Filtro Queer e cinema del passato

Roberto Valente

Luglio 2, 2022

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Grazie alla maggiore sensibilità e critica percepita a livello sociale riguardo le tematiche queer negli ultimi decenni, nel mondo cinematografico si sta costituendo una tendenza sempre più forte e necessaria. Tale tendenza riguarda la rilettura, in ottica dei Queer Studies, del cinema del passato.

A qualcuno piace caldo (1959), di Billy Wilder. Fu motivo di scandalo vedere due personaggi maschili protagonisti ricorrere al travestimento femminile.

I grandi classici e i film che hanno influenzato l’immaginario collettivo di generazioni di spettatori possono oggi essere letti con gli strumenti che la critica ha a suo favore. Questo approccio deve sicuramente molto al decostruzionismo, movimento da cui il discorso di decostruzione dei concetti di gender è partito.

Come sappiamo, durante il periodo della hollywood classica le produzioni cinematografiche erano controllate e censurate in caso di vilipendio al buoncostume. Il codice Hays vietava di rappresentare qualsiasi dinamica contrastasse o divergesse dai confini entro cui il patriarcato condizionava la società.

Non si potevano rappresentare devianze sessuali, questioni legate all’aborto, donne emancipate che imponevano il proprio sguardo alla narrazione. Insomma, nulla che potesse mettere in discussione il potere maschile eteronormativo.

Non si poteva dare spazio a personaggi omosessuali o lesbici, in altre parole, queer. Salvo qualche clamorosa eccezione data dalla capacità degli autori e delle autrici di creare sottotesti difficilmente decifrabili.

Bisogna dire, a onore del vero, che prima degli anni Trenta ci sono stati dei casi in cui possiamo osservare personaggi non etero all’interno del cinema muto. In alcune sequenze tratte dai film di Chaplin, come in Charlot macchinista del 1916, vediamo il protagonista baciare una donna travestita da uomo.

Charlot, tuttavia, era a conoscenza del suo vero sesso. La scena richiama l’attenzione di un uomo dall’aspetto effemminato che verrà espulso dall’inquadratura con un calcio nel sedere. La trovata era stata pensata per suscitare ilarità nel pubblico. D’altra parte, almeno, la visibilità non era negata. 

La scena del bacio in Charlot macchinista (1916)

Il primo celebre bacio omosessuale arriverà nel 1930 nel film Marocco. Qui Marlene Dietrich è vestita da uomo, e stavolta nessuno è a conoscenza del suo vero sesso, dunque bacerà un uomo seduto tra il pubblico durante lo spettacolo. La scena resterà negli annali del cinema e farà della Dietrich un’icona del cinema LGBT. Dal successo della pellicola si creerà un seguito di film in cui si arriverà anche alla rappresentazione di bar gay.

Questa nascente libertà espressiva trovò un ostacolo dal sorgere dei movimenti fascisti e conservatori in tutto l’occidente nel corso degli anni Trenta. Proprio in questa occasione Hollywood, precisamente nel 1934, fece entrare in vigore il codice di censura. Fu per questa ragione che i registi e le registe dovettero ricorrere a mezzi espressivi allusivi per inserire personaggi devianti dalle norme imposte.

Le pressioni sociali erano comunque molto forti, l’indottrinamento dei media ancor più. Le figure omosessuali e lesbiche passarono a essere rappresentate (sempre non esplicitamente) come figure pericolose e crudeli. Questo è il caso di film come Rebecca di Hitchcock del 1940, dove la figura femminile dalla sessualità ambigua diventa insensibile e crudele nell’obiettivo di perseguire i suoi scopi. Dinamica ripresa, non fosse che di anni ne erano passati cinquanta, dal film Basic instinct nel 1992.

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Rope (1948), di Alfred Hitchcock

Altri esempi sono Rope del 1948, dello stesso Hitchcock, dove le due figure protagoniste sono due uomini. Il sottotesto omoerotico non è ovviamente esplicitato. Essi non solo commettono un omicidio a prima vista gratuito, ma tentano di giustificare filosoficamente la loro libertà e volontà di togliere la vita a un uomo. Stessa dinamica avviene al femminile ne La figlia di Dracula del 1933. Oppure altro famoso e chiaro esempio è la figura violenta del personaggio velatamente omosessuale di Plato in Gioventù bruciata del 1955.

La propaganda era chiara, che fosse conscia o no nella testa degli artisti, devianza dall’eteronormatività voleva dire male, morte o crudeltà. I personaggi omosessuali e lesbici, in generale queer, nella maggior parte dei casi dovevano perire nei film affinché, nel finale, l’ordine potesse essere ristabilito.

Dobbiamo considerare e non dimenticare però che spesso i cineasti vedevano in questi finali un compromesso. L’alternativa sarebbe stata quella di non poter fare arte e girare film. Oggi probabilmente non sapremmo chi era Alfred Hitchcock e anche se non saremmo probabilmente d’accordo col destino di questi personaggi, va considerato il fatto che la soluzione alternativa nel mondo cinematografico era non parlarne. Non rappresentare tali personaggi e continuare a tenerli chiusi nell’armadio.

Gli esempi possono essere infiniti, basterebbe riguardare le pellicole prodotte in quei decenni, con questo tipo di filtro e di attenzione e tutto tornerebbe perfettamente chiaro davanti ai nostri occhi.

Con il ricambio generazionale e l’avvento della new Hollywood e grazie ai movimenti cinematografici europei, Nouvelle Vague in primis, il cinema degli anni Sessanta non ha solo messo in discussione i propri mezzi estetico espressivi. La controcultura, la rivoluzione sessuale sono stati pedali di accelerazione fondamentali e hanno spinto i giovani cineasti a portare in maniera prorompente nelle pellicole temi queer.

Dapprima il tema portate fu quello dello scontro tra le generazioni e con i propri padri: vedi film come Il laureato, Bonnie e Clyde, Easy Rider negli States, o dal cinema di Godard, Pasolini, Bergman in Europa. I film portavano ventate di novità. I giovani cercano di ribellarsi con la violenza, con l’uso di droghe, con la promiscuità sessuale all’ordine prestabilito.

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The boys in the band (1970), di William Friedkin

Nel 1970 esce nelle sale il primo film hollywoodiano che vede come protagonisti dei personaggi omosessuali che non incontrano un tragico finale. Il film in questione è The boys in the band, diretto da William Friedkin. Il film non è il massimo dell’avanguardia nella rappresentazione. Gli stereotipi abbondano e la comunità omosessuale non lo accolse bene. Cade però l’associazione omosessualità/lesbismo uguale crudeltà e male.

Il vero trionfo queer di quegli anni è rappresentato da The Rocky Horror Picture Show. Questa pellicola ha messo in imbarazzo un’intera nazione decostruendo tutte le solide basi strutturali su cui il patriarcato si basa.

Decostruisce i concetti di eteronormatività, famiglia cattolica, reticenza contro promiscuità sessuale, fino a rappresentare un protagonista che è ciò che di più vicino c’è a un personaggio transgender fosse mai stato rappresentato

In Europa intanto, precisamente in Italia, i personaggi omosessuali cominciano ad abbondare. Da “Occhiofino” ne Il Sorpasso di Dino Risi, fino ai personaggi omosessuali stigmatizzati per la loro condizione di “depravati” ne La dolce vita di Fellini.

Il cinema italiano, dominato dal genere commedia, proporrà un’associazione ilare con l’omosessualità che quasi ricorda quelle del cinema hollywoodiano degli anni Venti. Le tracce di personaggi lesbici invece sono molto rare.

Solo successivamente il tema queer prenderà più consapevolezza nella rappresentazione, cosa che avverrà in Fellini stesso qualche anno dopo, o con autori e autrici come Marco Ferreri, Lina Wertmuller e Mauro Bolognini.

L’unica eccezione era rappresentata da Pasolini, il quale in maniera politica dibatteva della sessualità in molte sue pellicole. Il Decameron, ad esempio, nel 1971 creò una grande eco che si riversò in Italia e non solo sulla produzione di migliaia di pellicole a sfondo sessuale. Nella maggior parte dei casi di scarso interesse estetico, ma di grande interesse sulle proposizioni popolari degli argomenti delicati di cui stiamo trattando.

Il genere giallo italiano e quello horror statunitense diventeranno nel corso degli anni Settanta e Ottanta una miniera di simboli e metafore per decifrare il rapporto tra la società e il sesso. Più precisamente tra le dinamiche di potere che i maschi vedevano messe in crisi nei confronti delle figure femminili, ormai emancipate dal sistema patriarcale.

In quegli anni il mondo occidentale stava cambiando. In Italia come in altri paesi occidentali divenivano tema sociale le leggi sull’aborto e sul divorzio. Tutte questioni che mettevano in pericolo il potere che i maschi esercitavano da sempre sulla sessualità femminile nel tentativo di controllarla.

Scena topica da A Nightmare on Elm street (1984), di Wes Craven

I serial killer, praticamente sempre maschi, che trafiggono con qualsiasi cosa i corpi femminili fino a smembrarli o tagliarli a pezzi, appaiono come figure in crisi, che non possono più avere relazione con il sesso opposto. Perché non possono controllarlo.

Il pugnale lungo sempre almeno venti centimetri, fino ad arrivare alle mannaie di Jason Vhoorees in Venerdì 13, non è che il simbolo fallico che non conosce altro modo che la violenza per possedere i corpi.

Queste letture sono oggi una preziona miniera di possibilità per decifrare le dinamiche che hanno caratterizzato le società nel corso del secolo scorso e di quello che stiamo vivendo.

Queering cinema“, espressione entrata in uso nelle accademie e tra gli studiosi e le studiose, vuol dire proprio questo. Rivedere il cinema, ossia le pellicole che la cultura ha generato e cha a loro volta hanno generato cultura di ricambio, può essere un’ottima arma ideologica.

Leggi anche: New Queer Cinema – Gender e sessualità: noi, gli altri e le altre.

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