Vinz – L’Odio allo Specchio

Carmine Esposito

Luglio 30, 2019

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Vinz se la dorme bella grossa. Si gode un bel sonno ristoratore, incurante di tutto e di tutti; si è dimenticato dell’appuntamento con Said, non si preoccupa di dover trovare un lavoro o di dover sfruttare il suo tempo. In fondo, una notte di riot val bene una dormita. Non appena ha saputo che gli sbirri avevano mandato in coma Abdel, Vinz ha subito capito cosa fare. Ha preso una felpa col cappuccio e si è aggiunto agli altri per mettere a ferro e fuoco la banlieue; per poi dare libero sfogo alla rabbia e al risentimento che covavano come braci, sotto la cenere di una vita da subalterno. Ha scelto di spaccare tutto per vendicarsi, per far capire agli elmetti che è stanco di dover subire senza dire niente, e per mostrare al mondo intero la sua esistenza intrisa nell’odio.

Vinz mentre dorme

Occhi chiusi sul mondo, ma non per fingere di essere da qualche altra parte. Vinz non fa come Said, che serra le palpebre in uno spasmo per illudersi di non vivere da recluso nel suo quartiere. Il Dioniso dormiente fa sogni tranquilli, si sente nel giusto; divinità distruttrice per una notte, ha dettato legge dalla cima di un Olimpo fatto di auto e cassonetti bruciati. Shiva delle periferie è in pace con sé stesso, perché convinto di aver riequilibrato la sua personalissima bilancia del karma; pensa di aver finalmente rispedito al mittente il disprezzo e i soprusi di quelle divise che li trattano come bestie al macello. Dentro di sé li ha assolti tutti incensandoli a suon di molotov, e distribuendo sanpietrini come ostie sull’altare dell‘odio.

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Una scena del film “L’Odio”

Said lo strappa al sonno, lo tira giù coi piedi per terra. L’irruzione del caro amico interrompe la danza della vittoria di Vinz, il festeggiamento onirico del premio conquistato sulla giostra dei tafferugli: la pistola di uno sbirro.

Il tempo di fumarsi un bombolone, di mangiare qualcosa con la famiglia e farsi una sciacquata, e poi si torna in strada per un’altra giornata come tante. In giro per il quartiere tra canne e musica, passando di mano in mano e di bocca in bocca, in un crescendo di racconti sempre più iperbolici; cazzeggiare racimolando qualche spicciolo tra spaccio di fumo, piccoli furtarelli e contrabbando.

«[…] e il mio futuro è un presente senza troppi perché
è la fottuta realtà ed è proprio quello che siamo
non lo scegliamo attento è sopravvivenza
l’odio è un fatto di appartenenza
vi odio è un fatto di appartenenza».
(99 Posse, Odio)

Vinz si guarda allo specchio nel bagno. Si vede diverso, si sente diverso. Con la pistola che ha trovato sa che tutto cambierà, d’ora in avanti. Si guadagnerà il rispetto del quartiere, ora che si sente investito di una missione: vendicare Abdel.

Pareggiare i conti, ammazzando uno sbirro per ogni ragazzo pestato. Di fronte al crollo delle ideologie e alla liquefazione delle classi si sente smarrito, totalmente sprovvisto di punti di riferimento; immerso in una società al culmine del proprio individualismo, riesce a trovare un porto sicuro solo nella sua visione tribale del mondo. Il nemico del mio amico è mio nemico. E la PS nella banlieue concentra l’odio di tutti.

È nemica dei vecchi algerini e marocchini e sudanesi, che vedono nella gendarmeria l’esercito invasore della loro colonia interna; dei giovani immigrati di seconda generazione, che percepiscono la divisa come un ostacolo alla lora voglia di esprimersi, di vivere. La banlieue vive come una comunità Tuareg nel deserto della metropoli, isolata dalla civiltà e dalla società; i governi si sono dimenticati di questi nomadi, negandogli qualsiasi diritto e manifestandosi solo attraverso il controllo repressivo, cioè la gendarmeria. E a questa occupazione militare, rinchiuso in alveari di cemento costruiti come anticamere per il carcere, Vinz sa rispondere con l’unico sentimento che ha imparato e coltivato: l’odio.

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Vinz allo specchio

Minaccia, fa smorfie e imita il monologo di De Niro in Taxi Driver; come Travis il tassista sembra volersi dare coraggio in attesa del giorno del giudizio. Gliela farà vedere a tutti. Agli amici che lo prendono per il culo dimostrerà di avere le palle e di essere un uomo vero; gli farà vedere che lui può diventare il veicolo di vendetta di un’intera comunità. Agli sbirri che sputano odio e disprezzo insegnerà ad avere rispetto e paura di lui; gli farà capire che non è un bamboccio da pestare per due grammi di fumo, ma un vero gangster. Ai giornalisti che per strada lo bloccano, gli fanno foto e video come se fossero in uno zoo gli darà una vera notizia; gli darà un motivo sensato per sbatterlo sotto ai riflettori, diventando il Malcolm X bianco ed ebreo.

Nella giungla di cemento i sogni si impiccano ai lampioni; non c’è speranza nel presente, né luce nel futuro. La vita che Vinz ha imboccato, insieme ad Abdel, Said e Hubert è un vicolo cieco; un biglietto di sola andata dalla banlieue alla Cayenna. I quartieri sono solo macerie e fantasmi ululanti, spettri di gioventù bruciate come meteore tra droghe, fame e criminalità; si cresce in fretta nella periferia, perché la vita corre veloce e non fa sconti a nessuno. Vinz si osserva nello specchio, si scava dentro, oltre l’odio che gli fa da corazza; si riscopre bambino che gioca a fare il cowboy, con le dita puntate a mimare una pistola. Nel buio di una stanzetta si scopre impaurito e solo, con uno specchio come unico amico con cui giocare, e illudersi che la sua vita possa essere un film.

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