Princess di Roberto De Paolis.
«Ci sono due vie per affrontare la vita: la via della Natura e la via della Grazia. Tu devi scegliere quale delle due seguire.
La Grazia non mira a compiacere sè stessa. Accetta di essere disprezzata, dimenticata, sgradita. Accetta insulti e oltraggi.
La Natura vuole solo compiacere sè stessa e spinge gli altri a compiacerla. Le piace dominare, le piace fare a modo suo. Trova ragioni di infelicità quando tutto il mondo risplende intorno a lei e l’amore sorride in ogni cosa. »
(Sig. O’Brian, The Tree of Life, Terrence Malick 2011)
Ogni volta che in un film vengono trattate riflessioni sul rapporto uomo/natura, sul contrasto tra purezza ed artificialità, sulla fede, accompagnate da una fotografia luminosa ripresa con la camera a mano, mi vengono in mente le parole della Sig. O’Brian nell’incipit di The Tree of Life. Malick ha segnato indelebilmente il mio sguardo. Questo folgorante incipit mi permette di rielaborare ed infine apprezzare le opere che rispettano le condizioni iniziali.
Con Princess di Roberto De Paolis è risuccesso.
Avevo grandi aspettative per Princess. Roberto De Paolis con Cuori puri mi aveva stupito ed addolcito, sapere che avrebbe aperto la sezione Orizzonti del festival di Venezia dopo cinque anni di silenzio, aumentava ancora di più le aspettative. Forse fin troppo.
Il film si apre, fin dai titoli di coda, con suoni e grafiche fiabesche, ma immediatamente ci catapulta nello squallore del contesto in cui si aggira, lavorando, la protagonista. Più De Paolis va avanti con la narrazione della vita e della formazione di Princess (Storia tratta dalla vita della protagonista Gloria Kelvin, che è anche co-sceneggiatrice), più la canonica struttura fiabesca viene schiacciata dalla realtà. Una realtà filmata e raccontata a tratti documentaristicamente, attraverso una girandola di incontri che ci permettono di scoprire passo passo la storia e il carattere di Princess.
Ma immediatamente sorge un dubbio: “Princess” è più una fiaba intrappolata nella violenza del reale o una realtà con sprazzi di luce fiabeschi?
De Paolis gioca indubbiamente con gli archetipi della fiaba: una principessa, un luogo in cui vivere e perdersi, ovvero il bosco dove lavora Princess, un’aiutante (la sua amica), personaggi “cattivi” che usano Princess, il suo principe azzurro Corrado ed anche un’allegorica volpe. Se le caratteristiche strutturali sembrano riportare ad un mondo fiabesco, lo sviluppo di queste strutture archetipiche è tutt’altro che fiabesco.
La narrazione ricorda il fantomatico “cinema del reale” di cui Garrone sarebbe il padre e a cui De Paolis guarda, dal costante utilizzo della camera a mano, al grande uso del suono in presa diretta fino, ovviamente, alle tinte fiabesche. Ma gli episodi narrati, il volgare linguaggio popolare fanno assumere tinte quasi documentaristiche tanto è minuziosa la realisticità.
Forse la sensazione del documentario è provocata anche dalla difficoltà di immedesimazione, per un personaggio che nella sua macchiettistica caratterizzazione non riesce mai a decollare né tanto meno a trasformarsi, come vorrebbe il “coming-of-age”. Certo che attraverso il triste epilogo meglio si comprende la volontà di De Paolis di affermare la potenza tragica del reale a scapito del lieto fine fiabesco.
Ma il film pare girare a vuoto, eccetto per alcuni momenti che ci lasciano il tempo per riflettere, soprattutto su un tema caro al regista che in questo caso sembra volerci porre una domanda: cos’è la purezza?
Durante una discussione in macchina, Corrado confessa a Princess di “non amare gli uomini”, di preferire la “natura”, con la sua spontanea indifferenza. Princess non comprende. Pretende che Corrado, in quanto uomo e non spirito, debba amare il genere umano.
Princess sembra assumere le sembianze di quella Natura malickiana che “mira a compiacere sé stessa” e che trova “infelicità” quando il mondo le risplende attorno (come la poetica sequenza degli uccelli) e Corrado i connotati della Grazia che “accetta di essere dimenticata, disprezzata, sgradita”.
Il problema della purezza si sarebbe potuto risolvere col lieto fine, con la rappresentazione di una dimensione coniugale che brilla tra il marcio del mondo. Ma Princess non è consolatorio. Si allontana dalla dicotomica soluzione malickiana al problema della purezza, che sfocerebbe nel rapporto col divino e le sue manifestazioni. Semplicemente ciò su cui riflettono Princess e Corrado non determina la realtà. Sono solo suggestioni. La purezza rimane una suggestione, un volo d’uccello intravisto dal parabrezza di una macchina.
È proprio giocando con i meccanismi fiabeschi, che inducono gli spettatori ad identificare i personaggi secondo archetipi morali, che Princess sprigiona la sua crudeltà. Certo la volgarità di Princess, lo squallore degli incontri, allontanano immediatamente la narrazione dai canoni linguistici della fiaba.
Il coming-of-age di un’immigrata nigeriana gettata nel mondo della prostituzione (ispirata alla vera storia di Glory Kevin, interprete di Princess), potrebbe assumere toni fiabeschi rischiando di manipolare una tragica storia di realtà. Dunque la fiaba, che permette anche meglio di individuare la riflessione sulla purezza, che ruolo svolge?
Incorniciati da ghirlande floreali e rami intrecciati, scorrono i titoli di testa in font medievale, accompagnati dalla sognante colonna sonora di Emanuele De Raymondi. Il primo impatto con Princess è fiabesco. La narrazione viene spesso spezzata da sequenze che sembrano astrarsi dalla tragicità documentaristica e che ci riportano, a volte bruscamente, alla struttura, anzi alla cornice fiabesca del film.
Dunque la fiaba, aggirando anche la domanda che inizialmente mi ero posto, sembra assurgere al ruolo di cornice, che a volte scompare e a volte riappare. Sprazzi o lampi di luce che per qualche momento sollevano Princess ed i “personaggi buoni” (Corrado, la natura) dal loro miserevole contesto.
Princess gode di una suggestiva eco malickiana ma nei contenuti e nei fini sono profondamente diversi. Il film di De Paolis è a tutti gli effetti un esperimento di ibridazione curioso ed affascinante. Meno emozionante di Cuori Puri, ma con una forte identità.
Ripensando alle parole dell’inquietante narratore in Favolacce (Max Tortora) dei D’Innocenzo, si potrebbe dire che Princess è ispirato a una storia vera, a sua volta ispirata a una storia falsa (la fiaba). Ma, forse, la storia falsa non è molto ispirata.