unica costante del nostro percorso di vita rimane proprio questa continua fluidità.

In La nascita delle piovre e Tomboy Céline Sciamma riflette sull'identità di genere e l'orientamento sessuale con uno sguardo femminista.
Marie vede Floriane e François che si baciano

Marie questo sembra capirlo poiché non cerca mai davvero di definirsi e di etichettare i propri sentimenti: semplicemente vive il suo amore per Floriane. Quest’ultima, al contrario, apparentemente così sicura di sé, è vittima di una ideologia patriarcale nonché di una eteronormatività imperante.

Da una parte, reitera la dicotomia maschilista tra vergine e poco di buono e vuole che gli altri credano che abbia già perso la verginità. Dall’altra, è succube di una eterosessualità naturalizzata e quasi obbligata che la spinge a nascondere il suo rapporto con Marie e ad abbandonarsi alle avance maschili contro la sua volontà.

Vittima di tale logica eteronormativa appare anche Anne. Dopo essere stata rimproverata da Marie di essere ancora una bambina, si decide a fare sesso con François, forse anche per celare che le sue attenzioni per Marie vanno oltre la semplice amicizia. Nel finale sembra tuttavia comprendere che non c’è alcuna identità o norma a cui doversi conformare e che i significati che attribuiamo agli atti sessuali non sono altro che costrutti variabili da società a società. Così, Marie e Anne si buttano in piscina, abbracciando la fluidità e l’indeterminatezza che inesorabilmente caratterizzano il vivere umano.

Marie e Anne in piscina

Tomboy

Nel successivo Tomboy, Céline Sciamma intraprende un viaggio all’indietro, dall’adolescenza all’infanzia, per realizzare un’opera che affronta il delicato tema dell’identità sessuale. Come il titolo del film suggerisce, Laure (Zoé Héran) è considerata un “maschiaccio”: indossa maglie larghe e bermuda piuttosto che vestiti e gonne, non si trucca, e preferisce la compagnia maschile nelle ore di gioco.

Tali atteggiamenti, tuttavia, rivelano una più profonda dissonanza che Laure avverte tra il suo sesso biologico e il suo genere. Trasferitasi in un nuovo quartiere con la sua famiglia, coglie così l’occasione per presentarsi agli altri bambini come Mikael.  

Le calde settimane che precedono l’inizio della scuola, tra giochi, baci rubati e litigate, offrono alla Sciamma l’occasione per riflettere ancora una volta sul corpo, un corpo che Laure guarda con diffidenza poiché incapace di esprimere la sua interiorità.

La riflessione qui si spinge oltre rispetto al primo lungometraggio poiché non indaga un corpo immaturo che prima o poi fiorirà, o un corpo grasso che aspira ad aderire a canoni di bellezza irrealistici, ma piuttosto un corpo che, come un fardello, esprime un sesso che stride con il genere che si avverte come proprio. Un’etichetta, un nome, Laure, che sovrasta l’interiorità di Mikael.

Laure si guarda allo specchio

La Sciamma sembra inizialmente reiterare degli stereotipi sull’universo maschile e femminile in quanto Mikael associa naturalmente e intuitivamente atteggiamenti come sputare e giocare a calcio all’essere maschio. Tuttavia, il titolo del film suggerisce che tale modo iniziale di rappresentare Laure/Mikael non è altro che una provocazione, una denuncia a quell’ideologia essenzialista che vorrebbe identificare determinati comportamenti come propri di un genere o di un altro.

Al contrario, Céline Sciamma mostra come l’identità sessuale vada ben al di là del sesso biologico, smentendo il pregiudizio secondo cui determinati corpi sessuati sono agganciati a un genere o un altro.

Questo gli adulti, pressoché assenti nella pellicola, non lo capiscono, vittime di una logica che sovrappone sesso e genere, eterosessualità e normalità. Così, dopo aver scoperto che Laure si è presentata agli altri bambini come Mikael, i genitori la/o puniscono e la/o obbligano a rivelare agli altri il proprio sesso biologico, piuttosto che comprenderla/o e supportarla/o.

Eppure, Laure/Mikael sa nel profondo che la propria identità sessuale è qualcosa che trascende la dimensione cromosomica di una persona. Contro ogni assolutismo ed essenzialismo, nel suo itinerario di crescita e di ricerca di sé giunge a consapevolezza che l’identità sessuale non è mai qualcosa di fissato una volta per tutte, ma libero e fluido, come il lago in cui si immerge in una scena emblematica del film.

Contro ogni etichetta e categorizzazione, non afferma mai una verità assoluta su di sé, non si identifica mai con una X determinata e stabilita, ma semplicemente fa, performa il proprio genere.

I bambini giocano nel lago

Così, quando alla fine del film confessa di chiamarsi Laure, questo nome non è più un’etichetta soffocante che la costringe in un essere assoluto, ma piuttosto il simbolo di un vissuto soggettivo e irriducibile, il suo vissuto, un’identità in continuo divenire, indeterminata e fluida, proprio come quella di Marie, Anne e Floriane.

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