Un sussurro, niente di più. È così che Wong Kar-wai sceglie di chiudere uno dei suoi capolavori, in un epilogo che rappresenta l’atto culminante di una poesia a immagini. Perché In the Mood for Love (2000) è una poesia, una poesia fatta di vuoti, di atti mancati e di emozioni nascoste.
L’intera storia d’amore tra i due protagonisti del film è narrata in maniera poetica. Il signor Chow e la signora Chan scoprono che i loro rispettivi coniugi sono amanti. Iniziano a frequentarsi, a incontrarsi sempre più spesso, parlando del loro problema comune, o meglio vivendo insieme l’esperienza dell’esclusione che è divenuta solitudine, silenzio, deserto. È un legame strano quello che stringono: è amore, ma non rivelato esplicitamente, piuttosto percepito da sguardi, gesti. È un amore fatto di silenzi e cose non dette, vissuto in maniera sospesa e intermittente.
È un amore diviso costantemente tra sentimenti autentici e apparenze da tenere in salvo. Il signor Chow e la signora Chan lasciano troppo poco spazio al cuore, facendo vincere la ragione, o meglio il timore: i protagonisti sono così intimoriti al punto da finire per emulare i loro coniugi che si tengono distanti, vivono una passione sempre crescente, ma mai in grado di manifestarsi.
Forse la grandezza della narrativa del film, il motivo per cui siamo attratti da questa storia d’amore sta proprio nella possibilità di cogliere la passione nella distanza, in quegli sguardi lontani e nei silenzi di pensieri inespressi.
Chow: «Nel passato se uno aveva un segreto e non voleva assolutamente che qualcuno lo sapesse, lo sai che faceva? Andava in montagna e cercava un albero, scavava un buco nel tronco, e vi bisbigliava il suo segreto e richiudeva il buco col fango, così il segreto non sarebbe stato scoperto mai da nessuno».
La poetica del vago
Quella di In the Mood for Love è quindi una narrazione in cui abbondano i vuoti: il non detto, il sentimento sospeso, il senso di esclusione avvertito dai protagonisti sono i fili conduttori di questa poesia. Wong Kar-wai riesce a realizzare in questo capolavoro una sequenza d’immagini, di sguardi e di gesti immersi in un’atmosfera malinconica e romantica, emotiva, intensa.
I silenzi e il vuoto sono elementi che rimbombano nella scena finale e fanno da corollario a questa poesia cinematografica. È un epilogo solitario e desertico in cui Chow si aggira fra le rovine del tempio di Angkor Wat, in Cambogia, e sussurra qualcosa all’interno di un foro in una parete, per poi ricoprire la fessura con del fango. Un segreto sepolto nel mistero, che rimarrà lì per sempre. A suggellare la scena una voce fuori campo:
«Quando ripensa a quegli anni lontani, è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato. Il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare; e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto».
Uno sguardo dentro la fessura
Questo breve epilogo sintetizza in maniera esemplare la poetica del film: il ricorso all’ellissi in una narrazione fatta di vuoti raggiunge il suo culmine; emerge tristemente il senso di solitudine dei protagonisti, legati a un passato che vive solo nel ricordo, per il quale l’unico sentimento che si può avvertire è la nostalgia. Chow non può che vivere nel ricordo, seppur vago. Forse è proprio questo ricordo indistinto che affida a quella fessura nel muro, per tenerlo conservato lì per sempre.
“Ricordare” significa etimologicamente proprio richiamare in cuore. Questo amore mai nato e poi perduto viene richiamato in cuore, suscitando nostalgia e malinconia. Sembra quasi di leggervi la filosofia kierkegaardiana del ricordo. Il filosofo danese, infatti, afferma:
«Vivere nel ricordo è il modo più compiuto di vita che si possa immaginare; il ricordo sazia più di tutta la realtà, e ha una certezza che nessuna realtà possiede. Un fatto della vita che sia ricordato, è già entrato nell’eternità, e non ha più alcun interesse temporale».
(Kierkegaard)
Il ricordo, il segreto sussurrato nella fessura entra nell’eternità, viene straniato dalla dimensione temporale per vivere in una dimensione altra che è il per sempre.
Il finale di In the mood for love è un gioco di opposti tra sempre e mai: una storia d’amore mai iniziata, una passione mai esplosa del tutto, un’emozione mai espressa viene depositata in quel foro e lasciata vivere per sempre. Se nella dimensione reale, dominata dalle apparenze e dalle convenzioni sociali, la passione non può esplodere, Chow la affida a una dimensione intangibile dove potrà emergere in tutto il suo splendore: l’eternità.
In the Mood for Love si conclude con il sussurro di un segreto: è il bisbiglio di quell’amore sospeso tra il sempre e il mai che nel foro trova la sua indistruttibilità. La voce fuori campo ci ricorda che il passato è sfocato, indistinto. È l’atto finale della sospensione a cui il film si affida e attraverso cui ci coinvolge, di quel forse che è anche il tema di una delle canzoni che ne costituiscono la colonna sonora: «quizas, quizas, quizas».
Attraverso In the Mood for Love leggiamo una poesia fatta di intermittenze e ellissi, di immagini indistinte e vaghe, che per contrasto fanno emergere pienamente i sentimenti percepiti dai protagonisti. La scena finale è un groviglio di sentimenti strappati dalla loro sospensione e fatti vivere nella loro interezza: la nostalgia, lo sprofondamento nel ricordo, l’amore, la mancanza di qualcosa che doveva essere e non è stato, nella dimensione eterna a cui vengono affidati ritrovano la loro autenticità.
Il foro nient’altro è che l’oltre in cui le inutili convenzioni sociali non esistono. Durante una bellissima conversazione tra i protagonisti, la signora Chan dice all’amato: «Non dobbiamo essere come loro». Nella realtà il timore di commettere lo stesso errore dei coniugi li spinge a tenersi lontani. Ma quanto l’amore può essere errore? Quanto è giusto che le convenzioni ostacolino i nostri sentimenti? Quanto è doveroso vietarsi di vivere delle emozioni solo perché la società le reputa scandalo? Vivere nell’apparenza non rende certamente felici.
Le emozioni ci tengono in vita, lasciamole esplodere. I nostri protagonisti, purtroppo, di queste consuetudini rimangono vittime, impedendo loro di divampare di passione. La fessura nella parete di queste rovine rappresenta il luogo in cui la passione può esplodere a pieno. Chow ci bisbiglia l’amore, che se nella realtà non può esplodere, in quest’oltre vive in tutta la sua completezza.
I protagonisti di In the Mood for Love non sono solo due esseri umani, sono due stati d’animo che non vengono mai definiti in modo preciso, ma che nella loro intermittenza ci coinvolgono. L’unica realtà che ci viene data è quella oltre la fessura. Allora spiamo lì dentro: nessuna convenzione, nessuna necessità di apparenza, nessun bisogno di nascondersi, nessuna emozione inespressa. Lì dentro vediamo l’Amore. Il segreto bisbigliato da Chow è l’Amore.