New York, 1946. Don Vito Corleone (Marlon Brando), onnipotente boss mafioso siculo-americano, rifiuta di aprirsi al mercato della droga nonostante le pressioni delle altre famiglie criminali. Da questa decisione scaturirà una violentissima guerra tra gang, che vedrà emergere la figura di Michael Corleone (Al Pacino), figlio di Vito inizialmente lontano dall’universo mafioso. Francis Ford Coppola aveva ventinove anni quando girò The Godfather, italianizzato in Il Padrino. Accettò il lavoro (dopo che Sergio Leone, Arthur Penn ed Elia Kazan l’avevano rifiutato) per riuscire a pagare le bollette: aveva due figli e un terzo in arrivo e non aveva un soldo.
Il Padrino di Mario Puzo, da cui il film è tratto, non lo entusiasmava, anzi, dopo una prima lettura era deciso a non farlo, era un libro troppo commerciale: dove si aspettava una seria riflessione sul potere trovò invece pagine e pagine di “inutili” storie d’amore. Ma a una seconda lettura (e vista l’opportunità che gli studios gli offrivano) capì che c’erano alcuni aspetti interessanti della storia, dei personaggi e delle relazioni fra loro, di quell’analisi del potere mafioso che gli stava a cuore approfondire e raccontare.
Ci sono film per cui l’etichetta di capolavoro non è sopravvalutata, ci sono dei film che sono dei pilastri della cinematografia mondiale. Il Padrino, con le sue interpretazioni, con le sue frasi è diventato iconico, un cult. Ne abbiamo scelte sette, il numero perfetto!
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Don Vito Corleone «Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare».
Autentico tormentone che l’American Film Institute ha inserito al secondo posto fra le migliori citazioni cinematografiche di sempre, pronunciato prima da Marlon Brando e ripreso poi dal grande Al Pacino. Pilastro di tutto il principio mafioso, se vogliamo. Un’imposizione travestita da gentile offerta, come se esistesse la possibilità di scegliere di rifiutarsi. Come se fosse un’opzione. Ironico nel suo essere spietato. Potere allo stato puro.
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Michael Corleone: «In vita mia non ho fatto che prevedere ogni pericolo: le donne possono essere imprudenti, ma l’uomo no».
Corleone in una delle sue lezioni esistenziali. Interessante notare come si considerassero al di sopra di ogni legge universale. Come se fosse possibile, per un essere umano che non è Dio, “prevedere ogni pericolo”. La convinzione di poterlo fare, di poter gestire le variabili della vita oltre l’imprudenza di per sé, come se nulla potesse sfuggire al controllo. C’è anche questo accento delicato ne Il Padrino, sentore di protezione rispetto ad un universo femminile che può permettersi di essere imprudente perché insito nell’essere donna di per sé. Parafrasando: “La sconsideratezza è femmina”! Geniale.
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Don Vito Corelone: «Ma io sono superstizioso, sapete? E se gli capitasse un incidente a Michael, o se si pigliasse una palla nella testa da parte di qualcuno della polizia, o se lo trovassero impiccato nella sua cella, e persino se fosse colpito da un fulmine… qualcuno dei presenti ne sarebbe responsabile… E allora io non perdono. Ma, tolto questo, vi prometto e vi giuro, sulla testa dei miei nipotini, che non sarò io il primo a rompere la pace stipulata oggi».
Il boss nella piena manifestazione di tutto il suo potere. Ancora una volta notiamo la trasparenza della “promessa mafiosa”. L’importanza della parola data che viene meno solo alla gravità dei fatti che possono rompere un patto. C’è una parte in ognuno di noi che vorrebbe avere questa determinazione emotiva, questa disciplina del cuore, questo onore distorto che ha assunto le forme più oscure dell’orgoglio. Il Padrino oscuro che alberga in ognuno di noi.
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Michael Corleone: «Non odiare mai il tuo nemico: ti offusca la mente».
Vedete, ha dello straordinario. La regia delle parole, la sinfonia melodica che crea il loro stesso susseguirsi. Questo dovrebbero scrivere nei bigliettini dei cioccolatini, questi, cari miei, sono i consigli di cui avremmo bisogno! Non fraintendetemi, per carità! Ma ci sono certe frasi che vanno oltre la trama di per sé. Oltre il moralmente corretto o il giusto o sbagliato. Ci sono frasi che esistono da sole, così come sono, si ergono a solenni giudici di tutta una vita, sono moniti a cui tutti noi dovremmo cedere e credere!
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Michael Corleone: «Senatore, siamo due facce della stessa ipocrisia, ma non Le permetto di tirare in ballo la mia famiglia».
Denuncia e Amore. Ammissione di colpa e protezione oltre ogni limite. Perché se al cuor non si comanda, sulla famiglia non si discute! L’accettazione di quello che si è: “due facce della stessa ipocrisia”, senza buttarsi a capofitto alla rincorsa di una dimostrazione farlocca di un’immagine che non ci appartiene. Come a dire, si, siamo i cattivi! Ma la mia famiglia è sacra, Il Padrino, appunto. Leggendo fra le righe, voglio vederci una sorta di speranza esistenziale: non importa quanta “ombra” ci sia dentro ognuno di noi, ci sarà sempre qualcosa o qualcuno per cui varrà la pena combattere. C’è sempre una possibilità di redenzione.
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Don Vito Corlone: «Bravo. Un giorno, e dovesse mai arrivare quel giorno, ti chiederò di contraccambiarmi la cortesia. Ma, fino ad allora, accetta questo, come se fosse un dono in occasione delle nozze di mia figlia».
Che non si faccia mai niente per niente è ahimè una comprovata legge universale. Ma liberare l’intenzione dal peso di un perbenismo estenuante è forse un sollievo di cui l’essere umano non dovrebbe più privarsi. Io te lo faccio questo favore, non sono sicuro ti verrò a chiedere qualcosa in cambio, ma se dovesse succedere non dimenticartene. Facile da pensare, vergognoso da verbalizzare!
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«Io credo nell’America. L’America fece la mia fortuna. E io crescivo mia figghia comu n’americana, e ci detti libertà, ma ci insegnave puro a non disonorare la famiglia».
Dall’Italia all’America. Dal “nulla al tutto”; ma a che prezzo? Se pensiamo che il film rilanciò il business delle mega produzioni americane, delle majors per così dire, verrebbe quasi da pensare che sul cliché dell’italo-americano criminale e mafioso l’America ci abbia brucato per bene, una sorta di celebratissima mucca indiana in una distesa infinita!
Il culto della famiglia, il parallelismo con la politica, lo sfarzo, l’economia intesa come scambio di favori reciproci e il capitalismo di relazione, dopo l’uscita del film sono diventati un fenomeno pop.
Lugubre e solenne tragedia shakespeariana, dal ritmo sostenuto e dall’atmosfera cupissima, Il Padrino di Coppola è un’acuta riflessione sulla permeabilità del male come forza endemica che riesce ad insinuarsi anche tra le maglie degli animi in apparenza più miti e insospettabili.
È una riflessione sul potere mafioso, ma per Coppola, come racconta in diverse occasioni, la parola chiave è “successione”, è di questo che parla il film. Successione all’interno della famiglia, successione nella scala del potere, successione come senso ultimo della vita.
Così come il fardello che Michael si trova a ereditare, dopo aver lungamente cercato di evitarlo e si fa strumento rivelatore di un’efferatezza feroce e sopita che logora e condanna alla solitudine.
Emerge inoltre un confronto-scontro tra due diverse modalità di pensiero e azione: più votata alla salvaguardia dell’onore e di principi considerati sacri quelli della vecchia scuola incarnata da Marlon Brando; pragmatico, cinico e spietato invece il modus operandi delle nuove leve, indifferenti a derive amorali in nome del perseguimento di un obiettivo.
Non riguarda forse un po’ tutti noi? Questa volontà di perseguire un obiettivo non importa come? Forse, aldilà della critica e di tutto il retroscena di un film di questa portata, potremmo ricavarne qualcosa anche noi, attingere a quel po’ di principi che la nostra quotidianità brama e lamenta sempre di più.
Condannando l’organizzazione criminale, ricordando che la storia dovrebbe insegnare e che ognuno di noi, nel suo piccolo, può scegliere “l’onore e il rispetto” per sé stessi e per gli altri.
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