Con “Ed Wood” parliamo di un film burtoniano certamente tra i meno celebri ma non per questo degno di scarsa considerazione.
L’autore di “Edward mani di forbice”, “La fabbrica di cioccolato” e di “Miss Peregrine – la casa dei ragazzi speciali” con questa pellicola, presentata nel 1994, ci fornisce infatti un tassello importante per comprendere il mondo dal quale nascono le sue opere.
L’ironia che permea il personaggio di questo film a conti fatti è la stessa che, sottotraccia, rileviamo nelle oniriche e spettacolari pietre miliari della sua produzione cinematografica.
Questo è un film biografico fuori dal comune, esalta il sapore dell’inadeguatezza del protagonista al ruolo di regista e lo propone in una salsa fatta di scene grottesche e profonda ironia.
La sceneggiatura è figlia della fottutissima ammirazione che Tim Burton ha sempre nutrito per il più anziano collega, classe 1924, Edward D. Wood Jr.
Colui il quale è stato insignito dalla critica come “PEGGIOR REGISTA DI TUTTI I TEMPI”.
Il personaggio
Professionista visionario e dallo stile sostanziale, Edward Wood fu un regista bizzarro e fuori dagli schemi attivo negli anni ‘50.
Se gli avessimo chiesto per quale motivo non girasse nuovamente una scena venuta male ci avrebbe risposto sicuramente: <<nel cinema non conta il dettaglio bensì la magia dell’insieme>>. O molto più plausibilmente non disponeva dei sufficienti mezzi economici.
Fu l’infinita passione per il grande schermo, l’abnegazione con cui si dedicava alla professione di cineasta a consentirgli di oltrepassare le barriere degli scarsi mezzi e probabilmente anche delle limitate capacità stilistiche.
Riuscendo ad arrivare a noi sino ai ‘90, grazie ad un film sulla sua carriera girato da Burton.
Il grande regista, riferendosi ad alcune lettere scritte dal suo idolo, dirà:
<<Non ho mai visto nulla di simile, quel tipo di cattiva poesia e di ridondanza – come nel dire cinque frasi per spiegare qualcosa quando una persona normale ce ne impiegherebbe una… Eppure in esse c’è una sincerità che è veramente insolita, e le ho sempre trovate un qualcosa di toccante; questa caratteristica dà loro un senso surreale, magicamente sentito>>
Nei film di Wood non raramente ci imbattiamo in pezzi di scenografia urtati accidentalmente dagli attori, in frenetici montaggi delle scene a mascherare uno scialbo girato, in personaggi non meglio identificati nel contesto della trama.
Alla perplessità dello spettatore non sfuggono, neppure, le stesse idee alla base delle sceneggiature e certamente così accadeva anche sessant’anni fa.
Per citarne qualcuna: in “Plan 9 from outer space” sono riuniti nello stesso film vampiri, zombie ed ufo extraterrestri; in “Bride of the monster” uno scienziato pazzo prova a creare una razza di giganti sfruttando l’energia atomica spalleggiato da servitori come un energumeno sub-umano e una piovra gigante.
Bizzarro è anche il reclutamento degli attori da parte di Wood che, ad esclusione del famoso Bela Lugosi, ha interessato principianti e personaggi tv come l’ex wrestler Tor Johnson, The amazing Criswell e Vampira dell’omonimo horror tv show degli anni ‘50, arrivando finanche a scritturare i suoi amici personali.
Ma come dice Burton, a dispetto della tecnica e di uno stile sommari colpiscono le suggestioni e le emozioni che le sue pellicole custodiscono.
Potremmo definire epico per il genere B-movies il monologo iniziale di Bela Lugosi in “Glen or Glenda”. L’attore interpreta un’indefinita figura sovrannaturale che tutto sa, comunicando col suo sguardo magnetico da professionista navigato tutta la pena per l’incontrovertibile miseria del genere umano, destinato a sfuggire al senso profondo della vita immerso com’è nella quotidianità.
“Glen or Glenda”. Approfondiamo quest’opera assolutamente pionieristica: fu commissionata a Wood nel ‘52 sulla scia del caso mediatico di Christine Jorgensen: tra le prime persone a sottoporsi al processo di cambiamento del sesso.
Il film narra di un giovane e del malessere a vestire i panni di uomo, del suo sentirsi a proprio agio soltanto indossando indumenti femminili. Il protagonista, interpretato dallo stesso Wood, dovrà accettare la propria natura e tentare di farla comprendere alla moglie che, alla fine del film, si rivelerà indulgente mediante un’altra scena che ha dell’epico.
Il passaggio di consegne del proprio golfino, da lei, al marito.
Questo film fu d’importanza cruciale per il regista e non solo in quanto precursore dei tempi nell’affrontare certe tematiche ma, soprattutto, perché lui stesso amava da sempre vestire abiti femminili. Con predilezione particolare per i golfini d’angora.
L’amicizia con Lugosi
Attore di origini ungheresi, Bela Lugosi ha avuto l’onore di calcare palcoscenici come quelli di Broadway e di recitare in lungometraggi di fama internazionale, divenendo attore di grido del genere horror.
Celebre la sua prova, da protagonista, nel grande classico del 1931 “Dracula”, una delle più note trasposizioni cinematografiche dell’omonimo romanzo di Bram Stoker.
Nel corso degli anni ‘30 e ‘40 ha partecipato a numerosissimi film hollywoodiani, per lo più di genere horror e fantastico, acquisendo una fama tale da esser riconosciuto il più grande d’allora, nel genere, insieme a Boris Karloff.
A metà degli anni ‘40 però la fortuna inizia ad abbandonarlo, i ruoli si riducono a quelli da “caratterista”, persino a parodie del suo stesso personaggio e del conte Dracula, vero simbolo della sua carriera.
Qui entra in gioco il nostro Edward Wood. Il giovane e speranzoso regista ebbe la fortuna di fare la conoscenza del vecchio attore, ormai giunto all’età di settanta anni.
In vertiginoso declino e sull’orlo della bancarotta, l’ex divo accettò la parte propostagli in “Glen or Glenda” e così ebbe inizio il sodalizio artistico ma soprattutto umano che legò i due negli anni a seguire.
Ora, proviamo solo ad immaginare questa strana coppia.
Il regista dalle idee strampalate, che amava vestire golfini d’angora sul set e l’attore, divo caduto in rovina e da anni morfinomane.
Immaginiamoli insieme inscenare momenti leggendari come la lotta col pupazzo-piovra gigante che, in “Bride of the monster”, vedeva il Dr. Eric Vornoff/Bela Lugosi accapigliarsi con lo strano essere nell’acqua d’uno stagno.
Proviamo ad immaginare, anche se arduo, che nel ‘59 per “Plan 9 from outer space” Wood affida l’importante parte del Signore delle tenebre ad un ormai deceduto Lugosi.
Come?
Semplice. Montando all’inizio del film alcuni spezzoni (privi di sonoro) girati nel giardino di casa dell’attore, mentre assorto ad annusare il bocciolo d’un fiore contemplava la bellezza della vita.
E, contestualmente, facendo recitare un medico chiropratico conosciuto per caso come controfigura.
Sebbene una certa somiglianza con Lugosi ci fosse, questo debuttante non fu esentato dal tenere il volto coperto per tutto il film: cosa che Wood riuscì “magistralmente” a giustificare ricorrendo con continuità alla più classica delle pose vampiresche. Viso celato dal mantello che, portato appena sotto gli occhi, ne lascia intravedere unicamente lo sguardo ammaliatore.
Il Film
Della pellicola preme subito dire che è girata in bianco e nero.
Una scelta nostalgica che conferisce al film, da un lato un tocco di realismo e attinenza al periodo dei fatti narrati, dall’altro un affascinante alone fatto di luci ed ombre dal quale emerge il caratteristico volto di Depp e quello oscuro e penetrante di Martin Landau.
Non stupisce la maestria di Tim Burton con cui, rinunciando al colore, riesce ad aggiungere enfasi alla narrazione, a rendere visiva quella “esaltazione dell’essenza e dell’essenziale” che è il filo conduttore del film.
Trattando degli attori, invece, occorre citare in primis Martin Landau: vincitore grazie a questo film del premio oscar come miglior attore non protagonista nel 1995.
La sua interpretazione di Lugosi, intensa ma a tratti anche ridicola, toccante durante gli ultimi momenti di vita del personaggio, gli è valsa la statuetta.
Con un piccolo sforzo di fantasia possiamo esser certi sia riuscito a rendere omaggio ad un’artista che ha attraversato oscuri momenti, dentro e fuori dal set, e a cui la storia purtroppo riconosce scarsamente i giusti meriti.
Grandiosa prova anche per Johnny Depp, che esibisce un’interpretazione alla Depp: carismatica, trasognata, stravagante. Riesce ad unire sensibilità, goffaggine e comicità in un unico personaggio e a farne arrivare gli sforzi al cuore dello spettatore, indipendentemente dal risultato.
In ultima analisi “Ed Wood” è certamente l’opera meno spettacolare di Burton ma non per questo meno incantatrice delle altre.
Semplicemente adopera altri mezzi.
Non ci sono effetti speciali ma troviamo una ridicola, commovente fottutissima passione del protagonista per il cinema, a dar vita a momenti magici…
Non siamo catapultati in scenografie fantastiche, d’accordo, siamo però continuamente accarezzati da un compassionevole velo d’ironia… anche attraversando i momenti più tristi.
In buona sostanza è un film divertente, che regala una seconda vita a personaggi dimenticati, riproposti in chiave umoristica.
E non da ultimo, rappresenta il cinema che celebra sé stesso.
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