The tree of Life: La natura delle cose secondo Malick e Lucrezio

Francesco Gamberini

Febbraio 5, 2018

Resta Aggiornato

Fluisce come un fiume in piena, cullato dalle note della Moldava di Smetana il quinto lungometraggio di Terrence Malick. Il film è un omaggio, una ripresa e una risposta al De rerum natura di Lucrezio. Ci sono infatti moltissime connessioni fra le due opere a partire dal semplice, basilare problema che tentano di affrontare.

Nel primo secolo a.c, infatti, Lucrezio aveva scritto un monumentale poema che analizzava l’intera natura delle cose (da cui il titolo “De rerum natura”) partendo dagli atomi, passando all’uomo e arrivando al cosmo. Tutto veniva indagato attraverso una vivida e profonda logica materialistico-atomistica, senza il benché minimo legame con la religione o la spiritualità. L’autore anzi si era assunto il compito di fornire gli strumenti per eliminare le paure irrazionali dettate dall’ignoranza delle superstizioni; così facendo gli uomini avrebbero raggiunto l’atarassia, ovvero l’assenza di turbamento.

Malick non è da meno. Non c’è spiritualismo in The Tree of Life. La grazia, la potenza, la spettacolarità, sono insite nella natura stessa, non sono dovute a forze divine. Il regista texano infatti tenta non solo di indagare, ma anche di mostrare l’intera natura delle cose intersecando tre diversi piani: da una parte il macrocosmo, narrando cioè la storia dell’universo grazie a immagini di galassie, pianeti, deserti e oceani; dall’altra il microcosmo, ovvero le vicende quotidiane di una famiglia texana degli anni 50’; infine l’umano, esplicitando i pensieri, i turbamenti interiori di un uomo adulto, interpretato da Sean Penn, rimasto traumatizzato dalla morte del fratello.

Ma come si fa a descrivere la natura, se essa è così lontana ma al contempo così vicina a noi? Attraverso la parola! E’ la parola che riproduce la natura, proprio perché, come diceva Lucrezio, c’è totale isonomia fra Res (cose) e Verba (parole). E Malick questo lo sa, perché riesce a dare forma al mondo attraverso le parole dei personaggi che, esponendo il loro pensiero, le declinano, di volta in volta, in dialogo, preghiera, ricordo, descrizione. Le parole giungono fino a noi, tramite la tecnica della voce fuori campo, in perfetta corrispondenza con le immagini sullo schermo.

Le grandiose immagini descritte da Lucrezio e la spettacolare fotografia di Emmanuel Lubenzki sono tanto potenti da sollevarci al di sopra dell’ordinaria superficie della realtà, pur mostrandoci la realtà stessa. Perciò si può dire che le due opere siano sublimi. Esse svelano la piccolezza dell’essere umano, rinchiuso in un macrocosmo immenso che lo ingloba e potenzialmente potrebbe distruggerlo. L’effetto è insieme di smarrimento e di meraviglia.

Proprio questo Lucrezio vuole farci capire: la natura è duplice. Benigna e amorevole, può essere fonte di vita per l’uomo, ma, distruttiva e letale, può ucciderlo con ogni mezzo a sua disposizione. Il poema infatti è estremamente polarizzato: vita e morte, ragione e ignoranza, luce e buio. Quindi, non a caso, inizia con un inno a Venere, intesa come potenza vitale e finisce in antitesi, con la descrizione della Peste di Atene, intesa come forza mortale.

In The Tree of Life, Malick personifica queste due facce della Natura in due personaggi distinti: i genitori del protagonista. Il padre, interpretato da Brad Pitt, severo e autoritario, talvolta violento contro i figli, è la natura che opprime gli uomini, invece la madre, interpretata da Jessica Chastain, amorevole, eterea, piena di grazia è la natura che aiuta gli uomini. I figli diventano quindi la personificazione dell’umanità; un’umanità ora forte ora debole, sempre intimamente legata alla natura delle cose.

Tuttavia l’opera di Malick non è così polarizzata come il De Rerum Natura. Infatti il padre e la madre, coi loro insegnamenti, convivono e lottano continuamente, come due principi opposti, dentro il loro stesso figlio. Crescendo e diventando adulto, l’uomo rimane con lo stesso turbamento interiore che aveva da ragazzo, acuito dalla morte del fratello. Poi, alla fine, in una visione in cui compaiono i vivi e i morti, riesce a ricongiungersi con i genitori. Le due diverse nature cominciano quindi a dialogare.

Ma questo non è forse un finale fantastico-visionario? No questo finale, apparentemente onirico, è solo lo strumento narrativo per simboleggiare la riflessione interiore del protagonista e la sua intima riconciliazione con i genitori. Specularmente simboleggia l’accettazione dell’uomo dei principi di vita e morte

Quindi qual’è il senso? Le due opere giungono alla medesima conclusione: solo accettando consapevolmente i principi di vita e morte si può raggiungere l’atarassia, ovvero la pace perpetua.

 

 

Leggi anche: Aguirre, furore di Dio-La natura e la folliaSong to song-Un ritratto dissipante dell’esistenza vagabondaBabel-La connessione fra vita e morte supera lo sguardo umano 

Correlati
Share This