Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri – L’intreccio tra vendetta e speranza

Alessandro Fazio

Gennaio 29, 2018

Resta Aggiornato

tre manifesti
Frances McDormand e i manifesti

Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri è il nuovo film del regista e sceneggiatore Martin McDonagh, e si tratta di una pellicola destinata a entrare nella storia del cinema degli ultimi anni. A sostegno di questa tesi non ci sono soltanto l’ampia vittoria ai Golden Globes e le numerose candidature agli Oscar (sette: miglior film, miglior regia e miglior attrice protagonista). Sono anche le emozioni e le sensazioni che questo film riesce a trasmettere agli spettatori che escono dalla sala dopo averlo visto.

Personaggi scritti ad hoc

McDonagh ha scritto la storia ispirato dalla vista di tre manifesti riguardanti un crimine irrisolto mentre viaggiava al confine tra Alabama, Georgia e Florida. Il regista britannico, allora, si è messo alla ricerca di qualcuno che potesse dare forma alla sua scrittura, e ha pensato a Frances McDormand per il ruolo di protagonista: la star di Fargo (1996) interpreta Mildred, una madre scossa e arrabbiata per la morte della figlia adolescente, avvenuta sette mesi prima dell’inizio del film, ancora senza un colpevole.

Il rancore verso l’incapacità della polizia la spinge ad affittare per un anno tre manifesti in cui fa scrivere tre domande provocatorie sull’operato dello sceriffo (Woody Harrelson). Questo gesto scatenerà tutta l’ipocrisia della cittadina di Ebbing, che reagirà disprezzando Mildred dopo esserle stata vicina per la tragedia. La cittadinanza si vede non disposta a condividere le critiche verso la polizia. Personaggio appartenente alle forze dell’ordine e brillantemente interpretato da Sam Rockwell (candidato alla statuetta come miglior attore non protagonista) è Dixon, che incarna i tratti principali di tutte le tematiche affrontate nel film, famiglia e razzismo su tutte.

tre manifesti
Mildred e lo sceriffo

Le tematiche

Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri dimostra di essere un film maturo, in quanto riesce a non perdere il focus su ciò che è la causa scatenante di tutto (cioè la morte di Anne e l’affitto dei manifesti), indagando al tempo stesso su tematiche profonde e non solo personali, ma che toccano in generale la famiglia americana media e, nello specifico, la famiglia di uno Stato del Sud come il Missouri.

L’aspetto familiare è evidente nella trama e nelle sotto-trame dei personaggi secondari: dallo sviluppo della storia e da alcuni flashback comprendiamo che Mildred non era affatto una mamma modello, ma anzi aveva elevate tendenze menefreghiste verso i figli (elemento che le crea un forte rimorso). La tragedia, in casa dello sceriffo Willoughby, sta nel suo cancro al pancreas più che nell’incapacità di trovare l’assassino della figlia di Mildred, e nel suo gesto che sconvolgerà la sua famiglia e l’intera comunità. Tragica, inoltre, è la storia di Dixon, agente di polizia sui quarant’anni che vive ancora con la madre, affetto da diversi problemi tra cui l’alcolismo, l’aggressività e, non ultimo, il razzismo.

In merito a esso, è interessante il punto di vista attraverso cui il film lo delinea. Essere razzisti a Ebbing viene rappresentato come un tratto automatico e socialmente accettato dalla maggior parte della popolazione. Vengono fatte addirittura battute sulle torture nei confronti dei neri da parte della polizia, e fra le righe (ma non troppo) è possibile leggere una critica a quella parte di società e di establishment americano che non accetta, soprattutto nel Sud, che tutti hanno gli stessi diritti (solo pochi decenni fa, infatti, sono state debellate da un punto di vista giuridico-legislativo norme che legittimavano la discriminazione, quindi è facile immaginare come nella mentalità di molti il razzismo sia qualcosa di automatico, e questo purtroppo tocca anche le forze dell’ordine).

Si affianca a essa la critica all’idea che la polizia abusi del suo potere. Di contro, invece, è rappresentata soprattutto dall’opera della protagonista e di alcuni suoi sostenitori la quasi totale assenza di fiducia nei confronti dello Stato, inteso come entità da cui ci sia aspetta garanzia e protezione, ma che non riesce invece a fare il suo dovere.

Mildred e il poliziotto Dixon

La violenza e la vendetta

Se c’è qualcuno che non riesce a fare il suo dovere da un punto di vista professionale, ma fa una grande azione a livello umano è lo sceriffo Willoughby. Con le sue lettere (di cui non specifichiamo le circostanze per evitare spoiler) egli trova il modo di diventare il collante, il filo rosso per la crescita di tutti i personaggi, in particolare di Mildred e Dixon.

Quello che le sue parole riescono a fare, molto più delle sue azioni, è toccare le coscienze diverse ma ugualmente turbate di due persone lontane, che si scoprono in qualche modo vicine con lo sviluppo degli eventi. Per la donna, Willoughby e Dixon in modi differenti riescono a donarle quello che per sette mesi aveva perso, cioè la speranza. Quest’ultima in una prima fase va di pari passo con l’ovvio e genuino sentimento di vendetta. Col tempo, si ritaglia uno spazio sempre più grande che le permette di essere movente di vendetta. Saranno poi gli spettatori a scegliere se si verificherà mai: il finale, infatti, è aperto.

Questa scelta, che per come è fatto il pubblico italiano potrebbe fare storcere il naso a molti, è pienamente coerente con il tipo di storia che ha voluto raccontare McDonagh. Il punto non è solo la vendetta che può perdere la sua efficacia nel momento in cui niente viri nella direzione voluta, ma è la capacità di vivere e sopravvivere grazia alla speranza di potersi, un giorno vendicare. C’è una bella differenza.

tre manifesti
Una scena del film

Ottima ragia, sceneggiatura e fotografia

McDonagh non si è limitato a strutturare una storia matura nella sua capacità di ampliare il raggio di indagine su diversi temi, che esulano dalla vita personale dei protagonisti. Egli, infatti, è anche regista del film e bisogna dire che la sua candidatura per la miglior regia (oltre che per la miglior sceneggiatura originale) è oltremodo giustificata: molte soggettive, numerosi campi lunghi soprattutto nelle scene dedicate ai manifesti e, dulcis in fundo, un breve ma efficace piano sequenza che descrive la cruda scena del pestaggio di Dixon ai danni del ragazzo che ha affittato i tre manifesti a Mildred.

Abbiamo citato i campi lunghi e a questo proposito non si può non menzionare la fotografia, curata da Ben Davis, autore negli ultimi anni di lavori esaltanti nei film del Marvel Cinematic Universe. Le scene con i manifesti, sia diurne che notturne, sono una gioia per gli occhi nella loro solitudine e aridità visiva. Non a caso, inoltre, queste scene sono accompagnate da una colonna sonora all’altezza (ma non straordinaria), composta da Carter Burwell.

A ogni modo, la reale forza di Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri sta nelle interpretazioni degli attori. Non solo i protagonisti già citati, ma anche le piccole sorprese come Peter Dinklage in un ruolo secondario, ma malinconicamente tenero. Frances McDormand come protagonista compie un lavoro eccezionale, e sarà dura per le sue avversarie sottrarle l’Oscar. Ma non sono da sottovalutare le interpretazioni dei personaggi secondari fra cui spiccano Sam Rockwell e Woody Harrelson. Quando si sfornano prodotti cinematografici simili non si può fare altro che ringraziare e godersi lo spettacolo.

Frances McDormand e Peter Dinklage

Leggi anche: L’Ora più buia – Churchill e la Forza dell’Oratoria

Correlati
Share This