Si muore tutti democristiani – Vita, morte e miracoli di una generazione

Carmine Esposito

Maggio 28, 2018

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Si muore tutti democristiani – Vita, morte e miracoli di una generazione

«Cadrò a terra senza ossessioni e timori, perché ci sarà sempre per me, nelle verdi colline d’Inghilterra, una mano operaia pronta a rimettermi in piedi. E quando mi troverò nel fango, triste come un altoforno spento, con le dita attaccate agli inguini strizzati o senza fiato per una pallonata della vita nello stomaco, coi miei sogni sconvolti o crollati, nel vento e nella pioggia, saprò che mi tenderete una mano per dirmi: tranquillo, è il mestiere che entra. Saprò che mai camminerò da solo».

(Alberto Prunetti, 108 metri. The new working class hero)

Si muore tutti democristiani

Cosa vuol dire essere un trentenne oggi? Cosa significa pianificare una vita, un futuro, con un lavoro precario e pochi soldi in tasca? In che senso si è pionieri di un nuovo modo di vivere? Di vivere in sei in una casa per riuscire a permettersi l’affitto, di dover fare affidamento su più stipendi per avere un sostentamento reale, di avere l’aiuto della pensione di nonno per una birra con gli amici il sabato sera?

Roma, Milano, Napoli. Indipendentemente dalla città, quando si avvicina una scadenza o un traguardo fanno capolino le aspettative e con esse le responsabilità, e seguono a ruota tutte le domande di cui sopra.

Succede ai tre protagonisti di Si muore tutti democristiani, cineasti tutti d’un pezzo, dediti alla qualità e al socialmente impegnato, nell’epoca del bagaglino e della TV “alla c***o di cane”, per dirla alla René Ferretti.

Sono ragazzi pieni di entusiasmo e di idee innovative, che spiaccicano la faccia sul muro della realtà, della vile pecunia, per cui sono costretti a fare i filmini dei matrimoni.

Si muore tutti democristiani

Figli della bambagia degli anni Settanta e Ottanta, esponenti della prima generazione che non affronta l’esperienza della fame post bellica e orfana di fabbrica, che riesce a sfuggire a un destino nelle catene di montaggio: Stefano, Fabrizio e Enrico fondano una casa di produzione cinematografica, con la voglia di fare della passione per il cinema un lavoro vero e proprio.

Nonostante si pongano l’obiettivo di produrre materiale non mainstream e nonostante abbiano un occhio sempre teso al sociale più che ai soldi, i primi successi e il riconoscimento della critica danno l’idea di un progetto che sta viaggiando sui binari giusti. Un lavoretto qui, un altro là. Ci si tiene a galla con qualche espediente: servizi per feste nuziali, l’aiuto dalla famiglia ricca della mogliettina, il subaffitto della casa studenti.

Tutto in attesa che arrivi la grande occasione, la svolta. Che sembra arrivare sotto forma di un agente scroccone e dai modi sbrigativi, con in tasca un’offerta unica. Di quelle che capitano solo una volta nella vita, e che proprio non si possono rifiutare.

Presi dall’entusiasmo, i tre non fanno i conti con l’ironia che ha sempre contraddistinto la dea bendata.

Si muore tutti democristiani

Il vaso di Pandora lo scoperchia Enrico, di notte mentre gli altri dormono, quasi a ricalcare proprio il mito. Quello che trova dentro mette in crisi tutto.

Fino a che punto sono disposti a spingersi pur di poter abbandonare tutti gli espedienti e finalmente condurre una vita vera? Sarebbero pronti anche a tradire i principi che li animano, le motivazioni che li muovono? Tradirebbero anche se stessi?

Ed è proprio alla ricerca del proprio io che tutti e tre partono, divisi sulla decisione se accettare o meno questo lavoro. Fanno un viaggio indietro nel tempo, risalendo alla radice di quello che sono diventati. Tornano nel passato per fare i conti con le attese dei genitori, con l’amore della vita forse tradito più nella mente che nel corpo, con gli ideali forse troppo grandi per degli adolescenti alle prime esperienze.

Si muore tutti democristiani

La ricerca di una radice della propria identità, in determinati momenti del passato, rappresenta un momento di svolta in Si muore tutti democristiani.

Proprio a partire dalla decostruzione di questi giorni idealizzati dalla memoria, torniamo alla dimensione prettamente umana e desiderante dei protagonisti e di una generazione intera. La famosa “generazione mille euroche ormai è cresciuta. A forza di lavori precari e sottopagati si è fatta le ossa, le è venuto il pelo sullo stomaco.

Se pure continua a sognare, se pure continua a pensare di poter cambiare il mondo, le manca l’abbrivio e il fiato sulla distanza. Ha imparato il valore o forse la condanna della concretezza. In nome di quella fa un passo indietro, sperando che serva solo a prendere la rincorsa.

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