Iñárritu – Il vertiginoso caleidoscopio della sofferenza

Maura D'Amato

Gennaio 11, 2021

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Il 15 agosto 1963 nasce Alejandro González Iñárritu, uno dei pochissimi registi messicani che è riuscito a imporsi con successo all’interno del cinema hollywoodiano. Regista dalle molteplici sfaccettature, è riuscito a dimostrare, con la sua produzione cinematografica, di saper non solo realizzare opere dall’incredibile valore artistico, ma anche di saper fornire con forte sensibilità un vero ritratto della realtà e in particolare delle emozioni umane.

Quelle che Iñárritu porta in scena sono sempre tematiche molto serie e interessanti, dal carattere profondo e malinconico. Lo spettatore si trova coinvolto in una scia di drammaticità, che sfocia nella meditazione e nella riflessione. In ognuno dei suoi film vengono affrontate tematiche di grande spessore: malattia e morte, perdita, ricchezza e povertà, depressione, solitudine.

Su queste tematiche si incentrano soprattutto le sue prime tre opere, che costituiscono così la cosiddetta “trilogia della morte”. Ne fanno parte Amores perros (2000), 21 grammi (2003) e Babel (2006). Il termine trilogia potrebbe non considerarsi appropriato se si pensa a una trilogia in senso lato, poiché sono tre opere scollegate tra di loro. Ciò che le accomuna è lo stile narrativo, dove sono presenti storie interconnesse tra di loro, e ovviamente il tema principale che è la morte.

In queste sue opere però, Alejandro González Iñárritu esplora oltre al tema della morte anche la perdita della speranza e della fede nei propri ideali, intrecciando diversi piani narrativi in sequenze non lineari.

In Amores perros questo avviene utilizzando i cani dei protagonisti come elemento di unione per legare le differenti trame raccontate, insieme ad un incidente d’auto avvenuto nelle strade di Città del Messico. Ma la maestria di Iñárritu è data anche dalla rappresentazione che fornisce della città, che è incredibilmente realistica e brutale nel mostrarne le violenze quotidiane.

Con 21 grammi si raggiunge il primo grande successo commerciale. Una narrazione discontinua e non lineare.

Si intrecciano le storie di un ex malavitoso (Benicio Del Toro), una ex tossicodipendente che perde tutta la sua famiglia (Naomi Watts) e un matematico in lista di attesa per ricevere un trapianto di cuore (Sean Penn). Di nuovo la morte è la vera protagonista della pellicola, che continuamente si dà il cambio con la vita, soffiando nei corpi dei vari personaggi, sbattendoli qua e là, sempre in bilico tra la vita e la morte.

L’apice del climax si raggiunge tuttavia con Babel, che presenta una trama non solo decostruita a livello narrativo ma anche da un punto di vista spaziale, dal momento che propone più storie ambientate in diversi Paesi del mondo. Ma nonostante le distanze, tutto è connesso, perché la morte non appartiene a nessun luogo. È una continua nomade in grado di colpire chiunque, indipendentemente dal colore della pelle, etnia o ceto sociale.

Il primo punto di uscita dagli schemi arriva nel 2010 con Biutiful.

La pellicola è un’opera atipica per gli standard di Iñárritu, in quanto presenta un unico protagonista (Javier Bardem) e una narrazione lineare in controtendenza rispetto ai suoi lavori precedenti. Questa è la storia di un uomo in caduta libera, che porta sulle spalle il peso di troppe cose. Non c’è salvezza, se non nell’oscurità. Una storia di redenzione nei confronti della vita. Storia di adattamento alle situazioni sfavorevoli, perché quando ci si trova nel baratro, si può solo provare a trovare una strada nella situazione in cui ci si trova.

Tuttavia, è con Birdman (2014) e successivamente con Revenant – Redivivo (2015), che Iñárritu si afferma definitivamente come uno dei registi maggiormente di successo degli ultimi anni, aggiudicandosi anche ben 4 Oscar individuali per le due pellicole.

Il primo film in particolare segue la storia di un attore che cade nella depressione. Il protagonista sta cercando di reinventare se stesso dopo essere stato conosciuto per anni per aver vestito i panni del supereroe che dà il titolo all’opera. Per farlo, decide di scrivere, interpretare e dirigere un dramma teatrale. Da questo punto di vista, Birdman è un capolavoro non solo a livello narrativo e per i temi che vuole affrontare, ma anche per la sua realizzazione tecnica. Il film infatti sembra girato in un unico piano sequenza.

Revenant è invece la summa estetica del cinema del regista messicano: camera a mano, crudo realismo, situazioni estreme, fotografia impeccabile e personaggi ben caratterizzati. A rendere il film il capolavoro che di fatto è contribuiscono anche Tom Hardy e Leonardo DiCaprio che forniscono due delle interpretazioni migliori della loro carriera.

Sei pellicole, tanto diverse tra loro, quanto uguali. Ciò che le accomuna è il senso di vuoto che assale lo spettatore dopo la visione del film. Si rimane attoniti a fissare i titoli di coda, a riflettere su ciò che si è appena visto. Ed è qui che un grande regista riesce nel proprio intento. Quando riesce a comunicare tramite uno schermo, le sensazioni e le emozioni che porta in scena.

«Cerco di ritrarre gli esseri umani nella loro complessità perché credo che nessuno sia buono o cattivo. Abbiamo tutti le nostre debolezze e i nostri punti di forza. E la maggior parte delle volte sono l’ignoranza e la paura a muovere le persone, spesso causando negli altri molto dolore».

(Alejandro G. Iñárritu)

Leggi anche: 21 grammi – Quando ci si interroga sul valore di una vita

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