Mulholland Drive- It’s an Illusion

Emma Senofieni

Maggio 6, 2019

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Mulholland Drive.

Silencio. No hay banda. It’s all a tape. It’s an illusion. 

– Mulholland Drive –

La mente umana è creatrice di illusioni. Ognuno di noi costruisce per sé idee, immagini, lontane dalla realtà. Siamo troppo deboli per farci pieno carico della sofferenza e del dolore che ci procura costantemente la nostra esistenza. Per questo motivo, spesso ci creiamo un personale mondo di illusioni e false speranze, in cui rifugiarci quando il dolore diviene insopportabile. È questo che accade, in maniera esasperata, alla protagonista di Mulholland Drive, film che racchiude l’essenza del cinema del maestro David Lynch. Un surreale viaggio nella mente di una donna sull’orlo del suicidio, portato sullo schermo con quella delicatezza e maestria tipiche di Lynch.

Los Angeles. Una donna (Laura Harring), dopo essere scampata ad un tentato omicidio, è coinvolta in un incidente automobilistico. Sconvolta e ferita, non si ricorda nulla della sua identità. La sconosciuta, che dichiara di chiamarsi Rita (nome in realtà ispirato in maniera improvvisata da un poster del film Gilda con Rita Hayworth) si imbatte per caso in una bellissima e solare aspirante attrice di nome Betty (Naomi Watts, in un’eccezionale performance). Quest’ultima, decisa ad aiutare Rita a superare la propria amnesia, instaurerà presto con la sconosciuta un legame profondo. Intanto, ci vengono presentate tre sotto trame. Le tragicomiche imprese di un sicario imbranato (Mark Pellegrino). Un uomo (Patrick Fischler) tormentato da un incubo ricorrente: l’immagine di un un essere oscuro e mostruoso, nascosto dietro ad un ristorante. Infine, la surreale vicenda di Adam Kesher (Justin Theroux), ricattato da alcuni malviventi per la scelta della protagonista del suo nuovo film. 

Lo spettatore percepisce che c’è qualcosa di strano nelle vicende, ma non riesce a definirne il contenuto.

La bellissima scena al Club Silencio costituisce una rottura tra il caos e l’ordine, l’inconsapevolezza e la presa di coscienza. Dopo una notte d’amore, le due protagoniste si recano al Club Silencio. Un presentatore dice, in diverse lingue, che non c’è nulla di reale. È tutto finto, registrato. In seguito, una cantante si esibisce nella versione spagnola di Crying, brano di Roy Orbison. Betty e Camilla scoppiano in lacrime. Il pianto è qui una rottura emotiva: la consapevolezza della vanità di ciò che le due stanno vivendo. Infine, la cantante sviene, ma la voce non si ferma. Era tutto registrato. It’s all a tape. It’s an illusion.

Dopo pochi fotogrammi, lo spettatore scopre che tutto ciò che ha visto non è reale. Si tratta di un lungo e contorto sogno di una donna di nome Diane Evans (Naomi Watts).

Aspirante attrice, ma con scarso successo, Diane era ossessivamente innamorata di Camilla Rhodes (nome dell’attrice voluta dai criminali nella storyline dedicata al regista) e le due avevano una relazione. Camilla, però, aveva lasciato Diane per sposare il suo regista Adam Kesher. L’evento aveva talmente sconvolto Diane da farle assumere un killer a pagamento per uccidere Camilla. Da qui, il sogno. Diane, nella sua mente, è Betty, ossia l’incarnazione di tutto ciò che non possiede. Sicurezza, solarità e successo personale. Nel sogno, è Betty la parte forte della coppia, mentre Rita si mostra debole e insicura. Significativa la scena in cui Rita, decide di portare i capelli dello stesso colore e taglio di Betty. Oltre alla manifesta citazione a La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, questa scena ci mostra l’esasperazione dell’insicurezza interiore della sognatrice. Ama e invidia talmente Camilla da desiderare che le loro due personalità si fondano in una, ossia in quella di Diane. Camilla, che nella realtà era così carismatica e affascinante, nel sogno non ha nome, né personalità: è un tutt’uno con Betty/Diane.

Anche le altre persone che circondano Diane nella realtà, appaiono nel suo sogno in modo distorto. Adam Kesher, regista affermato nella vita reale, nel sogno di Diane è un fallito, a cui ne capitano di tutti i colori. Il sicario, che nella realtà porta a termine il suo compito, uccidendo Camilla, nel sogno è goffo e incapace: questo perché Diane, nel suo inconscio, spera che egli fallisca nel suo intento. Infine, l’uomo mostruoso (oggetto del sogno dell’uomo al ristorante), che nella realtà non era altro che un senzatetto in cui si era per caso imbattuta, rappresenta il marcio che Diane vuole nascondere. Lei non è solo una fallita, ma anche un’assassina. La sua mente non può sopportare tutta quel dolore e quella violenza: decide quindi di sotterrarla nella parte più nascosta del suo inconscio.

Il sogno di Diane è quindi la schizofrenica e delirante rappresentazione del suo fallimento, sia umano sia professionale. Dato che nella realtà non può essere una brava attrice e possedere la donna che ama, ella si crea un proprio mondo, in cui tutto va per il meglio. Nella rappresentazione onirica, è Diane a vincere. Nella realtà, perde ogni cosa.

Il finale del film è la coronazione di questa tragedia personale Diane si sveglia e viene a sapere della morte di Camilla. Improvvisamente, le appaiono in forma di allucinazione due anziani, che iniziano a rincorrerla. La coppia, già intravista nel sogno, rappresenta presumibilmente i genitori di Diane. Lynch non ne ha mai esplicitato l’identità, ma è probabile che essi incarnino la fonte, l’incipit della sua instabilità mentale. Una scena terrificante. Fuggendo dai due anziani, Diane prende una pistola e si spara in bocca.

Gli ultimi fotogrammi ci mostrano Betty e Rita, sorridenti. L’ultima immagine vista da Diane prima di morire: felicità pura, seppur all’interno di un’illusione.

Mulholland Drive merita di entrare nella storia del cinema per aver saputo indagare nella parte più torbida dell’anima umana, in modo suggestivo e profondo. Tutti noi siamo stati Diane almeno una volta nella vita. Ci rifugiamo nell’illusione per non vedere il marcio che c’è nel profondo del nostro Io.

It’s an illusion.

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