American Beauty e Favolacce – Il disagio quotidiano

Gianluca Colella

Dicembre 20, 2020

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Sembra quasi un azzardo poetico, eppure riflettendoci l’accostamento non è così scandaloso: American Beauty (1999) e Favolacce (2020) sono due opere cinematografiche distanti solo dal punto di vista culturale.

La famiglia americana borghese tipica, benestante e apparentemente perfetta, si confronta ideologicamente con le diverse espressioni della rassegnazione tipicamente italiana alla povertà.

Kevin Spacey, il padre di famiglia del modello americano medio, agiato e depresso al tempo stesso, ingaggia un confronto poeticamente drammatico con quei soggetti della periferia romana che il loro tenore di vita lo odiano, nonostante non sia la depressione il problema principale, quanto l’influenza della povertà sulla loro stentata esistenza.

Da un lato c’è un contesto attivamente malato, nel senso che è causa del suo male, quello americano, nevrotico e noioso. Dall’altro, e non si sa se è meglio o peggio, il mondo narrato è quello di uomini e donne gettati in un ambiente malato, perverso e generatore di impotenza affettiva, sociale ed economica.

Nel momento in cui le caratteristiche così simili e così diverse di questi due universi entrano in rotta di collisione, individuarne le formazioni d’appoggio diventa un’operazione a dir poco ardua.

Lester contro Bruno e Amelio, in un tribunale esistenziale dell’essere umano caratterizzato dal non-detto, dalla sofferenza e dall’inerzia di un dramma che non si comprende, che non vuole farsi comprendere.

American Beauty VS Favolacce: l’arte di cambiare vita

Quello tra American Beauty e Favolacce è un accostamento tanto ovvio quanto problematico: di che si tratta?

American Beauty

Il tema intorno a cui ruota American Beauty di Sam Mendes è la bellezza del mondo: prima di annoiarsi della vita, Lester Burnham ne aveva riconosciuto la solenne estetica metafisica, la sua ineffabilità.

L’uomo protagonista del capolavoro in oggetto si rende conto di essere grigio e monotono quando, acquisita la consapevolezza che diventare padre è il più importante traguardo raggiunto, nemmeno i confronti col vicinato riescono a invertire l’inerzia di un’esistenza che sembra ormai condannata all’apatia.

Mentre quello americano è un segreto intimo e soggettivo, in Favolacce oggetto del dramma sono i cosiddetti segreti di Pulcinella, quelle condizioni culturali e sociali note a tutti, che distruggono i sogni di persone che a sognare ci provano.

La voce narrante di Mendes è Lester, immerso nel disastro che la sua vita diventa quando incontra Angela; a Roma, invece, basta un diario trovato nella spazzatura per permettere allo spettatore di contattare la cruda realtà di genitori limitati, insensibili e inadeguati.

Di conseguenza, sebbene il benessere sia alla portata di un’adolescente come Jane, la verità è che i giovani come lei, con gli adulti come Lester non potranno mai trovarsi bene. La distanza generazionale che separa questi due soggetti, oppure quella che separa Fitts dal figlio Ricky è troppo ampia per essere colmata dal semplice affetto.

Culture ed epoche diverse alimentano l’umano terremoto che spegne i sentimenti positivi, per lasciare solo la percezione di un ruolo passivo rispetto all’ambiente. È così che si consuma il drammatico e ideale viaggio dall’America verso Roma, dove i perversi sistemi familiari distorti e una scuola incapace di accogliere le sofferenze dei figli assistono inerti mentre questi stessi figli fabbricano bombe, s’interrogano sulle loro tendenze mortifere e abbandonano la speranza di una vita felice.

Desiderio, fatica, rabbia e frustrazione dialogano continuamente tra le due opere, come voci che si alternano in uno stesso coro; indipendentemente da chi salga sul palcoscenico, l’attivo tentativo di cambiare vita è condiviso sia da Kevin Spacey sia dai cafoni che abitano nei dintorni di Roma.

Favolacce VS American Beauty: soccombere passivamente

Quello tra American Beauty e Favolacce è un accostamento tanto ovvio quanto problematico: di che si tratta?

Favolacce

Dove si ferma la volontà di fare del bene e inizia la consapevolezza di essere nel torto? In che modo lo sviluppo di un’individuale e collettiva coscienza autoriflessiva conduce al discernimento di quelle situazioni tragiche che alimentano la quotidiana disperazione?

Nonostante le diverse caratteristiche dei protagonisti, Favolacce (che nel titolo condensa il messaggio che l’opera intera trasmette) espone determinati soggetti prescelti a un malessere che non è esclusivo, in quanto fondato nelle incomprensioni e nelle ambivalenze che alla comunità umana appartengono come entità complessiva.

Distinguere tra questo malessere all’interno del contesto di Roma, piuttosto che nell’americanissima casa di Kevin Spacey, è un’operazione superflua.

I turbamenti vissuti da Lester sono il condensato specifico di una serie di questioni umane che non trovano più nel sogno la loro concretizzazione, ma in una realtà da incubo, radicalmente frustrante. La riflessione dialettica tra i due film non si esaurisce all’interno di un discorso come questo, perché il terreno per evidenziare altre forme di intoppi e gratuite sofferenze sarebbe vasto e inesplorato.

Piuttosto, soffermandoci su un parallelismo tra i due finali, quello che salta all’occhio è che rispetto al principio, entrambe le narrazioni presentano un’inerziale perdita di forza nelle volontà individuali dei protagonisti.

In American Beauty, il dramma umano si traduce nel nichilismo che affligge Lester, inteso come forma simbolica che si esprime nella sua caratterizzazione più ampia anche grazie alla voce fuori campo del protagonista, che racconta la bellezza nel mondo, anticipando la sua stessa morte quasi con rassegnazione.

La conclusione dell’opera è la conclusione della vita di un uomo che soccombe a se stesso, ai suoi difetti e alle sue ipocrisie. Ipocrisie che tutto sommato cerca di risolvere, conoscendosi più profondamente in virtù di un contatto maggiore con i propri desideri.

Diversamente, in Favolacce spazio per i desideri non ce n’è, perché i protagonisti sono sin dal principio in un contesto che non ha spazio alcuno di pensabilità; il loro soccombere è un’azione quasi predestinata, diversamente da quello che avviene nella vita di Lester, che prima conosce le vette della cultura individuale e collettiva americana, e poi collassa su di sé come un castello di sabbia.

Infine, dunque, nel contrasto ideologico tra questi due film troviamo le diverse sfumature della sofferenza umana, della sua infinita e implicita contraddittorietà. Da riconoscere, isolare ed esplorare al fine di elaborarla, e guadagnare la via d’uscita per un’esistenza migliore.

«American beauty senza l’America e senza beauty».

(Fratelli D’Innocenzo)

Leggi anche: American Beauty, American Psycho, American Sniper- Dettagli di un sogno infranto

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