Roma Città Aperta – Il ritratto autentico di una città straziata

Valentina Palermo

Febbraio 24, 2019

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Roma Città Aperta – Il ritratto autentico di una città straziata

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Roma, 1944. La guerra è nella sua fase culminante. Mentre le forze alleate risalgono lo stivale, la capitale è ancora assediata dalle truppe nazi-fasciste che inaspriscono le misure di controllo per contrastare le azioni partigiane. Giorgio Manfredi, esponente del movimento, sfugge a una retata delle SS rifugiandosi a casa di Francesco, suo amico e sostenitore della Resistenza. Qui conosce Pina, madre del piccolo Marcello e futura moglie di Francesco, e Don Pietro, sacerdote che sfrutta i privilegi della sua tonaca per aiutare i partigiani. Le storie di questi quattro personaggi si intrecciano fra le strade di una Roma impoverita e distrutta in cui la debolezza e la paura può spingere a tradire persino la persona amata.

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Pina e don Pietro

È questa la struggente storia al centro di Roma Città Aperta, uno dei più importanti manifesti del Neorealismo diretto da Roberto Rossellini. Quando il regista inizia a girare la pellicola è il gennaio del 1945. La guerra non si è ancora conclusa e nella capitale sono ben visibili i danni provocati dai bombardamenti e dall’occupazione tedesca. Meno visibili, ma ben più strazianti, sono invece i segni che il conflitto ha lasciato sulla popolazione. Gli italiani sono sfiniti e impauriti. Quella che doveva essere una gloriosa marcia verso il trionfo internazionale, si è rivelata una catastrofe.

In questo clima di stanchezza ed esasperazione, con pochi mezzi e con ancora meno fondi a disposizione, Rossellini riesce a confezionare un’autentica opera d’arte avvalendosi dell’aiuto di Sergio Amidei, Celeste Negarville e Federico Fellini per la composizione della sceneggiatura. A distanza di oltre settant’anni, Roma Città Aperta rappresenta non solo la testimonianza nuda e cruda di uno dei periodi più bui della storia recente del nostro Paese, ma anche un capolavoro cinematografico annoverato fra i film più importanti del secolo scorso. Le ragioni che ci spingono a pensare ciò sono molteplici, ma oggi proveremo a riassumerne alcune attraverso l’utilizzo di quattro parole chiave.

Tensione – la magistrale costruzione di momenti al cardiopalma

Fra gli elementi che contraddistinguono la pellicola c’è senza dubbio la tensione. Questo ingrediente, già presente negli Stati Uniti ma assente nella cinematografia italiana degli anni Quaranta, rende Roma Città Aperta un film ancora oggi molto attuale.

La suspense costruita da Rossellini è infatti estremamente contemporanea. Le terribili perquisizioni da parte delle SS o i momenti in cui Don Pietro mette a repentaglio la sua incolumità per aiutare i partigiani riescono a tenere perfettamente alta l’attenzione (e l’ansia) dello spettatore. Questa ottima gestione della suspense si deve non solo all’abilità del regista, ma anche alle eccellenti performance degli attori protagonisti e a una musica resa sempre più incalzante nei momenti più ansiogeni.

Nonostante l’età, Roma Città Aperta non sfigurerebbe affatto fra i film ad alta tensione di oggi. Anzi, considerando l’attuale produzione di thriller italiani rappresenterebbe una perla rara.

Orrore – il coraggio di mostrare il male

Altro elemento rilevante all’interno del film è l’orrore. Il regista vuole ricostruire il periodo dell’occupazione tedesca senza celare la brutalità dei pestaggi e le torture perpetrate dai soldati nazisti.

In Roma Città Aperta vediamo il sangue, le ferite e gli strumenti di tortura. Ascoltiamo le strazianti urla dei prigionieri interrogati dalla Gestapo. Leggiamo la paura negli occhi di chi è consapevole di andare incontro ad atroci sofferenze.

Ma oltre all’orrore evidente mostrato attraverso il dolore fisico, nel film si avverte un orrore forse ancora più raccapricciante. In diverse scene ci ritroviamo infatti di fronte alla completa mancanza di empatia e allassenza di qualsiasi traccia di umanità dei membri delle SS. Il modo disumano con cui il capitano Bergmann e i suoi sottoposti trattano i prigionieri e i loro discorsi sulla superiorità della razza tedesca ci ricordano l’abisso in cui l’animo umano può sprofondare. Un abisso senza ritorno che Roberto Rossellini non ha paura di mostrare in tutto la sua malvagità.

Dignità –la forza di un personaggio femminile iconico

La capitale descritta in Roma Città Aperta è una città fiaccata dalla miseria e allo stremo delle forze. Fra guerre, poveri e tradimenti, Roberto Rossellini ci ricorda però quanto sia importante mantenere alto il valore della dignità. Questo valore è espresso in particolare dal personaggio di Pina, interpretato da una straordinaria Anna Magnani.

Nonostante le difficoltà, la donna si mostra sempre tenace e non perde mai la lucidità per affrontare gli eventi. Il suo orgoglio e la sua forza d’animo brillano particolarmente se paragonati alla viltà di chi invece preferisce ricorrere a escamotage per aggirare gli ostacoli. Ma questo personaggio così forte e determinato non manca di trasmetterci anche tanta tenerezza e compassione.

Quando Pina, seduta sulle scale, ammette di essere stanca ed esasperata, sembra quasi volersi liberare del peso del mondo che porta sulle spalle. Il peso dei sotterfugi, delle bugie dette per proteggere le persone amate e della paura che la guerra si porti via quel poco che con tanta fatica è riuscita a preservare.  Ma poi Pina si rialza, e nonostante la stanchezza è pronta a ricominciare a combattere per il bene dei suoi cari.

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Una scena del film “Roma Città Aperta”

Speranza – un tocco di positività in attesa di un domani migliore

In questo quadro disarmante in cui aleggia un pesante senso di disperazione, un piccolo spiraglio di speranza c’è. A rappresentarlo, sono i tanti bambini presenti nella pellicola.

Questi bambini, capeggiati dal piccolo Marcello, hanno conosciuto la fame e hanno visto i loro familiari morire. La loro infanzia e la loro innocenza sono state portate via da una guerra senza senso che li ha costretti a rapportarsi con qualcosa di più grande di loro. Eppure sono pur sempre bambini e ce lo ricordiamo mentre li guardiamo giocare a calcio nell’oratorio assieme al meraviglioso don Pietro di Aldo Fabrizi o mentre vengono rimproverati dai loro genitori.

Nell’ultima sequenza li vediamo camminare in gruppo mentre davanti a loro si staglia una Roma inquieta. Roberto Rossellini non ci svela dove quei bambini siano diretti, ma ci lascia sperare che dopo tante sofferenze almeno loro vadano incontro a un domani migliore.

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