Secondo Amore – Il melodramma hollywoodiano di Douglas Sirk

Gabriel Carlevale

Maggio 7, 2020

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Secondo Amore.

Nel momento di massimo splendore del cinema americano, a cavallo tra la fine degli anni quaranta e la fine dei cinquanta, le case di produzione hollywoodiane rappresentavano la prima industria del paese. Grazie alle numerose presenze ai botteghini e a un pubblico conquistato da film scintillanti e divismo, si fecero sempre più largo i seguenti generi: western, commedia, gangster, noir ma soprattutto il melodramma, che raggiunse il suo apogeo proprio in quegli anni.

Negli Stati Uniti, la tv inizia ad arrivare nelle case.

La visione diventa familiare, privata; la borghesia è il nuovo target da ammaliare ma anche da rappresentare, e fra tutte le produzioni, la Universal decide di realizzare opere cinematografiche che portino sullo schermo questa classe sociale. Tra i maggiori registi del tempo c’è Douglas Sirk, tedesco di Amburgo che sfuggì dal nazismo e si rifuguò prima in Europa e poi a Hollywood. Sirk realizza alcuni dei migliori melodrammi di quegli anni, sfruttando più volte lo stesso cast per garantirsi un rapporto fidelizzato con gli spettatori, e uno stile sempre personale.

L’esempio perfetto della sua poetica è il meraviglioso Secondo Amore (1955).

Cary Scott, donna di mezza età con due figli, rimane vedova. L’educata società borghese in cui vive, si aspetta che lei conduca una vita casta, fatta di colazioni eleganti, serate di beneficenza e incontri con le amiche al country club. Quando lei non risponde a questo schema e questa immagine, e inizia in maniera fugace e candida una relazione con Ron, giardiniere occasionale al suo servizio proveniente da una classe sociale minore e molto più giovane dei lei, la società la emargina, accusandola di tradimento dei valori classici. La pressione sociale cerca quindi di riportarla al suo status iniziale, facendo leva sul condizionamento dei figli, che preferirebbero la madre cedesse la propria mano al più affidabile Harvey, uomo rispettato nell’upper-class.

Sceneggiato da Peg Fenwick dal racconto di Edna L. Lee e Harry Lee, Secondo Amore racconta gli Stati Uniti di Eisenhower nel momento del loro massimo splendore.

Staccionate bianche, una bella giornata autunnale, giardini curati in maniera maniacale, strade impeccabili, automobili pulite alla perfezione, abiti dai colori sgargianti e la macchina da presa che si muove sinuosa per raccontare questo micro-mondo. Ma il film è molto più innovativo e sovversivo di quello che sembra: Douglas Sirk metteva in primo piano il conformismo e la crudeltà del sogno americano degli anni cinquanta, attaccando il suo perbenismo bigotto: l’elegante società in cui vive Cary (specchio del paese), non poteva accettare il desiderio sessuale rinnovato di una donna della sua età, come non potevano farlo i suoi figli, che volevano a tutti i costi sfuggire da questa macchia indelebile sulla reputazione familiare.

Sotto i continui attacchi, la donna cede, rinunciando all’idea di sposare Ron. I figli, nel tentativo di far sì che la madre stia lontana dalle tentazioni e che abbia compagnia durante le giornate, nel giorno di Natale le regalano il bene di consumo simbolo del tempo, la televisione. Sirk realizza una delle metafore cinematografiche più forti della storia: Cary, riflessa nello schermo, è imprigionata dalla tv, che sembra guardarla.

Se il regista può lavorare in maniera impeccabile sulla narrazione, lo deve in gran parte ad una messa in scena semplicemente meravigliosa.

Secondo Amore perfeziona lo stile del melodramma hollywoodiano, adattandolo alle sue esigenze, a partire dall’uso delle luci: Ron, interpretato da un grande Rock Hudson, è quasi sempre ripreso in scenografie più buie e illuminato con luci malinconiche, simbolo della perdizione, di una vita di stenti, in contrasto con luce splendente e pastosa in cui viene immersa Cary (una sublime Jane Wyman), a rappresentare la razionalità, il riflesso della società di cui fa parte.

L’uso perfetto della colonna sonora di Frank Sinner, che poche volte come in questa occasione rende al massimo il suono stereofonico del tempo.

Lo straordinario uso espressivo del Technicolor da parte di Russell Metty, che rende gli interni claustrofobici, pieni di oggetti, che incorporano i personaggi, e l’uso sapiente della macchina da presa, che danza allargando l’orizzonte sull’onda del nuovo formato panoramico, giocando perfettamente con immagini fisse e profondità di campo, rendono il film un gioiello del cinema classico hollywoodiano, e probabilmente rappresenta il vertice della filmografia di Douglas Sirk.

Modello di riferimento per Rainer Fassbinder, che nel 1974 omaggerà il maestro Sirk con La paura mangia l’anima, e per Todd Haynes, che si ispirerà a lui per Lontano dal paradiso e Carol, Secondo Amore è un capolavoro del cinema classico troppo spesso dimenticato, ma fondamentale per scoprire un mondo (e un modo di fare cinema) ormai lontano nei ricordi.

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