Il primo Re: la Roma feroce e brutale all’origine del mito

Claudia Silvestri

Ottobre 31, 2020

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753 A.C. I fratelli Romolo (Il primo re del titolo) e Remo, in seguito a una esondazione del fiume Tevere, perdono terre e bestiame. Catturati da alcuni soldati di Alba Longa, riescono a fuggire insieme ad altri prigionieri. Inizia così il lungo viaggio che porterà uno dei due a fondare la più grande città mai esistita nel mondo antico: Roma.

Matteo Rovere decide di raccontare un periodo storico poco trattato fino a ora dal mondo del cinema. Nella sua versione la leggenda diviene Storia e ogni dettaglio contribuisce a dare veridicità al racconto. A cominciare dalla lingua, un protolatino arcaico e complesso, lontano dalla limpidezza e dall’eleganza formale del latino della grande letteratura, frutto di secoli di evoluzione della civiltà romana.

Ma anche il mito fondativo viene riscritto completamente: Rovere si allontana dalla tradizione e trasforma i due fratelli in due fuggitivi ribelli, che nulla più hanno degli eroi tramandati dalle fonti antiche. Romolo (Alessio Lapice) e Remo (Alessandro Borghi) non hanno paura di sporcare la loro aura di semidei e si trasformano in carne viva e pulsante, apparendo spesso in scena feriti, emaciati e coperti di fango.

Le due figure divengono due archetipi e la loro psicologia si delinea in maniera precisa, in questa versione filmica diviene chiaro perché sia Romolo colui che diverrà re.

Nel corso della narrazione è Remo a essere presentato come il fratello forte e sicuro di sé, colui che ha la determinazione e la spavalderia necessaria a divenire un capo. Si impone con la propria forza bruta e animalesca e si allontana dai principi morali e dai vincoli imposti dagli dei e dalla religione per inseguire un’utopistica (e forse anacronistica) affermazione di sé.

Il primo Re: il mito di Romolo e Remo rivive in chiave realistica e brutale in una pellicola intrisa di sangue e violenza

Alessio Lapice (Romolo)

Diviene un eroe degno delle grandi tragedie greche e latine e, proprio come loro, crollerà a causa della sua superbia. Romolo, al contrario, è sottomesso e fragile. Crede e teme gli dei, impone a Remo di rapire la vestale di Alba Longa (Tania Garribba) per portare con loro il fuoco sacro e decide di sacrificarsi nel momento in cui viene predetto il fratricidio come condizione necessaria all’affermazione di uno dei due come re. Ma possiede ciò che il fratello non ha e che è fondamentale per regnare: la pietas.

Roma nasce da un assassinio, ma può lavare via la sua colpa grazie alla devozione e al senso del sacro del proprio re.

Alessandro Borghi riesce perfettamente a calarsi nei panni di un personaggio complesso e sfaccettato e regge da protagonista gran parte della sceneggiatura.

Alessandro Borghi (Remo)

Confermando il suo grande talento e la sua posizione di spicco nel panorama italiano, confeziona un’interpretazione di grande spessore, conferendo a Remo il giusto spazio e la giusta importanza all’interno del mito e della Storia. La sua è una performance dolente e allo stesso tempo feroce, carica e controllata, e i suoi monologhi risultano fra quelli più interessanti della pellicola. Alessio Lapice, invece, diviene una sorta di comprimario e imprime al suo Remo tutta la sofferenza e il senso di colpa, ma anche di devozione nei confronti del fratello, riuscendo a ritagliarsi spazio solamente nel finale, alla morte di Remo.

Ma la cifra stilistica del film risiede nel modo in cui la pellicola viene girata. Matteo Rovere opta per una rappresentazione brutale e realistica in cui nulla allo spettatore si risparmia. Il film è intriso di sangue e violenza, come la storia che racconta, e il mondo che ci troviamo di fronte è un mondo arcaico e crudele. Una violenza che a volte può sembrare eccessiva, ma che risulta funzionale al racconto e diviene, a volte, l’aspetto fondante della pellicola.

Dopotutto la storia di Roma e la sua fondazione nascono da un atto violento e sovversivo dell’ordine naturale e morale.

Contribuisce a creare questa atmosfera incerta e ancestrale la fotografia di Daniele Ciprì: il film è quasi sempre girato in penombra, con giochi di luce e chiaroscuri che confondono e fondono natura e uomo. Poche e incisive sono le scene girate in piena luce e a illuminare l’ambiente spesso è il fuoco, elemento chiave della storia e filo conduttore del percorso che porterà Remo a regnare.

Taria Garribba (la vestale Satnei)

Un film che certamente si distingue nel panorama cinematografico italiano, che osa e si pone al di fuori di regole e conformismi e che getta una nuova luce su un periodo storico avvolto nel mito. E che guarda alle grandi produzioni americane non sfigurando al loro confronto. Non a caso, Matteo Rovere amplierà questo suo ambizioso progetto attraverso una serie tv prodotta da Sky, Romulus, che affonda le radici nello stesso substrato mitico del film, raccontando il lungo percorso che porterà alla fondazione di Roma attraverso gli occhi di tre giovani protagonisti.

Leggi anche: Il Primo Re- Fede e Potere a duello 

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