La Trilogia della Vendetta di Park Chan-wook

Roberto Valente

Settembre 6, 2018

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Trilogia della vendetta.

 

 

“Una vita umana è veramente fragile e fugace come la rugiada del mattino.”

Era il 1951 quando al festival del cinema di Venezia veniva assegnato il leone d’oro ad un regista semisconosciuto proveniente dal giappone: il nome di quel regista era Akira Kurosawa e il film in questione era Rashomon. Da quel momento, grazie alla monumentale pellicola di quello che sarebbe diventato uno dei maestri del cinema mondiale, il cinema orientale ha iniziato a suscitare l’interesse di quel così lontano mondo occidentale. Parlare del cinema di Kurosawa sarebbe meraviglioso ma molto impegnativo, per questo una recensione dedicata a lui soltanto sarebbe più adatta. Per adesso mi limiterò ad accennare quanto questo film abbia segnato la poetica futura e il successo del cinema del sol levante e di tutto l’oriente.

Kurosawa indaga la natura umana come in pochi sono stati in grado di fare, ci mostra un’umanità fallace, ipocrita, cinica e malinconicamente aggrappata alle illusioni che questo mondo le offre. Rashomon è un affresco che ci mostra l’uomo di fronte ad uno dei più grandi dilemmi dal quale non è mai riuscito a sottrarsi: l’attrazione, consapevole o no, alla menzogna. Come ho già detto, sarebbe bello continuare e sicuramente sarà fatto, ma non in questa sede. Ora vediamo come negli ultimi 15 anni la lezione del maestro sia stata fondamentale per quello che è a mio avviso il fenomeno artistico (cinematografico) più importante proveniente dall’oriente, ossia la “trilogia della vendetta” composta da tre meravigliosi film diretti da un fenomenale regista sudcoreano di nome  Park Chan-wook.

 

1. SYMPATHY FOR MR. VENGEANCE (2002)

Titolo che, reso in italiano con un semplice “Mr.vendetta”, racchiude una delle caratteristiche peculiari non solo di questa pellicola ma anche delle due successive. Argomento questo su cui torneremo più avanti. Tornando al film, questo gioiello è ritenuto il più debole della trilogia, considerazione che pur non condividendo riesco a comprendere data la rara ed enorme bellezza di tutti i film che compongono la trilogia. Il film narra la storia di Ryu, un giovanissimo ragazzo sordomuto che ha un desiderio preciso, fare di tutto per salvare sua sorella malata gravemente di reni. Sarebbe disposto a donarle il suo, ma ahimè egli non risulta un donatore compatibile. In preda alla disperazione, i giovane si rivolge ad un’organizzazione criminale, decidendo di donare loro il suo rene in cambio di uno compatibile da donare a sua sorella; per salvarle a vita.

Il tutto finirà in una truffa e dopo essersi risvegliato in un casolare abbandonato senza un rene, il giovane si vedrà anche licenziato (perdendo il lavoro che serviva per pagare le cure di sua sorella). Bene, questa è la situazione, siamo davanti alla tragedia di un uomo, anzi un ragazzo, che rischia di perdere sua sorella e soprattutto si vede impotente dinanzi a tale minaccia. Situazioni del genere sono il punto di partenza di ogni film della trilogia, situazioni che si trasformano poi, con un’abilità registica e narrativa eccezionali, in punti di non ritorno. Ryu e la sua ragazza decideranno di fare la cosa probabilmente peggiore, ma anche l’unica che garantirebbe la salvezza a sua sorella: i due rapiranno la figlia del suo datore di lavoro, una povera bambina innocente. Non dirò altro a riguardo del film, quello che succederà dopo sarà qualcosa che riuscirebbe a scuotere gli animi di chiunque. Davanti ad una situazione del genere, cosa significa bene? E cosa significa male? Che differenza c’è tra fare la cosa giusta e fare la cosa sbagliata?

2. OLD BOY (2003)

Trilogia della vendetta.

Premiato con la palma d’oro al Festival di Cannes da Quentin Tarantino, presidente di giuria, è stato dallo stesso definito come “il film che avrei voluto fare”. Bene, questo film, quello più conosciuto della trilogia, è a mio avviso uno dei migliori film realizzati negli ultimi 20 anni. Ben lontano da quella spesso ludica e citazionistica ( e meravigliosa) violenza tarantiniana, Old boy è il manifesto del regista sudcoreano. Un film intriso di poesia, di violenza, di riflessioni e situazioni che accompagnano lo spettatore in una sorta di incubo allucinatorio tutto interiore: un dramma degno dei migliori tragediografi greci. Dae-su è un uomo sposato con una figlia piccola ed un giorno viene misteriosamente rapito. Il rapimento del povero ed innocente, o almeno così sembra, padre di famiglia dura per 15 lunghi anni. Durante la sua prigionia sua moglie viene assassinata e sua figlia rapita ed è lui il principale sospettato. Tuttavia Dae-su un mattino viene improvvisamente liberato e da quella stanza che lo ha visto patire per 15 anni esce un uomo diverso. Al nostro protagonista non è rimasto più nulla, se non la vendetta. Siamo sinceri, chi non cercherebbe vendetta dopo aver subito un trattamento simile? La ricerca dei suoi aguzzini lo porterà, anzi ci porterà, in un baratro di violenza in un torbido mondo dominato dalla stessa.

Successivamente Dae-su si renderà conto di essere ancora in prigione, solo in una stanza più grande chiamata mondo. Il suo rapitore infatti ha architettato tutto, anche la sua liberazione, in modo da manipolarlo e farlo soffrire ancora con delle situazioni davvero angoscianti. Andando avanti nel racconto la luce in fondo al tunnel si farà più chiara e allo spettatore in cerca di spiegazioni arriverà una verità dritta nello stomaco, una verità che non lascia più spazio al concetto di etica e morale a cui siamo abituati e che metterà in discussione la figura del tanto amato protagonista con il quale eravamo ormai legati dall’empatia.

” Ridi e il mondo riderà con te, piangi e piangerai da solo”

 

3. LADY VENDETTA (2005)

Trilogia della vendetta.

“Non voglio sembrare di buon cuore”

Capitolo conclusivo della trilogia sulla vendetta, questo film vede la figura di una donna come protagonista, scelta che effettivamente funziona poiché, specialmente noi occidentali, non siamo abituati a vedere ruoli del genere interpretati da donne così apparentemente candide. Il film narra una storia struggente già da principio. Geum-ja è una giovane ragazza che ha trascorso 13 anni in prigione per l’accusa di aver assassinato un bambino di sei anni. Una volta libera deciderà di vendicarsi con il vero autore del crimine. Il regista userà tantissimi flashback per presentare diversi personaggi, tutti conosciuti dalla protagonista in prigione, i quali in un modo o nell’altro collaboreranno ad attuare la sua tanto agognata vendetta. Quello che verrà fuori sarà un piano accuratissimo che ovviamente chiederà della violenza, anche se gestita in maniera meno disturbante a differenza dei due film precedenti. Film che rimane un piccolo gioiello, anche se a mio avviso i primi due (specie Old Boy) hanno qualcosa in più. Ultima nota importante, essendo il capitolo conclusivo la conclusione è allegorizzata grazie ad un espediente, appunto la figura di una donna scelta come protagonista. La donna si innalza a simbolo di espiazione, in un mondo presentato come torbido e dominato dalla violenza di chiunque verso chiunque, simbolo di candore e di speranza che nella copertina della pellicola è talmente simbolico da richiamare un’iconografia religiosa ed in particolare (a mio avviso) cristiana.

Trilogia della vendetta.

Presentata la trilogia, è il momento di fare qualche considerazione.

Sympathy for Mr. Vengeance non è semplicemente il titolo del film di apertura. Questo titolo è in realtà ciò che di più ambiguo ed importante c’è nel cinema del regista sudcoreano ma anche in tantissimi altri film orientali, partendo proprio dal caposcuola Kurosawa. La simpatia che proviamo per i protagonisti di questi film è fuori discussione, nella nostra ricostruzione mentale e logica vincolata dai dogmi morali ed etici a cui la società ci ha abituati loro rappresentano il bene; niente di più niente di meno. Ma una volta andati  fondo nella situazione ci viene presentato l’altro lato, quello che dovrebbe rappresentare il male, ed ecco che la nostra logica sociale e moraleggiante entra in crisi. Riporto una domanda che ho posto precedentemente proprio riguardo questo film: “Davanti ad una situazione del genere, cosa significa bene? E cosa significa male? Che differenza c’è tra fare la cosa giusta e fare la cosa sbagliata?

 Quando smettiamo di pensare come persone immerse in questo mondo e in determinate circostanze e limitazioni, cominciando a pensare esclusivamente a quello che secondo noi è giusto come ci si dovrebbe comportare? E come effettivamente ci comportiamo? La società e la morale ci dicono che rapire una bambina innocente è sbagliato, giusto è una cosa riprovevole, abominevole, non giusta. Ma se questo fosse l’unico modo per non perdere la persona più importante della nostra vita, chi sarebbe pronto a dare una risposta senza nemmeno pensarci un attimo?

La violenza genera solo violenza, la storia insegna e non smetterà mai di dimostrarlo, se c’è violenza al mondo è perché essa è insita nell’essere umano, nessuno escluso, ed è ciò che ci rimane quando un avvenimento ci fa regredire ad uno stato primordiale, abbattendo le mura di logica che i secoli hanno costruito attorno al nostro essere esseri viventi. Ma ancora, chi subito riuscirebbe a dire di poterne fare a meno senza aver vissuto una situazione disperata? Chi sarebbe pronto a rinunciarvi e non dare addito a quella voce interiore che ci dice che è quello il modo migliore di avere giustizia? Di rinfrancare un enorme dolore.

L’oriente prende a mani piene dalla tragedia greca, la culla della cultura occidentale, quella culla dalla quale siamo saltati fuori in nome di una logica che ci ha permesso di crearci delle regole e di infrangerle per conquistare il mondo e indurre alla sofferenza l’altro in nome del nostro benessere. Davanti ad una situazione del genere, cosa significa bene? E cosa significa male? Che differenza c’è tra fare la cosa giusta e fare la cosa sbagliata?

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