Marcello Di Trocchio, Manuel Benigno e Donato Colantuono – Verso il Cinema del Futuro

Francesco Malgeri

Marzo 8, 2019

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Con la nascita del Sottosuolo Italiano, ci siamo ripromessi di dar voce a giovani cineasti italiani non solo in quanto tali, ma anche e soprattutto in quanto figli di questo periodo storico, dialoganti con tutte le difficoltà che l’ingresso in in quel mondo può riservare, ma allo stesso tempo coscienti di ciò che vogliono dire, raccontare, esprimere, attraverso quell’arte meravigliosa che è il cinema.

Manuel Benigno, 20 anni, Donato Colantuono, 24, e Marcello Di Trocchio, 28, talenti emergenti che in quest’intervista tripla abbiamo provato a confrontare, a porre in parallelo, tra i loro lavori, i loro pensieri e le loro aspirazioni.

Chissà, magari tra qualche anno potrà valere molto di più.

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L’italia, non semplicemente in quanto cinema italiano, ma in quanto paese, quanto ha ancora bisogno di giovani che vogliano esprimersi attraverso immagini?

Manuel
Allora, il punto focale della mia opinione, in questo senso, è la necessità di capire il percorso. Una volta che si interpreta il percorso è più facile capire le persone che intendono intraprenderlo; quando invece un percorso è difficile da inquadrare, difficilmente può essere compreso, dalla collettività ma anche dagli stessi giovani in questione. Se il percorso, se la strada è ben visibile, allora è più facile comprendere se sia veramente la strada da intraprendere. Il problema si pone quando questa direzione viene offuscata, coperta da un velo, impedendo così a molti dei giovani che vogliono esprimersi di intraprenderla, e di conseguenza di condividere il loro credo artistico. Ed è in questo modo che molta dell’arte che potrebbe nascere non nasce, rimane soffocata.

Marcello
Personalmente, più che nella prospettiva italiana, penso sia una necessità umana quella di raccontare storie; al di qua e al là del mezzo cinematografico raccontare storie ha sempre fatto bene all’essere umano, a prescindere da quali siano la sua provenienza o la sua nazionalità.

Donato
Io mi associo, nel senso che il bisogno del racconto sarà sempre presente, ma è ugualmente necessario selezionare, filtrare, secondo me non tutti possono raccontare attraverso il cinema se non dopo un profondo studio; esistono delle regole, delle tecniche, essendo comunque un qualcosa finalizzato alla vendita. Sicuramente sotto i filtri esiste del valore che viene ignorato, ma purtroppo non siamo noi a deciderlo; secondo, è inevitabile che esista una selezione, specialmente in un paese non così grande come il nostro. Chi mette i filtri è il più delle volte obbligato a tenere in considerazione il lato della vendibilità del prodotto, al di là del suo effettivo valore. Sono consapevole che la mia sia una visione abbastanza pragmatica, però purtroppo credo che  sia così che stiano le cose.

Selection day, un corto di Donato Colantuono

E cos’è che si ricerca al giorno d’oggi, cos’è che più facilmente oltrepassa i filtri?

Donato
Beh, penso prevalentemente ciò che riscuote consensi. Il problema è che in Italia i consensi vengono riscossi attraverso standard abbastanza bassi, ed è un qualcosa alla quale lo stesso pubblico si è abituata. E’ un problema di richiesta del pubblico: io posso anche creare un qualcosa di veramente artistico, ma se poi la vanno a vedere solo mia madre, mio padre e mia sorella, non lavorerò mai più. Secondo me un occhio al lato commerciale, che io non ritengo un termine dispregiativo, va sempre dato. Anche perché ci vuole comunque talento per creare un qualcosa che comunichi col pubblico ma che sia al tempo stesso commerciale, fruibile. Scorsese stesso è commerciale, sennò non staremmo qui a parlarne, così come lo è Sorrentino.

Negli ultimi anni il giovane cinema italiano ha spesso mostrato una nuova tendenza al realismo, all’esplorazione del sottosuolo, alla riscoperta delle realtà di periferia, dei sobborghi. Nei vostri lavori, tuttavia, c’è un qualcosa che rimanda alla dimensione onirica, allo sguardo all’oltre; la mia domanda è: c’è ancora spazio per uno sguardo onirico, nel nuovo cinema italiano?

Marcello
Secondo me l’importante è che venga fatto con il giusto cuore e la giusta passione, che sia un film realista, onirico, o un film realista con sprazzi di onirico, perché non sempre una cosa esclude l’altra; e soprattutto, che venga fatta con la giusta squadra, perché particolarmente in questo periodo storico, nel quale il simbolo dell’eroe, che lo vogliamo o meno, è quello dell’influencer, soprattutto tra i giovani registi di cortometraggi è cresciuta l’ottica del regista come protagonista, come one man band, che lavora per se stesso e si racconta per se stesso. Ed ho avuto la possibilità di vederlo con i miei occhi, avendo organizzato proiezioni di cortometraggi per tutto l’anno passato: nel selezionare i migliori ne vedevo decine e decine che andavano in quella direzione, diciamo narcisistica. Quindi più che la necessità di un cinema realista o onirico, vedo la necessità di spingere sulla visione del cinema come arte che riunisca, sia nel campo di chi produce sia nel campo di chi fruisce. Che non sia fine a se stessa, insomma.

Cinema

Marcello Di Trocchio sul set di Spiragli, 2016

Manuel
Secondo me, il fatto che un’opera nasca fine a se stessa non preclude la possibilità che abbia un fine; per riagganciarmi al discorso sul commerciale, i cortometraggi di Andy Warhol li vedevano in pochissimi, proprio perché si tratta di un cinema che non vuole essere commerciale. La parola commerciale ha sì un rimando positivo, ma anche negativo: positivo quando il prodotto riesce a vendere per quello che è, quando piace per come è stato creato, negativo quando il prodotto stesso viene concepito e realizzato con il solo scopo di vendere.

Donato
Giustissimo, però vedi, ai tempi di Warhol gli aspiranti cineasti non erano tanti quanto oggi, è naturale che il lato commerciale, il selezionare abbia assunto una rilevanza diversa.

Manuel
Ma ciò non preclude che esista ancora oggi la possibilità di un cinema d’avanguardia; il problema, a mio avviso, è la tendenza ad arrendersi alla fallacia della sperimentazione. Molte delle tecniche sperimentali del cinema anni ’20, ovvero il decennio di maggior sperimentazione cinematografica, pur fallendo nell’ottica del mercato, hanno portato enormi vantaggi al cinema commerciale sviluppatosi nei decenni successivi. Il cinema commerciale ha guadagnato tecniche e modi di fare da un cinema sperimentale inizialmente controproducente. Il piano-sequenza di Quarto Potere, ovvero un fallimento commerciale dell’epoca, è stato riproposto e rielaborato da centinaia di registi successivi; ciò vuol dire che sì, il lato commerciale ha una grande importanza in quanto business dell’industria, ma è pur vero che si tratta di un concetto estremamente ampio: l’industria avrà sempre bisogno di prodotti che siano vendibili, ma è sbagliato pensare che non bisogni ricercare qualcosa di nuovo. Ed il compito di ricercare qualcosa di nuovo spetta a noi, ai giovani di adesso; se un giovane si arrende al discorso che sperimentare possa non essere produttivo, allora sbaglia, secondo la mia opinione.

https://youtu.be/OtEoTC1wstQ

-Luce ed Ombra, un corto di Manuel Benigno

Volevo chiedervi: c’è un momento preciso, un nome, una corrente, un film, a cui riconducete l’origine di questa vostra vocazione? Un istante preciso che vi ha spinto a dire “io voglio fare questo“?

Marcello
Personalmente, tutto è nato quasi per caso: i miei migliori amici studiavano cinema, chi al centro sperimentale, chi al Rossellini, e ricordo che mi dissero che avevano tutte le componenti essenziali per formare una troupe tranne il regista; e dato che sapevano che a me piace leggere, scrivere e guardare film, mi hanno proposto di girare un corto insieme, cosa per cui io rimasi entusiasta. L’idea per il corto (La vita è…) è nato un pomeriggio, mentre stavo guardando La dolce vita per la prima volta: c’è la scena in cui Mastroianni sale furiosamente le scale per andare a riconoscere il corpo di Steiner, con decine di persone, incluso Fellini in cameo, che gli urlano “Marcello, Marcello…”. Piccolo particolare, quelle erano le scale del palazzo dove abitavo. Quindi io mi sono ritrovato nello stesso palazzo in cui hanno girato la scena, con Fellini che urlava il mio nome! Ho messo pausa, sono uscito nella tromba delle scale, fuori di me, e mi sono detto: ok, bisogna fare un corto su queste scale. Da lì è iniziato tutto.

La vita è…, un corto di Marcello Di Trocchio

Donato
Per me il cinema è semplicemente una droga; mi permette di entrare in un nuovo mondo, di scordarmi delle altre persone, di dimenticare problemi o impegni… E durante le riprese è come se mi trovassi a metà tra realtà ed immaginazione, come un sogno nel quale posso decidere ciò che accade, è un momento unico. Riguardo registi per i quali prendo appunti ogni volta che vedo un film, dico Kubrick, per quanto possa sembrare banale; mi piace il suo mettere il come allo stesso livello del cosa, la forma che diventa contenuto, la perfezione delle immagini, ed il fatto che, come lui stesso ha sempre detto, i suoi film comunichino con l’inconscio. E te ne accorgi, mentre vedi un suo film: magari ti annoi, magari non ti piace, magari perdi il filo, eppure alla fine senti sempre qualcosa dentro, qualcosa che si riscalda, qualcosa che si è mosso, e questa secondo me è la regia, a livello più puro. Altro regista incredibile per me è Visconti, che riusciva a muovere gli attori come pochi altri e ad impostare un montaggio senza stacchi; i suoi film sono come una sinfonia.

Cinema

Napalm!, un corto di Donato Colantuono

Manuel
Domanda estremamente difficile, onestamente. Penso che ciò che mi ha dato la spinta, e che continua a darmela, sia il sogno. Io convivo con una caratteristica abbastanza particolare: riesco a ricordarmi ogni singolo sogno che faccio. E’ come se vivessi un’altra vita, durante il sonno, vedo cose che non hanno alcuna spiegazione logica, ma che però sono storie, storie che vedo e che ricordo, in ogni immagine, per quanto vecchio possa essere il sogno. E sono vita, queste immagini sono vita, sono come le sequenze di un film che ti scorrono davanti, e mi capita di svegliarmi nel mezzo della notte con la smania di raccontarle, queste immagini; questa secondo me è vera espressione, e ognuno coglie l’espressione a modo suo, chi dai tavoli, chi dalle porte, chi dagli alberi, e l’unica cosa importante è capire come coglierla e come condividerla. Come esprimere, dunque, ciò che ci dà passione, che ci stimola la fantasia, che ci dà il brivido, la voglia di raccontare quel qualcosa che è dentro di noi. Io ho sempre sentito la necessità di raccontarle, le mie immagini, e l’ho sempre interpretato come il bisogno di conoscermi; perché io sono sempre stato bravo a capire gli altri, ma ancora sento di non aver capito nulla di me stesso. Cerco dunque di capirmi un pochino di più raccontandomi agli altri.

Cinema

Manuel Benigno in Scintilla, 2018

C’è un progetto, un’idea, un pensiero, un desiderio che vorreste concretizzare ad ogni costo? Quando tra dieci anni vi guarderete indietro, cosa vorrete aver realizzato?

Marcello
Opportunità di serenità e di riflessione. Non so dirti in che modo lo farò in particolare, perché nella vita si cambia, e ogni cambiamento è imprevedibile; sicuramente spero di realizzare opere che diano voce all’importanza dello stare assieme. Ecco, vorrei raccontare storie che ricordino che il mondo non è fatto di cose e di persone ma di relazioni tra esse.

Donato
Io, essendo studente di medicina, spero di creare una sorta di connubio tra medicina e cinema; essendo appassionato a entrambe le discipline, trovo impossibile scegliere, dunque il mio desiderio è quello di trovare il giusto mix, che mi permetta di non abbandonare nessuna delle due. Questo perché so che, abbandonando una delle due, non potrò mai sentirmi totalmente completo. Il più grande pericolo è non riuscire a dare il massimo in entrambe, specialmente per come sono io, una persona che cerca di mettere il massimo impegno in tutto ciò che fa.

Manuel
Penso un’immagine. Conservare tra dieci anni un’istantanea di me in questo momento. Come fosse una poesia, in qualche modo, un qualcosa in grado di fotografare un’emozione, un momento di felicità, un momento d’interiorità; e solo dentro di noi abbiamo ben chiara quest’immagine. Io vorrei, tra dieci anni, avere ancora la possibilità di vederla, di sapere come mi sentivo in questo momento, di aver chiaro, dunque, il mio percorso emotivo, come un qualcosa di visibile e che abbia concretamente in mano. Tra dieci anni, vorrò avere coscienza delle emozioni che mi avranno accompagnato.

 

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