Il giardino delle vergini suicide – Vuoto e giovinezza

Sabrina Pate

Febbraio 26, 2021

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Dottore: «Non hai ancora l’età per capire quanto diventi complicata la vita».

Cecilia: «Evidentemente lei, dottore, non è mai stato una ragazzina di tredici anni».

Provocatorio, malinconico, audace. L’esordio sul grande schermo di Sofia Coppola con il suo primo lungometraggio, Il giardino delle vergini suicide (1999), non passa di certo inosservato. Figlia del maestro Francis Ford Coppola, dopo aver sperimentato numerosi campi artistici tra cui la moda e la recitazione, vincendo il Razzie Award come peggior attrice non protagonista per la sua parte di Mary Corleone in Il padrino – Parte III, Sofia Coppola si dedica al cinema portando sullo schermo provocatoriamente uno spaccato della fase forse più critica della vita di ciascuno di noi: l’adolescenza.

Sofia Coppola in Il giardino delle vergini suicide testimonia l’incomprensione e la fragilità dell'adolescenza, con uno sguardo al femminile.

Le sorelle Lisbon in Il giardino delle vergini suicide

Coppola però non cade nel cliché di molti coming of age movies e non guarda affatto al passato con un sapore nostalgico, rimpiangendo i bei tempi andati. Si fa piuttosto portavoce di una realtà scomoda, dell’incomprensione, della fragilità, delle aspettative mai soddisfatte che gravano sugli adolescenti, in particolare per quanto riguarda l’universo femminile.

Un ricordo sbiadito dal tempo

Già dai primi istanti sappiamo quale sarà la sorte riservata alle sorelle Lisbon: quello che resta della loro fulminea apparizione sulla terra, in un quartiere benestante del Michigan, non è che un ricordo sbiadito dal tempo, mitizzato dagli occhi adoranti di quattro ragazzini che dopo venticinque anni dalla loro scomparsa non sono ancora riusciti a dimenticarle.

Lux in Il giardino delle vergini suicide

Ne Il giardino delle vergini suicide sogno e realtà si intrecciano costantemente attraverso giochi di sovraimpressioni, racconti in voice over delle poche tracce rimaste impresse sulla terra di quelle cinque ragazze. Quello che viene restituito, più che una storia che procede linearmente, è un ricordo, una sensazione, gli anni Settanta filtrati dagli occhi di delle ragazzine apparentemente privilegiate e superficiali, eteree a tal punto da sembrare frutto di una immaginazione infantile, eppure fragili, incomprese, soffocate da un mondo di menzogne e ipocrisie.

Cecilia: una sognatrice

Cecilia, la prima delle sorelle Lisbon a togliersi la vita, nonché la più giovane, viene presentata come una sognatrice, una persona che crede di vivere al di fuori della realtà al punto che gira voce che quando si è buttata dalla finestra credesse di volare. Questo non fa che alimentare le numerose speculazioni circa il motivo per il quale si sia tolta la vita.

Dopo aver fatto un primo tentativo tagliandosi le vene nella vasca da bagno, infatti, Cecilia, durante una festa organizzata dalla madre per farle interagire con i ragazzi della loro scuola, si ritira nella sua stanza per poi gettarsi dalla finestra. Non assistiamo al momento del suo suicidio, lo intuiamo dall’urlo disperato di un padre che stringe tra le sue braccia il corpo esile e inerme della propria figlia, dallo sguardo terrorizzato di una madre che prima ancora di scorgere l’accaduto con i propri occhi ha già compreso fin troppo bene cosa è successo.

Sofia Coppola in Il giardino delle vergini suicide testimonia l’incomprensione e la fragilità dell'adolescenza, con uno sguardo al femminile.

Cecilia nella vasca in Il giardino delle vergini suicide

Non ci è dato sapere cosa abbia spinto Cecilia a suicidarsi. Tutto ciò che lo spettatore può fare è cercare di ricostruire le motivazioni di un atto che incarna la possibilità estrema e ultima della vita, la morte, attraverso il chiacchiericcio e lo sguardo giudicante degli altri membri della comunità.

C’è chi incolpa i genitori di imprimere alle figlie una troppo ferrea educazione, di tenerle in trappola senza permettere loro di scoprire il mondo esterno, e c’è chi non si sforza neppure di capire, ma si limita a giudicare, come il medico che piuttosto che aiutarla quando ne avrebbe avuto la possibilità si limita a sminuire un dolore profondo, un malessere esistenziale che non può comprendere, in quanto adulto dimenticatosi di non essere stato sempre tale e in quanto uomo.

L’incomunicabilità: universo maschile e femminile a confronto

Il primo lungometraggio della Coppola è, infatti, innanzitutto un film sull’incomprensione, sull’incomunicabilità, sulla tangenza di due mondi opposti, che collidono per qualche istante per poi prendere strade separate. L’universo femminile e quello maschile si confrontano in una fase cruciale dello sviluppo umano, proprio quella in cui forse per la prima volta ci si rende autenticamente conto delle differenze di sesso e si muore dalla voglia di scoprire, di indagare il sesso opposto. Ciò tuttavia sembra precluso alle giovani sorelle, cresciute in un ambiente familiare ferreo e ipocrita sotto l’occhio giudicante di una madre bigotta e credente e di un padre forse troppo remissivo.

Il film mette così brillantemente in scena il tentativo da parte di giovani ragazzi di scavare affondo nelle mura di una casa che si lasciano scalfire ben poco, di comprendere delle ragazze che incantano come sirene, talmente eteree da sembrare delle statue di cera i cui sentimenti, i cui pensieri non ci è dato quasi del tutto sapere.

Sofia Coppola in Il giardino delle vergini suicide testimonia l’incomprensione e la fragilità dell'adolescenza, con uno sguardo al femminile.

I ragazzi sognano di fuggire con le sorelle Lisbon in Il giardino delle vergini suicide

L’unico strumento che abbiamo a disposizione, l’unica chiave di lettura che è offerta ai quattro adolescenti, così come agli spettatori, per comprenderle non è che un diario segreto, il diario di Cecilia, che ci permette di penetrare in un mondo di cui ci sentiamo spettatori indiscreti, fuori luogo, così come le ragazze si sentono dei pesci fuor d’acqua sulla terra.

Un oceano incolmabile separa le terre lontane dei due sessi. Troppo spensierati e adoranti, frivoli e giocherelloni i maschi, e troppo precocemente mature le sorelle Lisbon, autentiche in un mondo ipocrita.

Tra le quattro mura di casa loro hanno creato un universo in cui poter essere loro stesse, viaggiare con la fantasia sfogliando riviste di moda o reportage di viaggi in terre lontane e proprio attraverso i loro pensieri impressi sulla carta, sfogliando i loro stessi depliant, e attraverso le delucidazioni, le ipotesi, le interpretazioni dei ragazzi ci sentiamo catapultati in una storia di cui sappiamo già le sorti inevitabili, di cui avvertiamo il peso dello scacco.

I ragazzi: «Scoprivamo memorie a noi sconosciute, sentivamo quanto fosse imprigionante la condizione di ragazza, come rendeva la mente più attiva e sognatrice. Scoprimmo che le ragazze in realtà erano donne travestite che capivano l’amore e la morte. Capimmo che sapevano tutto di noi e che noi non potevamo comprenderle affatto».

Il pezzo mancante

Sfogliando le pagine del diario, pur iniziando a mettere insieme i pezzi di un puzzle come se fosse la chiave di un enigma, il suicidio di Cecilia, ciò che comprendono i ragazzi è esattamente la loro impossibilità di comprenderle veramente, un limite ineluttabile che sbarra la strada alla loro avventura di scoperta perché per quanto si possano sforzare di indagare su di loro, di capirle, non le comprenderanno mai davvero.

Tutto ciò che è in loro potere è guardarle attraverso un binocolo dall’altro lato della strada, provare a riportarle alla realtà facendo sentire loro per telefono i pezzi dei loro artisti preferiti incisi su vinile, senza poter mai portare alla luce per davvero le loro emozioni, le loro intenzioni, il loro malessere e la loro fugace gioia.

Sofia Coppola in Il giardino delle vergini suicide testimonia l’incomprensione e la fragilità dell'adolescenza, con uno sguardo al femminile.

I ragazzi telefonano alle sorelle per far sentire loro la musica in Il giardino delle vergini suicide

Il mistero che permane, il non detto che riecheggia nei luoghi che hanno attraversato, il persistere di una verità mai del tutto svelata fa tornare alla mente le riflessioni del filosofo Martin Heidegger, in particolare la sua traduzione pensante del termine greco aletheia: una verità che si svela e al contempo rimane celata, porta con sé sempre, inesorabilmente un ulteriore velamento. La medesima sorte è riservata a noi spettatori a cui è preclusa la possibilità di penetrare nei loro pensieri, nelle loro speranze e desideri, così come nelle loro disperazioni e timori. 

I ragazzi: «Alla fine i pezzi del puzzle furono recuperati, ma per quanto tentassimo di metterli insieme rimanevano sempre degli interrogativi, uno strano vuoto, modellato armoniosamente da ciò che le circondava come paesi a noi sconosciuti».

Quanto più ci apprestiamo a mettere insieme i pezzi del puzzle, tanto più nel suo insieme non rende disponibile al nostro sguardo un senso, una motivazione ragionevole che ci faccia comprendere il loro gesto estremo. Tutto ciò che possiamo fare è dare una nostra interpretazione, così come i membri della comunità si lanciano in ipotesi che forse non si avvicinano neanche lontanamente alla realtà dei fatti. Lo scacco è inevitabile, non abbiamo alternative.

L’angoscia

Una chiave di lettura possibile di questa preclusione ab origine, che ci aiuti a comprendere questa nostra impossibilità a rendere ragione di un tale malessere, a spiegare cosa abbia spinto delle ragazze così giovani e belle a togliersi la vita può essere però rinvenuta, forse, proprio attingendo alla filosofia di Heidegger. Il filosofo, infatti, distingue l’angoscia, la disperazione dalla semplice paura.

Heidegger insegna, infatti, che se la paura ha sempre un oggetto specifico, puntuale, preciso che può essere, dunque, conosciuto anche da uno sguardo esterno, lo stesso discorso non vale per l’angoscia. Non c’è una spiegazione, non c’è un motivo unico e inequivocabile, identificabile una volta per tutte che possa spiegare il malessere di quelle ragazze perché non ci si angoscia delle cose del nostro mondo quotidiano, ma ci si angoscia, molto più radicalmente, di essere al mondo, poiché ci si ritrova soli di fronte a un mondo che appare senza ragione.

Bloccate da una tale consapevolezza, le sorelle Lisbon portano sulle spalle un dramma, un’angoscia che non si addice alla loro età e che in generale l’uomo, ancestralmente e strutturalmente cerca di eludere, di mettere tra parentesi.

Sofia Coppola in Il giardino delle vergini suicide testimonia l’incomprensione e la fragilità dell'adolescenza, con uno sguardo al femminile.

Le sorelle Lisbon in Il giardino delle vergini suicide

La loro vita si riduce così al susseguirsi di istanti insignificanti. I giorni procedono uno dopo l’altro in una danza sadica, il tempo assume una struttura edipica in cui l’istante successivo mangia senza pietà l’istante precedente e quello che resta tra le mani delle povere adolescenti non è che «una banale lista di fatti frivoli». Appaiono così inafferrabili, eteree, quasi inconsistenti, finte proprio perché la loro vita non è che un’apparizione, un’illuminazione folgorante, destinata ad avere vita breve, come una fiammella alimentata dal vento che poi, inesorabilmente, si spegne.

Un malessere diffuso

Incomprese, neglette, si rifugiano così nelle quattro mura della loro casa, nel piccolo giardino di cui si prendono cura, avendo accesso a una dimensione ai più preclusa; e proprio quel giardino, proprio la loro casa finiscono per diventare l’emblema fulminante delle loro sorti.

L’olmo a cui erano tanto affezionate deve essere abbattuto, altrimenti infetterà anche gli altri del quartiere. Allo stesso modo, le sorelle Lisbon non hanno altra scelta che togliersi la vita, seguendo il gesto compiuto dalla sorella Cecilia, altrimenti diffonderanno una consapevolezza che farà ammalare anche gli altri loro coetanei.

Sofia Coppola in Il giardino delle vergini suicide testimonia l’incomprensione e la fragilità dell'adolescenza, con uno sguardo al femminile.

La casa vuota e l’albero spezzato in Il giardino delle vergini suicide

Tuttavia, il commento del padre delle ragazze, di tutta risposta a coloro che si devono occupare dell’abbattimento dell’albero, che dice che poiché gli altri alberi sono già malati, a quel punto si dovrebbe lasciare che la vita faccia il suo decorso naturale, sentenzia provocatoriamente sul fatto che il malessere delle sue figlie non è un caso unico e sporadico. La malattia che colpisce gli olmi del loro quartiere rappresenta infatti allegoricamente un malessere diffuso tra gli adolescenti, un’insoddisfazione perenne, un macigno sul cuore ormai insopportabile per le sorelle, ma che le accomuna agli altri ottanta ragazzi al giorno che si tolgono la vita.

L’oblio e la speranza

Il finale intriso di cinismo porta con sé, tuttavia, un’amara consapevolezza: nulla è cambiato dopo la loro morte perché raramente l’uomo impara dalla storia. Per quanto un evento possa essere straziante e sconvolgente è destinato inevitabilmente all’oblio. Il mondo va avanti, l’uomo dimentica, soprattutto ciò che è più scomodo, che è più difficile da mandare giù perché fin quando una cosa non ci riguarda in prima persona non ci sentiamo scottati per davvero.

Testimonianza tangibile dell’oblio di cui sono vittime le sorelle Lisbon sono le inquadrature tra le mura della casa che le ha ospitate, vuota e spoglia. Il lutto, gli interrogativi, il dolore e lo shock per il suicidio collettivo di quattro ragazze permangono nella comunità per qualche giorno, qualche settimana, qualche mese al massimo, così come dopo il suicidio di Cecilia il preside e gli altri professori della scuola si sentono in dovere di fare un discorso sugli adolescenti che si suicidano in America e distribuire volantini verdi, ma niente di più.

Sofia Coppola in Il giardino delle vergini suicide testimonia l’incomprensione e la fragilità dell'adolescenza, con uno sguardo al femminile.

Il corpo di Lux trovato morto nella macchina dei suoi genitori in Il giardino delle vergini suicide

L’unica speranza in un orizzonte segnato dall’ipocrisia, dall’inautenticità, dalle menzogne a fin di bene, dalle congetture sociali, sembra essere custodita da quei cinque ragazzi che continuano a mantenere vivo il loro ricordo, a raccontare la loro storia, custodendo i loro segreti, quei pochi ai quali hanno avuto accesso, lasciando una traccia della loro fugace e fulminea apparizione sulla terra.

I ragazzi: «Nel corso degli anni sono state dette tante cose sulle ragazze, ma non abbiamo mai trovato una risposta. In fondo non importava la loro età, né che fossero ragazze. La sola cosa che contava è che le avevamo amate e che non ci hanno sentito chiamarle e ancora non ci sentono che le chiamiamo perché escano dalle loro stanze dove sono entrate per restare sole per sempre e dove non troveremo mai i pezzi per rimetterle insieme».

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