TUC: Somehow – In qualche modo il cinema vince

Roberto Valente

Ottobre 18, 2022

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Presentato nel corso della nona edizione del Torino Underground Cinefest, Somehow è riuscito a portarsi a casa il premio al miglior film, alla miglior regia e al miglior attore protagonista.

Girato dal collettivo Aki T. Weisshause, il film si è aggiudicato il premio alla migliore pellicola con la seguente motivazione: «Splendido film, completamente libero nell’anima e nello stile. Il ritmo travolgente e i tempi cinematografici totalmente diversi dalla norma ne fanno un gioiello underground. Somehow sfugge a ogni classificazione, fondendo dissolutezza, malinconia e dolore con una sincerità disarmante».

I due protagonisti in Somehow

Vediamo di avvicinarci maggiormente a questo interessantissimo film, che risulta avverso a ogni tipo di classificazione.

I tempi cinematografici sono gestiti con grande libertà. Si passa da sequenze caratterizzate da un montaggio rapido a sequenze contemplative in cui i silenzi ritagliano lo spazio necessario ai personaggi. Questa tecnica appare adatta a esternare il proprio disagio esistenziale.

A questo proposito, possiamo affermare che proprio nel disagio e nella vita affonda i suoi artigli questo film. Nei disagi di una generazione che non ha fatto pace con i propri padri, che sulle strade del mondo non può avere più modelli.

Alexander Peiler, premiato come miglior attore, interpreta magistralmente un personaggio che a bordo della sua auto cercherà di avventurarsi verso qualcosa di cui non conosce e non vuole conoscere il senso. Il suo viaggio, reale e metaforico, è tuttavia più che una fuga.

Facciamo chiarezza. Sin dall’inizio del film veniamo trasportati in un road movie, sicuramente sui generis, nel quale il protagonista e la donna che lo accompagna sembrano avere una destinazione.

La donna è stata da poco conosciuta. Con i suoi lunghissimi silenzi dà modo al protagonista di essere a suo agio. Gli permette di non affrontare discorsi non voluti; come ad esempio spiegare cosa nella propria vita lo ha portato a cercare conforto nella mancanza di orizzonte delle tante strade che sta percorrendo.

Somehow

Se le inquadrature e i momenti a bordo della vettura dei due personaggi ricordano fortemente il cinema di Godard, là dove per il maestro francese la parola diventava mezzo per scardinare il senso, al pari della tecnica cinematografica, in Somehow invece affida il compito ai silenzi e ai gesti dei corpi.

Non c’è bisogno di dirsi qualcosa, di squarciare il velo di riservatezza e inquinare il loro rapporto con la parola. Essa, come vedremo più avanti, appare un limite.

Da cosa scappano esattamente i personaggi del film? Sicuramente da un passato molto ingombrante e un futuro che a quel passato in qualche modo è fortemente legato. Il protagonista, ad esempio, si ritrova perso in un vortice di inquietudine legata ai ricordi della sua infanzia e del rapporto con suo padre. Ora che anche lui è un padre, quel passato si fa troppo ingombrante e arriva a inquinare il presente. Ecco allora che la fuga si presenta come la scelta attiva di un soggetto e di un corpo che insegue la spensieratezza, pur conoscendone il peso sulle spalle.

Durante la serata di premiazione abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare con i registi della pellicola. È stato quindi possibile conoscere ed evidenziare uno dei tratti più importanti del film. L’intero percorso di realizzazione diventa pratica attiva dell’esperienza filmica, in quanto, oltre a essere un film collettivo, il film stesso ha preso vita durante le riprese.

Il collettivo ha trascorso sei settimane in viaggio, partendo con una bozza di sceneggiatura che sarebbe stata aggiornata in divenire. Il gruppo ha attraversato ben cinque paesi: Germania, Spagna, Belgio, Francia e Marocco. All’interno del gruppo c’era chi cercava le location adatte, chi girava le scene, chi cercava personaggi. Poi in maniera democratica, ogni sera tutti insieme si decideva cosa girare e come.

Le vicende narrate nel film sono ispirate ai tratti biografici del protagonista, Alexander Peiler. Tale realtà dei fatti ci porta a guardare l’intero film come un viaggio psicologico reale. Così facendo la relazione tra realtà e rappresentazione filmica viene resa complessa e quasi messa in crisi dalla partecipazione emotiva totale.

Il titolo del film “somehow” appare dunque come un manifesto oltre che un titolo indicativo. Somehow, in qualche modo, questo film ha preso vita, e giudicando dal risultato non può che essere una vittoria per il cinema.

Una volta Alain Resnais ha detto: “Film si devono fare tra amici”. Ecco che Somehow, a sessant’anni di distanza ci riporta alla mente e allo sguardo un cinema che sa come rappresentarsi libero da strutture e paradigmi. Ci ha ricordato e ci ricorda un cinema autoriale dove la sperimentazione e la voglia di raccontare riescono a tenere a freno e quasi disintegrare ogni inquinamento dato dal mercato e dalle sue esigenze estetiche.

somehow
Gli autori di Somehow in posa con il premio

Gioiello underground, manifesto di un cinema indipendente che appare come una speranza per il futuro, Somehow è una delle possibilità future della settima arte.

Leggi anche: Torino Underground Cinefest 2021 – Per un Cinema Indipendente

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