La Meglio Gioventù – la poesia dell’oblio

Carmine Esposito

Aprile 24, 2019

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La Meglio Gioventù – la poesia dell’oblio

L’essenza del mito è quella di riportare la vicenda umana al centro della Storia. Come succede alla famiglia Carati, protagonista volente o nolente di oltre trent’anni di storia italiana. Dal boom economico fino a tangentopoli, le vicissitudini personali dei componenti di questa famiglia si accavallano alla cronaca regalando una prospettiva diversa, tendente alle sfumature di una realtà virtuale.

Il sogno da babyboomer nostrani di Angelo e Adriana Carati, sull’onda lunga del boom economico degli anni Cinquanta; le lotte studentesche e la lotta armata nelle mani e negli occhi di Nicola, Giulia e Matteo, divisi dalle barricate in strada e da una torta in casa; la rivoluzione di Basaglia nel cuore di Nicola e nella mente di Giorgia; le stragi di mafia e il terrore nella vita imprigionata del giudice Giovanna Carati. Album di famiglia o collezione di ritagli di giornale, difficile dirlo.

La meglio gioventù è quella che volente o nolente fa la storia: indossando l’onere delle istituzioni come Nicola, portando sulle spalle il peso dei morti e della guerra come Giulia, o aprendo una porta per lasciare la festa e andare a dormire come Matteo.

La Meglio Gioventù

Matteo porta in sé la tragicità dell’eroe greco, quel coraggio e quella tristezza propri di Achille, parafrasando le parole di Nicola. Sa di essere condannato, sente addosso il marchio della propria mortalità. E questa angoscia di vivere lo guida nelle sue scelte.

A cominciare da quella che sarà la prima e l’ultima presa: l’oscurità. Perché il suicidio non è la follia di un attimo, un gesto sconsiderato; è un lavoro costante e certosino, come costruire una fortezza in cui nessuno possa entrare, o scavare un pozzo profondo.

Ogni urlo o litigio è una badilata sul fondo; ogni treno preso o porta sbattuta un mattoncino aggiunto. In attesa del momento giusto in cui rinchiudersi e dormire, per sempre.

Come Pollicino, il paladino de La meglio gioventù ha seminato tanti sassolini lungo il percorso, preludio alla sua fine gloriosa; un lungo sentiero di gesti, parole, ma soprattutto poesie.

La Meglio Gioventù

«Vagar mi fai co’ miei pensieri su l’orme / che vanno al nulla eterno; e intanto fugge / questo reo tempo, e van con lui le torme / delle cure onde meco egli si strugge; / e mentre io guardo la tua pace, dorme / quello spirto guerrier ch’entro mi rugge».

(Ugo Foscolo, Alla sera)

Quando si rende conto che il momento è arrivato, Matteo si libera prima di tutto della sua pistola, riposta in un cassetto dove custodisce la foto di Hemingway; una sorta di santino, protettore della meglio gioventù, custode dei suoi propositi e dei suoi progetti di autodistruzione.

Quell’arma è il simbolo dell’inizio di tutto, del momento in cui lo studente decide di abbandonarsi a un tepore serale, che lo aiuti ad affogare il suo spirito indomabile. L’unico modo che trova per mettere ordine nel caos che alberga dentro di lui è abbandonare l’università per entrare nell’esercito.

Cerca regole, delle sicurezze; cerca strumenti per provare a domare la bestia che lo anima, la meglio gioventù che lo spinge a vivere da eroe, gridando in faccia alla Storia tutta la sua rabbia.

La Meglio Gioventù

«Rapian gli amici una favilla al Sole / a illuminar la sotterranea notte, / perché gli occhi dell’uom cercan morendo / il Sole; e tutti l’ultimo sospiro / mandano i petti alla fuggente luca».

(Ugo Foscolo, Dei Sepolcri)

Eppure non è mancato qualche barlume nella notte dell’anima. Innumerevoli sono state le tentazioni in questo esilio volontario, come il calore di una persona cara respinto senza tanti complimenti. La rabbia, cieca e incompresa, è sempre il miglior modo per tenere lontani gli affetti: crearsi un bozzolo di mancanze e di offese, per evitare ritardi sui lavori della grande opera di solitudine.

E allora l’eremita si nega l’ultimo saluto al padre. Decide di andare a vivere da solo dopo il trasferimento nella sua città natale; evita ogni contatto diretto con fratelli e sorelle, pur condividendone il sentimento profondo che li lega.

Ha già deciso Matteo. Per questo non si lascia tentare dalla luce dei festeggiamenti in famiglia; apre la porta di casa, di nascosto, e scappa via. Lontano dall’amore che lo avrebbe salvato, ma che lo avrebbe derubato dell’utopia di se stesso.

La Meglio Gioventù

«Naturae clamat ab ipso vox tumulo».

(Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis)

Non basta scappare sulle montagne, lontani dalla propria casa, per annullare la propria natura. Il novello Jacopo Ortis non riesce a distruggere il suo inconscio desiderante. L’amore per quei libri, che sempre lo hanno accompagnato nella vita, spinge Matteo tra le braccia di Mirella; la condivisione delle loro passioni aprirà una crepa nella fortezza quasi terminata, che rischia di crollare al suolo sotto i colpi di un amore insperato.

Questo sentimento sconvolgente vale un ultimo tentativo prima di andare: una telefonata. Affidarsi al caso e alla ricerca di una speculare solitudine da cui rinascere stretti insieme, in un unico corpo. Ma il destino è beffardo, e la fine è segnata. Negli astri che esplodono nel cielo, presagi di un’apocalisse interiore, è scritto l’epilogo del nostro Achille.

«E vi dico che la Vita è un giocatore / che ci sovrasta di testa e di spalle / […] Andatevene dalla stanza se perdete / -andatevene, quando il vostro tempo è finito. / E’ vile sedersi e brancicare le carte, / e maledire le perdite, con occhi cerchiati, / piagnucolando per tentare ancora».

(Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River)

Il bluff è scoperto, si calano le carte ma sul tavolo non c’è neanche un misero punto. Matteo lo sa, la partita è persa. La meglio gioventù è sbiadita dentro un frigorifero pieno di cibo avariato e solitudine. Non vale la pena agitarsi in attesa di carte migliori, le mani giuste sono venute e andate via, per paura o forse per troppa impazienza; ma a cosa serve rimuginarci ormai?

Meglio smettere di combattere contro le sofferenze cui è destinata la carne, abbracciare il dolce oblio del sonno mentre il mondo esplode di speranza e fuochi d’artificio. Un ultimo sguardo alle piante, prima di andare a letto. Manca anche la forza di spogliarsi al nostro Amleto, toglie giusto gli scarponi sporchi di fango per non sporcare le lenzuola. Un saluto veloce, e si butta sul letto oltre il muro. E così va a dormire, morire… forse sognare.

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