L’infanzia di Ivan – Muoversi nell’eternità del Cinema

Daniele Lacapra

Settembre 3, 2021

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«Dal momento in cui dici Azione, a quando dici Stop, stai aggiustando la realtà, stai modellando l’essenza del tempo».

Andrej Tarkovskij

L’infanzia di Ivan (1962)

Per Andrej Tarkovskij, il Cinema può ricreare il concetto di tempo che noi non possiamo afferrare: nella nostra esperienza lo spazio è ciò che vediamo, ma col Cinema abbiamo la possibilità di diventare lo spazio che guardiamo e vedere noi stessi all’interno della registrazione del tempo.

Noi costruiamo la realtà con la nostra percezione delle cose, del tempo e dello spazio, ma ci sfugge quello che potremmo chiamare “il punto di vista della realtà”.

Il Cinema quindi diventa realtà che si muove, il tempo e lo spazio che si staccano dalla nostra prospettiva. 

L'infanzia di Ivan è il primo lungometraggio di Andrej Tarkovskij, dove il poeta del Cinema racconta la guerra tramite gli occhi di un bambino

Nikolaj Burljaev e Irma Raush – L’infanzia di Ivan

Il Cinema secondo Tarkovskij è l’occhio della realtà che permette di guardarci allo specchio, dalla prospettiva opposta alla nostra soggettività.

Ed è proprio quello che Ivan vorrebbe raggiungere nei suoi sogni, cerca di riconnettersi con una parte di sé che nella realtà non può vedere.

Nel primo sogno Ivan è inserito in un paesaggio completamente naturale, lo cominciamo a vedere in primo piano dietro a un albero, poi sparisce dal campo, ma l’inquadratura non lo segue, si muove verso l’alto e lo vediamo sullo sfondo immerso nel verde.

Dopodiché, notando una farfalla che sta volando, il movimento della camera ci fa percepire che anche lui stia lievitando, riuscendo a toccare le foglie sugli alberi.

La realtà si muove dandogli la sensazione di stare fluttuando, poi Ivan muove se stesso nello spazio circostante e il punto di vista dal quale vediamo il movimento in discesa, sembra essere proprio il suo.

Nel sogno Ivan riesce a vedere la realtà dal suo punto di vista e anche se stesso in quello spazio, come se guardandosi all’interno della dimensione onirica volesse ricongiungersi con il sé che abita laggiù. Attraverso la storia di Ivan, Tarkovskij ci mostra il Cinema come il mezzo più potente per esplorare l’essere umano e la sua concezione di sé nel tempo e nello spazio.

L’infanzia di Ivan – La realtà è in guerra

I luogo in cui si ritrova Ivan nel suo sogno iniziale, è un scenario è pregno di natura, luminoso, c’è un’atmosfera serena, quasi paradisiaca, e la madre fa parte di quel posto pacifico che a ha creato.

Solo che di punto in bianco, irrompe in quell’idilliaco scenario la realtà dello stato cosciente che trasformerà il sogno in un incubo dal quale dovrà svegliarsi. La realtà però è l’incubo stesso che lo ha svegliato.

Ivan si ritrova in un vecchio mulino a pezzi e uscendo da quella struttura di fatto entra in un campo desolato, cupo e pieno di corpi sparsi per terra, effettuando il passaggio da una dimensione all’altra scavalca l’inquadratura fissa e la sorpassa per avventurarsi nella non-natura, in un paesaggio naturalistico devastato senza più vitalità, deformata dalla morte che la guerra ha portato.

Ci troviamo nella seconda guerra mondiale, sul fronte orientale e Ivan dopo aver perso la madre uccisa dai tedeschi, decide di schierarsi con le forze militari sovietiche per fronteggiare l’armata tedesca. Il ragazzo viene usato per perlustrare le zone nemiche, per poi riferire le informazioni acquisite sulle mosse dei soldati nazisti.

È determinato a dare il suo contributo, ed è chiaro fin dall’inizio quando parla con il Tenente Galtsev, che non si comporta come farebbe un bambino della sua età, sembra quasi essere lui a prendere il comando dicendo agli ufficiali cosa fare.

Non sembra più un bambino, possiamo vedere chiaramente l’anomalia che si sta dipingendo sullo schermo. La realtà è che non sembra combaciare con l’ambiente in cui è in quel momento. Ivan quindi ci sembra egli stesso un’allucinazione, qualcosa che è lì, ma non dovrebbe esserci. Esattamente come la guerra in atto.

La realtà del protagonista viene sradicata come un albero, facendo mutare da un giorno all’altro, il suo modo di vedere il mondo.

Il clima innaturale e asettico della natura, le acque sporche, gli alberi sradicati, gli animali in mezzo alle macerie riflettono uno scenario cupo e catastrofico, dove non c’è più la realtà come Ivan la vedeva prima.

Gli elementi della terra non sono più quelli di una volta, la guerra ha trasformato la loro forma originaria, quindi tutto lo spazio sembra lo stesso spazio, potremmo essere vicino al lago o dentro una casetta, ma quel luogo non ha più alcuna locazione precisa.

Non esiste più alcun tempo che trascorre.

La realtà si ferma. Si avverte una percezione di stallo perché non c’è più alcun senso nel fare nulla e nemmeno nel pensare di poter andare in un altro posto. Non c’è nessun luogo sicuro, perché la guerra deforma tutta la natura e lo spazio intorno.

L'infanzia di Ivan è il primo lungometraggio di Andrej Tarkovskij, dove il poeta del Cinema racconta la guerra tramite gli occhi di un bambino

Ivan in mezzo alla distruzione della guerra – L’infanzia di Ivan

Di conseguenza L’infanzia di Ivan diventa la guerra, e da quando inizia, smette di essere un’anomalia diventando l’unica realtà che esiste perché egli non sa cosa sia esattamente tutto ciò che sta vedendo, i morti, gli spari la distruzione intorno passano davanti a lui come se fossero la normalità degli eventi.

Quando Ivan entra in campo di guerra, entra anche in un’illusione, in una nuova dimensione che non può comprendere con l’esperienza “filtrata” di un adulto, ma attraverso l’inconsapevolezza di un bambino che prende ciò che sta accadendo esattamente per quello che è. 

I soldati del plotone sovietico tentano invano di spedirlo alla scuola militare, ma col passare del tempo si accorgono che è troppo tardi, non possono più parlargli come a un bambino, la sua infanzia è stata violata da chi gli ha portato via la famiglia,  e tolta anche quella base che gli dava la sicurezza di essere protetto e che gli permetteva di mantenere il suo spirito infantile, non c’è più traccia della sua essenza nella realtà.

La vita nel sogno e la morte nella realtà

Catapultato in uno scenario da incubo, Ivan si ritrova da solo nel bel mezzo di una guerra dove non può far altro che diventare un soldato, il cui unico obbiettivo è quello di vendicarsi.

L’unico luogo in cui può ritrovare il bambino che è in lui, è in una dimensione alternativa, perché nella realtà cruda e senza senso della guerra, non c’è tempo o spazio per esplorare il mondo o se stesso.

L'infanzia di Ivan è il primo lungometraggio di Andrej Tarkovskij, dove il poeta del Cinema racconta la guerra tramite gli occhi di un bambino

Nikolaj Burljaev – L’infanzia di Ivan

Ivan confonde i ricordi e il tempo passato con il tempo presente, creando delle interferenze, delle allucinazioni, delle illusioni.

Come quando lasciato da solo nel rifugio, si inventa di essere sotto attacco e simula uno scenario in cui dei soldati tedeschi lo stanno cercando per ucciderlo, ricreando l’esperienza di quando lui e sua madre vennero rinchiusi nel “campo della morte”.

Ivan materializza quel ricordo nello spazio della caverna-rifugio, mescola il passato come se facesse parte della realtà presente, creando dei veri e propri sogni lucidi.

In questa allucinazione però accade qualcosa di particolare, Ivan vede se stesso come noi lo vediamo nel sogno, solo che ora essendo cosciente le proiezioni di sé stesso e della madre si accorgono che qualcuno li sta osservando e infatti guardano dritto in camera sfondando la quarta parete.

Ivan nella sua allucinazione, aldilà del suo delirio, è come se riuscisse tramite un altro occhio, da un punto di vista esterno indecifrabile, a rivedere ciò che non ha potuto osservare con i suoi occhi. Ripercorre il tempo riuscendo a muoversi all’interno del suo spazio.

Sta di fatto che c’è una grande confusione in atto, le due dimensioni ostacolano a vicenda la sua percezione, il sogno viene interrotto dalla realtà e la realtà è condizionata dai sogni lucidi, dai ricordi di un tempo passato che si manifestano nel suo presente.

Ivan può riconnettersi con il vero sé solamente e trovare sollievo soltanto nella morte della propria realtà, che per Tarkovskij sembrerebbe coincidere con la dimensione del sogno, dove l’uomo diventa un tutt’uno con il tempo e lo spazio, dove non ha più la consapevolezza di essere, ma semplicemente è.

Il Cinema, di conseguenza rappresenta quello spazio a-temporale, dove catturare le esperienze sensoriali e temporali che percepiamo nella realtà, per poi sistemarla e riprodurla attraverso uno specchio. La morte della nostra realtà, e l’entrata in un’altra dove passato presente e sogno, sono contenuti in un’unica dimensione.

«Il Cinema è l’unica arte che ci dà la possibilità di muoverci nell’eternità, creando un mosaico fatto di tempo».

Andrej Tarkovskij

 

Leggi anche: Lo Specchio di Tarkovskij – Tra immagini implose e memoria

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