La fotografia di Emmanuel Lubezki, parte 1 – Terrence Malick e dell’inseguire la Natura divina

Giuseppe De Santis

Dicembre 15, 2020

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Emmanuel Lubezki è un direttore della fotografia messicano che non ha bisogno di presentazioni: ha collaborato con alcuni dei migliori registi in attività ed è l’unico a essersi aggiudicato il premio Oscar nella sua categoria per ben tre anni consecutivi. Tuttavia, spesso passa inosservato il lavoro del direttore della fotografia in rapporto alla produzione di un film.

Il DOP è il braccio destro del regista sul set, la figura cui vengono date le idee di messinscena e che si occupa di realizzarle, dettando di fatto buona parte del tono della pellicola.

Emmanuel Lubezki è uno dei migliori direttori della fotografia attualmente in attività. Scopriamo insieme il suo approccio ai Terrence Malick.

Emmanuel Lubezki

Terrence Malick – L’importanza di una riconoscibile cifra stilistica

Regista di culto, autore spesso difficilmente decifrabile, Terrence Malick ha ad oggi il raro pregio di essere immediatamente riconoscibile. Basterebbe cercare alcuni video tematici su Youtube per rendersi conto di come la sua cifra visiva abbia saputo influenzare lo stile di tanti cineasti contemporanei.

Nei limiti dello spazio di un articolo, cercheremo di scalfire la superficie di quest’impronta così radicale attraverso le scelte artistiche da lui compiute negli ultimi film, girati con l’apporto fondamentale di Emmanuel Lubezki.

Le collaborazioni

Lubezki ha collaborato con Malick in ben cinque pellicole. Partendo da The New World (2005), il sodalizio è proseguito durante la definibile “seconda fase” della carriera del regista, quella iniziata con The Tree of Life (2011) e proseguita con To the Wonder (2012), Knight of Cups (2015), Song to Song (2017). L’analisi odierna verterà principalmente su questi ultimi quattro titoli, poiché The New World se ne differenzia in quanto l’unico dotato di una sceneggiatura scritta per esteso e dalla trama più lineare.

Proprio così: per chi non ne fosse a conoscenza, Malick non ha mai scritto (né fatto scrivere) la sceneggiatura di questi film. Affidandosi solo a un canovaccio fornito agli attori riguardante la trama e la loro backstory, Malick ha portato ogni giorno sul set l’ispirazione del momento, stendendo monologhi e dialoghi prima di iniziare lo shooting.
Come si può inserire allora Emmanuel Lubezki in un processo creativo e professionale?

Dettami preliminari

Proprio come per gli attori, Terrence Malick ha adottato un canovaccio di regole fondamentali anche con il DOP. Come racconta lo stesso Lubezki, le poche linee guida ricevute sul set di The Tree of Life e ripetute nei film successivi riguardavano l’utilizzo preponderante della camera a mano (da stabilizzare in post-produzione solo se necessario), la predilezione di molti push sui volti dei protagonisti, l’uso della sola luce naturale e la ricerca del controluce per aumentare le ombre e, quando possibile, l’evitare il flare nella camera. Tutto questo fatto salvo rare eccezioni indicate da Malick come “eccezioni al dogma”.


Un curioso caso di “osservanza delle regole”? Per mantenere al meglio la luce naturale, durante la produzione di The Tree of Life Malick ha deciso (dopo un colloquio con Lubezki) di far costruire ben tre case identiche poste su angolature diverse rispetto al sole per preservare al meglio la luce! Per l’aspetto tecnico, Lubezki ha utilizzato prevalentemente degli obiettivi Zeiss grandangolari che variavano tra i 14 e i 24 mm montati su camere Arri 235.

Lo Stile di Emmanuel Lubezki

Va da sé, l’apporto del DOP a queste opere si fa più che mai fondamentale. Le inquadrature così solo apparentemente spontanee, in realtà grandemente costruite, vengono ideate e riprodotte a velocità fulminee, seguendo le indicazioni meticolose di Malick e aggiungendo il fondamentale gusto di Lubezki che si era già definito in anni di precedente carriera.

Veniamo inondati da movimenti volti a inseguire e precedere i personaggi, close-up sui volti e improvvise sterzate verso gli scampoli naturali in cui si immergono per evadere. Ci tuffiamo con loro sott’acqua e ci arrampichiamo sugli alberi, sentiamo le vibrazioni della musica attraverso gli amplificatori e le corde dei pianoforti suonate piano perché c’è una canzone d’amore in corso. La camera cattura i segreti di quella Natura sempre cara a Malick come mai prima, regalando scorci in luce naturale di grande suggestione.

Una scena, in dettaglio 

Per stigmatizzare le informazioni fin qui accumulate, si è scelta la scena del ricongiungimento della famiglia nel meraviglioso finale di The Tree of Life. In preda ad una visione, Jack O’Brien giunge su una grande spiaggia (il Paradiso?) popolata dalle persone che abitano la sua memoria. La macchina da presa a mano segue i suoi passi incerti mentre ritrova la madre. Durante il loro abbraccio, la camera segue il movimento a salire sul dettaglio di una mano, un topos molte volte ricorrente nel corso della pellicola come simbolo di delicatezza e protezione. Una eclissi si avvia verso la conclusione, facendo riemergere il sole dopo le tenebre che hanno popolato il cuore del personaggio interpretato da Sean Penn.

L’uomo rincontra anche il padre. Dapprima, li seguiamo mentre Jack gli mette una mano sulla spalla in segno di riconciliazione. Si stacca su un movimento a precedere che non era previsto nella testa di Malick. Lubezki sposta la prospettiva poiché uno stormo di gabbiani vola alle spalle dei personaggi e il sole irradia l’obiettivo, creando un flare “da eccezione al dogma” che però ha contribuito alla costruzione di un’inquadratura altamente evocativa.
Ancora delle mani, stavolta il padre accarezza il figlio mentre la camera mostrala fede al dito: evidentemente i genitori sono rimasti uniti fino alla fine.
L’albero della vita e della famiglia rifiorisce rigoglioso con un movimento verso il cielo e verso un altro scorcio di sole contro i nostri occhi, cui fa da contrappunto una candela nell’oscurità della giovinezza.

L’utilizzo della luce naturale si avverte nel cambiamento di atmosfera che giunge con la porzione successiva, in cui il sole tramonta progressivamente. È al fratello prematuramente scomparso di Jack a cui spetta la scena, ora. Un altro movimento in avanti in finta soggettiva va a impattare sulla sua mezza figura mentre ci ritroviamo alle spalle del protagonista. Un abbraccio atteso per decenni riporta il fratello al padre, mentre la camera ci fa quasi arrivare al punto di vista di Jack.

C’è spazio per un altro movimento verso il cielo mentre l’uomo solleva il figlio e lo guarda, per poi tornare alla conclusione del movimento precedente. Andiamo sulla spalla sinistra di Jack svelando lo sguardo di gratitudine del padre.

La stessa cosa avviene mentre il piccolo O’Brien viene mandato dalla madre, facendo di Jack l’osservatore privilegiato con cui identificarci. Le mani della madre toccano il viso del figlio. Il sole, al tramonto sullo sfondo, viene coperto dal terzo fratello che arriva a coprirlo per guardare la scena (che sia una scelta dogmatica?).

L’utilizzo di una lente grandangolare in questi primi piani amplia le proporzioni dei volti e delle mani, sottolineando l’importanza particolare di queste ultime. Lo sguardo grato ora viene sottolineato da un movimento uguale e contrario a quello visto con il padre, andando qui da sinistra verso destra.

In brevi frames, la famiglia si riunisce e il cammino della vita procede.
Una ulteriore serie di movimenti (acquatici) ci fa salire attraverso la porta da cui eravamo nati durante la sequenza della creazione del mondo, ma stavolta assume dei connotati più metaforici: è la vita dentro chi già vive a rifiorire, il desiderio di continuare e non restare più nell’oscurità.

Voliamo per qualche istante sopra l’oceano e inseguiamo un uccello come Malick ordina di fare in ogni film, ogni volta che è possibile. Emmanuel Lubezki, ovviamente, esegue o fa eseguire al suo team questa operazione in modo meticoloso arrivando a perdere anche minuti importanti per girare. Lo stesso DOP ha dichiarato che, con tutto il materiale girato, si sarebbe potuto montare un altro film solo sul personaggio di Sean Penn!

Emmanuel Lubezki è uno dei migliori direttori della fotografia attualmente in attività. Scopriamo insieme il suo approccio ai Terrence Malick.

La visione di Terrence Malick è spesso ostica, a quanto pare anche per chi lavora con lui sul set. Si rivela quindi fondamentale la collaborazione di persone in cui egli possa riporre la massima fiducia per realizzare la sua visione così particolare.

In questo senso, come abbiamo visto, l’unicità di Emmanuel Lubezki si rivela un alleato fondamentale per il regista texano e non solo. Sono in arrivo, infatti, due nuovi articoli che approfondiranno l’opera di questo artista dell’immagine in rapporto a due registi con stili diversi, ma altrettanto virtuosi.
Restate in attesa!

Leggi anche: La malinconia nel cinema di Terrence Malick

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