Principessa Mononoke – Verso la genesi di una società ecologica

Carmine Esposito

Luglio 20, 2018

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Principessa Mononoke.

“Isengard! Anche se sei protetto da un maledetto, da monti e da ponti, noi faremo i conti! / Isengard! Anche se sei forte e violento, freddo come vento, duro e cruento, è giunto il momento. / E’ giunta la guerra e trema la terra, sfonderem la pietra e la porta tetra! / Bruciano il tronco e il ramo, e noi andiamo, e noi marciamo / Con passo più duro di sasso, più greve di masso, con tono cavernoso e basso. / A Isengard portiamo sconquasso e fracasso, / Sterminio e distruzione, scompiglio e perdizione!”
J.R.R. Tolkien – Il Signore degli Anelli (Canto da guerra degli Ent)

”Abbi tempra di leone, sii fiero e non curarti di chi s’adira, o si agita o cospira. Macbeth non verrà mai sconfitto finché il grande bosco di Birnan non avanzi verso l’alto colle di Dunsinane contro di lui.”
William Shakespeare – Macbeth

Quando fu girato e mandato in sala, la principessa Mononoke avrebbe dovuto essere l’ultimo film che il regista Hayao Miyazaki aveva intenzione di realizzare. La creazione di questi sogni animati si stava facendo sempre più faticosa; a mano a mano che aumentava la complessità dei temi trattati e delle visioni che il regista voleva imprimere su pellicola, senza che questi avesse intenzione di fare un passo indietro sulla qualità delle tavole realizzate, o sulla sua maniacalità nel supervisionare tutti i passaggi, i tempi diventavano sempre più lunghi e i ritmi di lavorazione più serrati. Il maestro era sfinito, e voleva che questo ultimo film fosse il suo testamento creativo; infatti, in questa opera fortemente corale, è possibile ritrovare il tema della natura, fil rouge di tutta la creazione filmica di Miyazaki, e del conflitto suicida che l’uomo intraprende con essa, per assecondare un istinto predatorio e profondamente autodistruttivo. E proprio questa è la situazione che Ashitaka si trova di fronte, quando giunge alla fornace dal suo paesino: una foresta dilaniata, una popolazione di fabbri e archibugieri sul piede di guerra, una principessa selvatica che combatte per la sopravvivenza delle creature del bosco.

A differenza dei film precedenti, stavolta il regista decide di trattare il tema del conflitto uomo-natura in una maniera più matura. Piuttosto che creare una contrapposizione buono-cattivo netta e definita, con i buoni da un lato e i cattivi dall’altro, stavolta i personaggi principali presentano una dualità bene-male che li contraddistingue dai protagonisti del passato. Il conflitto è interiore, oltre ad essere esteriore, e mette una contro l’altra le diverse nature che animano ogni protagonista. E così Ashitaka abbandona la quiete del suo villaggio per scoprire le radici della maledizione che infettava il cinghiale che ha ucciso, e che ora tormenta il suo corpo; si dimostra sempre così disponibile e comprensivo verso tutti, tanto da sollevare più di un dubbio sulle sue reali intenzioni in guerra, ma al tempo stesso è spietato nell’uccidere i samurai e i banditi che si pongono sul suo cammino. Il guerriero, al termine del suo cammino, incontrerà due donne a capo delle fazioni in guerra: San, la principessa fantasma, in prima linea per gli spiriti e le divinità animali che abitano il bosco, che ha sviluppato un odio verso gli esseri umani tanto da arrivare a negare la sua stessa natura umana; e dall’altro lato Eboshi, che governa la comunità creatasi attorno alla fornace, determinata ad uccidere lo spirito stesso del bosco, ma che al tempo stesso ha accolto nel suo grembo lebbrosi e prostitute, reietti scacciati dalla civiltà, a cui ha regalato una seconda possibilità.

Principessa Mononoke.

L’universo femminile è l’altro tema costante in tutta l’opera di Miyazaki, che in questo caso supera sé stesso. Con un anticipo di circa vent’anni, il regista giapponese sembra tirare fuori queste due protagoniste direttamente dal Rojava di oggi, dove combattenti mosse da un simile ardore fanno la guerra a Daesh, o Isis come lo chiamiamo in occidente. Come descritto nelle idee di Öcalan, anche se in conflitto tra di loro, queste due anime femminili rappresentano due aspetti della rivoluzione delle donne curde. San rappresenta il ruolo della donna come generatrice e come fulcro dell’esistenza e della sopravvivenza di una comune: espressione diretta delle diverse divinità mitologiche che, nelle civiltà neolitiche presiedevano alla fertilità e alla prosperità dei villaggi. Eboshi, dal canto suo, rappresenta il ruolo politico ed economico che nelle società patriarcali è stato tradizionalmente precluso alle donne; al tempo stesso però, rappresenta un sistema economico alternativo, rappresenta un’economia che accumula risorse non per affermare un potere soverchiante, ma per tutelare il benessere di una comunità, come accade nella fornace dove mezzi e ricchezze vengono distribuiti in egual misura. L’unica figura del tutto negativa, in questo pantheon immenso di personaggi, è Jiko il monaco errante.

Principessa Mononoke.

Jiko è spinto da un fine del tutto predatorio: la cattura della testa del dio bestia, per poter creare un elisir dell’immortalità. Non gli importa della distruzione che questo piano potrà causare; non gli importa neanche che nell’impresa possa venire distrutta la fornace stessa, forse ci spera quasi; tutto ciò che conta è la morte del dio bestia, e la distruzione delle divinità del bosco. Il monaco non può avere nessuna conflittualità interiore, né una seppur minima accezione positiva, poiché rappresenta un germe mortale della società: la gerarchia, il dominio dei sacerdoti. Inoculando brama di potere e sopraffazione nella testa di Eboshi, vorrebbe portare all’annientamento di qualsiasi opposizione, per poi soppiantare la divinità diffusa di tradizione shintoista con il culto monoteista dell’imperatore. Dietro la promessa di ricchezze e prosperità, in realtà brama per portare al crepuscolo non solo il bosco ma anche la comunità sorta attorno alla fornace: dal dominio religioso alla schiavitù lavorativa. Jiko però non ha fatto i conti con la capacità della natura stessa di rigenerarsi. Come per il Ragnarok della mitologia norrena, la guerra in questo caso è propedeutica al rinnovamento: la distruzione totale, portata a compimento dallo stesso dio bestia, permette di eliminare alla radice il germe del dominio e poter ripartire da capo, portando con sè un bagaglio di anticorpi sociali.

Principessa Mononoke.

In questo triangolo si inscrive Ashitaka e la sua ricerca. Il guerriero vuole scoprire qual è la maledizione che infettava il dio cinghiale; pensa di avere scoperto la radice quando capisce che l’infezione è partita da un proiettile prodotto nella fornace, ma nonostante questo lo spirito della foresta non lo guarisce dalla maledizione, a testimonianza del fatto che questa risposta è ancora incompleta. La radice della maledizione è l’odio, la fame di vendetta e di guerra, che avvelena gli animi di tutti, animali e uomini, spiriti e esseri viventi. Ashitaka ha già raggiunto un suo equilibrio, rappresentato dal rapporto quasi simbiotico che ha con Yakul, e vorrebbe riuscire a trasmetterlo anche alle due donne in conflitto. Ma solo con la morte e rinascita del bosco, realizzerà fino in fondo come può debellare la sua maledizione: prendere posto accanto ad Eboshi per assicurare l’armonia tra la fornace e la foresta. Perché come Murray Bookchin insegna, la soluzione al conflitto uomo-natura non è un primitivismo esasperato, ma la creazione di una società veramente ecologica; dove il progresso della civiltà, prodotto della spinta creativa insita nell’essere umano, si ponga in sinergia con la natura e non la veda come mero strumento assoggettato al proprio benessere.

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