Per Qualche Dollaro in Più.
Sergio Leone, il bardo dei miti di frontiera, era appassionato di oggettistica d’antiquariato; di fatti nei suoi film non sono poche le inquadrature in cui i protagonisti armeggiano con una tabacchiera o un orologio.
I dettagli erano tutto per il regista. Ogni oggetto in scena raccontava in silenzio una parte della storia, o addirittura ne era la chiave dello svolgimento. È questo che accade in Per Qualche Dollaro in Più (1965), un film nel quale un carillon segna il confine tra la vita e la morte, una sinfonia malinconica contro il fuoco delle pistole violente.
Perché questa pellicola di Sergio Leone è leggenda? Perché mai una fiaba fu raccontata in maniera più spietata e romantica, mai il west fu così distante nel tempo, eppure vicino nel cuore. In quella terra desolata del tramonto, si alternano le vicende dell’eterno buono senza nome (Clint Eastwood), del vecchio colonnello Douglas Mortimer (Lee Van Cleef), a caccia del folle cattivo, Indio, l’immortale Gian Maria Volonté.
Indio è un criminale di stampo classico, la persona malvagia che fa cose malvagie perché può farle, un pazzo con uno scopo, che sia il denaro, il sesso o la morte. Nella sua follia, però, riesce sempre ad essere un passo avanti ai protagonisti. Quindi, forse, il folle è un genio? Il confine è piuttosto labile.
Il buono e il colonnello sono cacciatori di taglie, per cui trovano nell’Indio un bersaglio comune, eppure, con una “semplice” sequenza di montaggio, Sergio Leone ci fa capire che le cose non sono come sembrano.
Quando i due si ritrovano di fronte al manifesto “ricercato vivo o morto, ricompensa 10.000 dollari” del bandito, notiamo che osservano due parti ben diverse del foglio: il cavaliere senza nome guarda la cifra esorbitante, il suo obiettivo, come ci si aspetterebbe da un bounty killer vecchio stampo; il colonnello, invece, guarda il disegno del volto dell’Indio dritto negli occhi. La questione è personale, qualunque cosa ci sia tra i due, hanno dei conti in sospeso.
Infatti, un altro dettaglio fondamentale è che sia il vecchio, sia il ricercato possiedono un identico orologio carillon, con la foto della stessa donna. Nei ricordi dell’Indio, lui violenta quella ragazza, ma non scopriamo mai, se non alla fine, cosa rappresenti per il colonnello Mortimer. Non un dialogo, solo un’ultima frase finale, per il resto è tutto lasciato all’osservazione dello spettatore. Quel che è certo è che il vecchio pistolero cerca vendetta.
Il buono: “Colonnello, ma tu sei mai stato giovane?”
Mortimer: “Sì, e anche incosciente come te. Poi è successa una cosa che mi ha reso la vita importante.”
Il buono: “Quale?… Forse è una domanda indiscreta.”
Mortimer: “No, le domande non sono mai indiscrete. Le risposte lo sono, a volte.”
Il cacciatore di taglie e il vecchio hanno poco a che fare l’uno con l’altro, ma si alleano per catturare l’Indio. In due ore, con poche semplici linee di dialogo e molti sguardi, Sergio Leone ci presenta l’eroe, l’antieroe e l’antagonista e i loro intrecci, fatti di doppi giochi, tradimenti, sparatorie e duelli.
Amore e odio, vendetta e compassione, tutte le ambiguità perverse e inesauribili contraddizioni dell’essere umani sviscerate nei silenzi del deserto, in una pellicola che ha fatto la storia del cinema, che ispira il cinema di intrattenimento contemporaneo (da dove deriverebbe altrimenti il carillon di quel personaggio monumentale che è Davy Jones?).
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Indio non comprese mai la reazione di quella donna alla sua violenza. Durante lo stupro, infatti, la ragazza aveva a portata di mano una pistola, che però non ha usato per uccidere il suo assalitore, ma per ammazzarsi.
Il criminale, infine, si ritrova faccia a faccia con il colonnello, il suo persecutore, e riesce persino a disarmarlo. Il duello diventa impari, Indio ha la sua pistola carica e in fondina, quella del vecchio è in terra. Il bandito tira fuori quel carillon e la sinfonia cresce.
Indio: “Quando la musica finisce, raccogli la pistola e cerca di sparare… Cerca.”
Il colonnello Mortimer non vede speranza davanti a sé; tanta strada per poi non riuscire a vendicare quella donna che per lui è così importante, più della sua stessa incolumità. La melodia lentamente si esaurisce, il sole cala alle spalle del vecchio vendicatore stanco. Tuttavia, l’uomo senza nome non la pensa così: aziona il secondo carillon, rubato al colonnello, e la musica riprende. Lo straniero, senza identità, uno spettro errante che incarna l’essenza stessa del bene, compie come ultimo gesto un atto di compassione, mai fino ad allora mostrata.
La partita è allo zenit, nella resa dei conti il vecchio ha la meglio sull’Indio. Il bounty killer doveva solo rendere il tutto equo, per il resto si è limitato a guardare. Ora la taglia può essere riscossa. C’è solo un’ultima verità da rivelare.
Il buono: “C’è aria di famiglia in quella foto.”
Mortimer: “Succede tra fratello e sorella. Complimenti ragazzo, sei diventato ricco.”
Il buono: “Siamo diventati ricchi.”
Mortimer: “No ragazzo, solo tu.”
Il buono: “E la nostra società?”
Mortimer: “Un’altra volta.”
Un’altra volta che mai verrà, che mai fu, non ci è dato saperlo, così è stata strutturata la trama dal grande Sergio Leone. Il vecchio cavalca, in un addio malinconico, verso il tramonto, la sua missione è compiuta, non al denaro, né al cielo, ma all’amore, a questo era destinata, e il destino di un uomo è grande quanto il mondo che abita ed esige un grande cuore.
A quanto pare, quando un uomo con la pistola incontra un uomo con un carillon, quello con la pistola è un uomo morto.
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