Laputa, Castello nel Cielo – Il primo tassello dello Studio Ghibli

Andrea Vailati

Luglio 17, 2018

Resta Aggiornato

Laputa, castello nel cielo.

Se c’è un sussurro, così perpetuo e così sfuggente da essere meraviglioso ogni volta che lo si capta, quello è il sussurro dell’emozione più primordiale.

Sono poche tali rare condizioni dell’essere, sempre meno accessibili in un mondo che si sovrastruttura in continuazione, perdendosi in quella razionalizzazione che pensa di controllare.

Ma esistono luoghi dove ancora possiamo trovare la semplicità più pura, determinante nella sua sottigliezza, basilare nella sua forma.

Quei luoghi, sempre più singolari, necessitano di uomini, di artisti, di visionari della poesia più dolce: quelli furono, sono e per sempre saranno, a prescindere dal tempo umano, gli uomini dello Studio Ghibli.

Miyazaki e Laputa Castello nel cielo

Hayao MiyazakiIsao TakahataToshio Suzuki, Yasuyoshi Tokuma, nel 1985 fondano a Tokyo non semplicemente uno studio cinematografico e di animazione, bensì un vero e proprio tempio della poesia animata.

Il primo dei quattro, forse più noto al mondo, aveva già, proprio quell’anno, conosciuto il successo grazia a Nausicaä della Valle del ventoLì, Miyazaki inizia a mostrare alcune delle connotazioni maggiormente riproposte nella sua Opera, ove l’angelico femminile sarà sempre il fiore che salva il mondo da un autunno perpetuo, per poi, nel 1986, scolpire il primo tassello dello Studio Ghibli, dal nome Laputa, Castello nel Cielo.

E’ un fascino soffuso quello che oggi ci appare nel guardare i colori sbiaditi e le figure essenziali di questa prima opera, ma il sussurro, quello che ci educa alla dolcezza, morale e magica allo stesso tempo, è già lì, insinuato con una morbidezza che solo chi possiede quel primordiale sguardo emotivo può scolpire.

Miyazaki e Laputa Castello nel cielo

Miyazaki e Laputa Castello nel cielo

L’unicità della cultura orientale ha in alcuni maestri l’apice della sua dimostrazione artistica: Ozu, Kar-wai, Yimou, Kurosawa, compongono le sinfonie di un tipo di sguardo dove la filosofia, svincolandosi dai tracciati dialettici e razionalisti più propri all’occidente, riesce a sfiorarsi con la poesia, nello spirito più alto, così come nei lineamenti più fanciulleschi.

Ed è qui che Miyazaki, già con Laputa, iniziava ad accedere all’Olimpo, ma con un trono ben più singolare, dove l’animazione, più vicina al magia poetica che alla poesia filosofica, permetteva di dilatare i fiori che la realtà banalizzava, rivendicandone l’essenzialità.

Così Laputa sa far coincidere un’avventura fanciullesca, fatta di emozioni ancora candide, personaggi assai buffi e timidezze impronunziabili, con le metafore eternamente vive in Miyazaki, quelle che ci spaventano, con quello stesso timore dei bambini increduli davanti alla possibilità del buio, che le chimere proprie all’uomo tornino sempre a galla.

Dimenticarsi dell’autentica bellezza del mondo porta a dimenticarsi dell’originale possibilità di essere felici, di essere giusti.

Laputa, forse nella versione più priva di grigi della poetica miyazakiana, ci mostra gli estremi del sublime, incarnato sia dall’incredibilità di una città nel cielo ben oltre le conoscenze dell’umano comune, ma anche il sublime della purezza, incarnata in due bambini portatori di emozioni universali, e l’estremo del male umano, surrogato di una degenerata volontà di potenza, arrivista, dominatrice.

L’erede della grandezza è l’unica a coglierne la bugia, il sogno di ambire all’immenso porta l’uomo a crollare nel fango più torbido, senza più nulla per cui lottare che ricordi quel sogno non ancora sporcato. Così, senza mezzi termini, distruggiamo quel sussurro.

Così, senza eguali, Miyazaki ce lo ricorda.

«Credo che le anime dei bambini siano le eredi della memoria storica delle generazioni precedenti»

(Hayao Miyazaki)

Miyazaki e Laputa Castello nel cielo

Miyazaki

Leggi anche: Principessa Mononoke – Verso la genesi di una società ecologica

Correlati
Share This