The Firm – The Dark Side of Football

Carmine Esposito

Ottobre 26, 2021

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Clive “Bex” Bissel è un agente immobiliare dalla parlantina svelta, la lingua salace e la verve giusta; ha una moglie, una figlia piccola e una villetta multifamiliare in un sobborgo londinese.

È un professionista affermato, capace di vendere case nonostante le prese in giro a danno dei clienti, ma quella vita non gli basta. Quella vita ordinaria e fin troppo borghese gli sta stretta, si sente un lupo in gabbia a impersonare sempre il ruolo del buon padre di famiglia. Per questo, è a capo di quella che lui chiama The Firm: un gruppo di hooligans del West Ham; ragazzi e uomini, appassionati di calcio e assetati di adrenalina.

Gli scontri sono come una droga per Bex: tutto il suo tempo libero lo passa coi suoi amici della Inner City Crew, parlando di quelli passati e pianificandone di nuovi. Ci pensa ogni momento, a casa, con la famiglia, a lavoro; è totalmente ossessionato da Yeti e Oboe, i capi di due gang rivali, i suoi più acerrimi nemici.

Vorrebbe, anche se solo per poco tempo, superare la rivalità per creare quella che potrebbe definirsi “The Firm” nazionale; ma l’odio è più forte di qualsiasi ambizione, e la proposta non fa altro se non buttare benzina sul fuoco della rivalità.

Agguati, auto bruciate, sfregi in pieno volto; la ICC si lecca le ferite, ma Bex non molla. La violenza subita è una molotov che esplode e fa espandere la sua anima in fiamme in ogni dove, senza controllo.

Il football passa in secondo piano, anzi sparisce proprio, restano solo vendetta e paura. La prima, senza quartiere, contro i suoi nemici, la seconda da instillare nei loro cuori, portando la violenza fin dentro le case di ognuno.

Ormai Bex gira in tondo, totalmente rapito dal labirinto che ha costruito con le sue stesse mani. Non gli importa lasciare tutto il resto fuori, non conta se la moglie, la figlia, gli amici, la vita ne restano esclusi; neanche se, peggio ancora, i pochi innocenti che lo circondano sono costretti a subire un pizzico di sana ultraviolenza al suo posto, come accade a sua figlia e sua moglie.

Clive è solo un morto che cammina, afflitto da una fame perenne che non si sazia mai, che aspetta solo una pallottola che possa salvarlo da questa dannazione eterna.

The Firm
Looking for troubles!

The Firm (1988) è un film per la TV targato BBC. Una piccola perla servita sul piccolo schermo, direttamente dalle mani del regista Alan Clarke; con Gary Oldman che firma una delle sue più grandi interpretazioni, nei panni di Clive Bissel.

Idealmente, nel percorso artistico di Clarke, The Firm è l’ultimo di una trilogia di film che parla di violenza e marginalità nelle metropoli britanniche; la dialettica propria di questa pellicola va a braccetto con altri due titoli del regista: Scum (1979), che parla di delinquenza giovanile e periferie; Made in Britain (1982), incentrato sulla figura di un naziskin, impersonato da un Tim Roth al suo esordio attoriale.

Il carattere crudo e tagliente dei suoi film, ha attirato su Clake un gran numero di critiche da parte dei conservatori, ma questo non gli ha mai impedito di raccontare la violenza, l’odio e le marginalità che albergano i sobborghi, di riportare a galla tutto il marcio che il thatcherismo aveva nascosto sotto il tappeto del suo pugno di ferro.

Senza capire, però, che la repressione subita dagli operai, sia dentro che fuori dalla fabbrica, non avrebbe fatto altro se non esacerbare un conflitto strisciante; conflitto che poi si manifesta nell’abuso di droghe pesanti, nell’odio cieco e ingiustificato, nella violenza dell’hooliganismo.

La ICC al gran completo

Proprio di questo parla The Firm, di come l’unico modo per sfuggire alla sensazione di vuoto che assale gli abitanti dei Suburbs, siano pub e pugni.

Lo fa in una maniera nuova, in totale controtendenza rispetto alla vulgata diffusa a metà degli anni ‘80; fino a quel momento, il fenomeno hooligans era sempre stato legato saldamente alle intemperanze del weekend nei quartieri operai.

Sulle orme dei romanzi di Alan Sillitoe, pub e gradinate erano i luoghi prediletti dagli operai dove sfogare a suon di risse tutte le scorie accumulate in una settimana di fabbrica, regalando così, un senso di lombrosiana superiorità ai ceti più abbienti che giudicavano indecorose simili manifestazioni umane.

Ma Bex non è un operaio. Anzi. Bex è uno yuppie da strapazzo, a cui piacciono le belle macchine, vestire sempre elegante e bere con gli amici. Non mostra alcun sentimento di appartenenza a una squadra di calcio, a un quartiere o a qualsiasi cosa che non sia sé stesso.

E così, con The Firm, per la prima volta l’hooliganismo diventa un fenomeno trasversale, e mostra il lato oscuro del boom economico degli anni ’80, dopato dall’impennata degli indici delle borse che hanno generato un vero e proprio cannibalismo sociale.

The Firm
Clive “Bex” Bissel

“We just like hitting people”, recita uno dei ragazzi della ICC. Nelle sue parole, la svolta di fine secolo, il passaggio dalle lotte degli anni ’70, alle discoteche degli anni’ 80; è l’avvento dell’individualismo, del capitalismo libidinale, del consumo sfrenato.

Gira tutto intorno al piacere, alla soddisfazione in tutti i sensi, a quel semplice senso di liberazione che regala il godimento di qualcosa atteso così a lungo. E infatti gira tutto intorno a Bex, alla ricerca del brivido, alla “ruota” di adrenalina e il regista lo mette in risalto sia narrativamente che tecnicamente. 

Facile, ad esempio, notare come il grande assente sia proprio il calcio, nonostante si parli di gruppi di tifosi; ci sono gli scontri, c’è il pub, ma neanche uno stadio, una gradinata o una bandiera.

Dimostrazione del fatto che, a dispetto dei presupposti, la partita sia un pretesto per altro, che il calcio sia una scusa per portare a galla i più sordidi istinti che una rispettabilità borghese non potrebbe accettare. Ma a nulla valgono le richieste della moglie di Bex, né tanto meno fa presa su di lui la realizzazione di come la violenza si inserisca a casa sua e investa sua moglie e sua figlia.

Anche la macchina da presa, in The Firm, è un prolungamento della libido di Bex, assecondando l’altalena della sua necessità di violenza. Non si limita a seguirne i movimenti, come farebbe un cane da caccia, ma ne imita anche la foga e la tensione.

La camera si esprime con inquadrature fisse, lente, che passano da un volto all’altro imitando lo sguardo di uno dei presenti alla scena, alternate poi a lunghe carrellate nervose, per strada, con movimenti vorticosi e vertiginosi.

Tutto per assecondare meglio possibile l’azione ripresa, per amplificare i momenti di calma che Bex trascorre in casa, con gli amici e la moglie, a bere birra e guardare la tv, ma allo stesso tempo per pompare l’adrenalina e far girare la testa allo spettatore negli scontri, negli inseguimenti, negli agguati.

The Firm è un film atipico, caustico.

Mette in mostra quel lato del calcio che la maggioranza benpensante non vuole vedere, la polvere sotto al tappeto di una società cannibale. Per forza di cose, l’individualismo e lo yuppismo, la voglia di prevalere e di dominare, portano con sé una componente violenta che spinge a combattere e schiacciare gli altri.

Eppure, una persona come Bex fa storcere il naso, dà la nausea; ma è solo sdegno figlio di una moralità ipocrita che prova a soffocare la violenza imperante sotto un velo di buoni sentimenti. Se lo sport è lo specchio della società, allora l’hooliganismo è l’anima oscura che la superficie cristallina di quello stesso specchio nasconde alla vista.

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