Dolores Umbridge e i Problemi della Scuola Contemporanea

Giuseppe Turchi

Aprile 25, 2020

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Quello di Dolores Umbridge è certamente uno dei personaggi più iconici del mondo di Harry Potter, nonché uno dei più odiati in assoluto. Stando a quanto riportato da J.K. Rowling nel 2015, a ispirare il personaggio magistralmente interpretato da Imelda Staunton sarebbero state un’insegnante antipatica e una collega bigotta, due persone che cercavano di compensare la loro malignità con un abbigliamento infantile e numerose foto di soffici gattini.

In quell’articolo nulla viene detto in merito al sistema scolastico né si fa cenno a temi di sociologia o pedagogia, il che non meraviglia. In genere uno scrittore crea i suoi personaggi affinché siano prima di tutto funzionali alla trama, e non la personificazione di un messaggio filosofico-sociale. Guardando la pellicola diretta nel 2007 da David Yates, tuttavia, è possibile cogliere alcune suggestioni che permettono ampie riflessioni sui modelli educativi più o meno recenti.

Di fatto Harry Potter e l’Ordine della Fenice si fa espressione di alcuni errori e di molte distorsioni che ancora viziano il sistema educativo in buona parte del mondo. Vediamoli insieme.

L’approccio educativo di Dolores Umbridge può essere riassunto sostanzialmente in due termini: nozionismo e comportamentismo. La Ministra rappresenta lo stereotipo dell’insegnante che impartisce lezioni frontali cariche di teoria, quasi che lo studente fosse un contenitore passivo da riempire di conoscenze. Non c’è bisogno di bacchette né di incantesimi per il suo corso di difesa contro le arti oscure: ciò che importa è leggere il testo approvato dal Ministero – un manuale per principianti – e superare gli esami G.U.F.O. Tutto è programmato, standardizzato, regolato dall’alto. La scelta è volutamente paradossale.

Con essa la Rowling riesce in un sol colpo a condannare sia una didattica che potremmo definire libresca, orientata al mero ottenimento del pezzo di carta, sia l’ottusità della classe politica, qui rosa dalla paura di Lord Voldemort.

Dolores Umbridge veglia sui suoi esaminandi

Col progredire della trama, la situazione peggiora drasticamente. Quella che poteva essere considerata una professoressa rigida, antipatica e tediosa si rivela una sadica dittatrice, il che fa emergere con forza la sua concezione comportamentista della pedagogia. Tale concezione, che vedeva tra i suoi fondatori lo psicologo Burrhus Skinner, descriveva l’apprendimento come un processo che dipende da 1) uno stimolo esterno, 2) la messa in atto di un comportamento e 3) un rinforzo. In molti casi ciò ha finito per ridursi a un sistema di castighi e ricompense, come dimostra lo spregiudicato ricorso alle punizioni corporali da parte della Umbridge.

Obiettivo della Ministra è, per usare le parole di Massimo Recalcati, quello di raddrizzare le viti storte, ossia imporre una ferrea disciplina. Tale obiettivo viene realizzato attraverso due metodi: 1) la ricopiatura continua dei testi per una migliore assimilazione e 2) una piuma magica che, nell’utilizzare il sangue come inchiostro, incide la pelle degli allievi disobbedienti.

Il personaggio di Dolores Umbridge rappresenta un modello pedagogico disfunzionale del passato che non è ancora del tutto superato.

Dolores Umbridge infligge la sua sadica punizione

A questo proposito risultano emblematiche due battute. La prima, quando Harry chiede per quante volte dovrà ricopiare la frase “non devo dire bugie”, e la professoressa risponde «quanto ci vuole perché il messaggio penetri»; la seconda, quando poco dopo la Umbridge dice con falso dispiacere «lei sa, nel suo profondo, di meritare questa punizione». I rinforzi sono tutti negativi. Come non ricordare, qui, le famose bacchettate sulle dita di cui ci raccontavano i nostri nonni? Oppure i momenti passati dietro la lavagna? O ancora, le raffigurazioni di bambini con indosso il cappello da somaro?

Tutti provvedimenti incentrati sull’instillare un profondo senso di colpa e di vergogna, il quale avrebbe dovuto fungere da motivazione a impegnarsi di più – o meglio, a fare il proprio dovere.

Oggi sappiamo invece che vergogna e senso di colpa – emozioni certamente utili a livello sociale – non aiutano l’apprendimento, ma, anzi, rischiano di comprometterlo, poiché generano uno stress che iper-attiva le aree più antiche del nostro cervello (R-complex e sistema limbico) invece di quelle deputate alle funzioni superiori (neocorteccia). Nonostante ciò, non è raro imbattersi in genitori e docenti che ancora sperano di stimolare i propri ragazzi allo studio sfruttando la leva della vergogna, magari facendo dei confronti svilenti, oppure reagendo con stizza di fronte a risultati poco brillanti.

Un terzo fattore, infine, che ci permette di inserire il personaggio di Dolores Umbridge in una versione distorta del paradigma pedagogico del comportamentismo sta nella continua emanazione di decreti educativi. Tutte le norme apposte con rigoroso zelo dal custode Gazza all’entrata della Sala Grande sono obblighi imposti dall’alto, senza margine di negoziazione, per controllare la condotta degli studenti (musica, abbigliamento, tempo libero, associazionismo).

Viene imposto da Dolores Umbridge dunque un regime repressivo, dittatoriale, con tanto di studenti incaricati come spie e confessioni estorte col “veritaserum”.

Tale sistema finisce per comprimere le energie dei giovani sino a provocare una ribellione in piena regola, un po’ come accadde nella rivoluzione culturale del ’68, qui incarnata nelle riunioni dell’Esercito di Silente e nella scena dei fuochi d’artificio dei gemelli Weasley.

Gazza affigge l’ennesimo decreto educativo approvato dal ministero

Ora, Harry Potter e l’Ordine della Fenice non vuole essere un trattato di pedagogia, tant’è che a fronte di una corposa pars destruens non troviamo un’altrettanta corposa pars construens. Meraviglia, predestinazione, coraggio e senso di responsabilità restano i motori di una trama che ogni tanto si concede qualche sferzata contro il formalismo e l’ottusità della macchina ministeriale.

Questo però non significa che, prendendo l’opera nel suo complesso, non si possano trovare esempi virtuosi. La figura di Silente, sebbene certe volte si mostri come quella di un cinico utilitarista, rispecchia piuttosto bene il mentore autorevole – non autoritario! – che guida, ma al tempo stesso lascia ampi spazi d’esplorazione all’allievo. Ancora, il personaggio di Lupin in Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban offre un approccio che integra eccellentemente la teoria alla pratica.

La scena del Molliccio, in particolare, si fa interprete di quella corrente pedagogica, per molto tempo osteggiata, il cui motto recita imparare divertendosi.

Infine, è lo stesso Harry Potter a rivelarsi un ottimo insegnante in quanto capace di motivare senza umiliare chi, come Neville Paciock, fatica ad apprendere gli incantesimi difensivi nella Stanza delle Necessità. Laddove questi personaggi si rivelano altamente formativi, quello di Dolores Umbridge compromette sistematicamente l’autonomia degli alunni, non trasmette loro competenze e istituisce relazioni (dis)educative violente.

Lupin prepara Neville Paciock ad affrontare il Molliccio

Per fortuna oggi le punizioni corporali non sono più una prassi consentita e le lezioni frontali stanno lentamente cedendo il passo a nuove metodologie didattiche. Già nel 1916 John Dewey, in Democrazia e Educazione, denunciava come l’approccio nozionistico segnasse una cesura profonda tra gli insegnamenti e le necessità degli alunni di dare un significato pratico a ciò che imparavano.

Come si può pretendere che un ragazzo studi volentieri, se ciò che impara non offre risposte alle sue esigenze di vita?

In epoca recente la pedagogia ha cominciato a parlare di didattica per competenze proprio per scardinare il nozionismo e fornire all’alunno un set di capacità utili come lavoratore e cittadino. Tuttavia, nemmeno questo nuovo modello si è rivelato efficace, tanto da costringere gli Stati Uniti a un clamoroso dietrofront. Al di là dei nobili intenti, infatti, la didattica per competenze ha finito per rivelarsi l’ancella dell’attuale sistema socioeconomico, il quale richiede soprattutto capacità tecniche, performance, numeri (come già avevano previsto i pensatori della scuola di Francoforte).

Peccato che, nonostante l’enfasi posta sulle competenze informatiche e le attività laboratoriali, gli studenti di fatto non abbiano mostrato miglioramenti significativi nei loro rendimenti. Anzi, in alcuni casi abbiamo assistito al dilagare di fenomeni quali l’analfabetismo funzionale ed emotivo, la mancanza di consapevolezza nell’uso degli strumenti digitali e una scarsa coscienza civica.

Per la maggioranza degli studenti lo studio è tuttora finalizzato all’ottenimento di un voto.

Le conoscenze acquisite sui banchi di scuola sono perlopiù connotate da un senso di fatica e insofferenza, non sedimentano a lungo e, soprattutto, non vengono integrate nel proprio progetto di vita. Analizzata sotto questa luce, la pirotecnica scelta dei gemelli Weasley di abbandonare la scuola assume un connotato drammatico, poiché incarna il sentimento della scuola come luogo dove il talento personale e l’autorealizzazione non possono trovare soddisfazione. Un sentimento che, stando alle statistiche ufficiali, in Italia sta crescendo in modo preoccupante, soprattutto nei contesti di povertà.

Fred e George fanno affari d’oro una volta espulsi da scuola

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