La Leggenda del Pianista sull’Oceano – L’importanza di una Fine

Stefano D'Amico

Marzo 17, 2019

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La leggenda del pianista sull’Oceano, Novecento.

Monologo Novecento ne La leggenda del pianista sull’oceano: 

Tutta quella cittànon si riusciva a vederne la fine. La fine per cortesia, si potrebbe vedere la fine?

Era tutto molto bello su quella scaletta e io ero grande, con quel bel cappotto…facevo il mio figurone! E non avevo dubbi che sarei sceso. Non c’era problema.
Non è quello che vidi che mi fermò, Max. È quello che non vidi. Puoi capirlo?

Quello che non vidi…

In tutta quella sterminata città c’era tutto tranne la fine. C’era tutto…ma non c’era una fine!
Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo…
Tu pensa un pianoforte: i tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti! Non sono infiniti loro. Tu sei infinito. E dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace, in questo posso vivere.
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti…che non finiscono mai. E questa è la verità: che non finiscono mai.

Quella tastiera è infinita.

Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare!
Sei seduto sul seggiolino sbagliato… quello è il pianoforte su cui suona Dio

La leggenda del pianista sull'oceano, Novecento, Finale

La leggenda del pianista sull’oceano, Novecento.

Quello di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, o semplicemente Novecento, protagonista de “La leggenda del pianista sull’oceano”, è uno dei monologhi più poetici e raffinati del moderno cinema italiano.
Possiamo trovarvi passione, poesia, visionaria malinconia 

Ambientato sul transatlantico Virginian ormai in disarmo e pronto a saltare in aria, lo splendido Tim Roth, in quei cinque minuti di soliloquio, raggiunge il punto più intenso di tutta l’emozionante e sensibile prova che ha offerto nel film di Tornatore.

Novecento è un uomo che non ha mai messo piede sulla terraferma: abbandonato sul Virginian quand’era in fasce viene raccolto da Danny Boodman, macchinista nel reparto motori, e trascorre l’intera vita sul transatlantico prima scorrazzando da prua a poppa creando pasticci, successivamente allietando i passeggeri seduto al pianoforte.

L’animo puro dell’infanzia rimarrà sempre inalterato e, nel tempo, svilupperà un integerrimo spirito sognatore che lo accompagnerà sino alla morte, sua e della nave.
Dall’estratto sovrastante del monologo che chiude il film, intuiamo la fine poetica che appartiene al suo personaggio: l’incapacità di sentirsi finito nell’infinito.

Dal momento in cui, da strabiliante pianista qual era, si era sempre sentito un’anima infinita su una tastiera finita, in un’imbarcazione anch’essa finita.

Se da un lato, immedesimandoci, siamo in grado di comprendere il senso di smarrimento di Novecento dinanzi ad una Urbe che si dispiega a perdita d’occhio, dall’altro forse non siamo capaci di comprenderlo rimanendo dal nostro punto di vista.

Ci pare strano che un giovane uomo, com’era lui quando gli accadde di sostare inebetito su quella scaletta, possa ritenersi frastornato dal molto e dalle opportunità.
Noi che siamo una generazione bisognosa, a volte dipendente, dalle possibilità e dagli stimoli. Che siamo costretti spesso a lasciare le nostre città per studi o per lavoro, facendolo in parte deliberatamente nel desiderio di inseguire sogni più grandi, opportunità più ghiotte.
Ci pare strano che Novecento scelga il finito invece che l’infinito, che abbia bisogno di scorgere dei limiti alle sue possibilità: alla sua vita.

Fine

Ma forse così pazzo non è.

La nostra metropoli, seppur non classificabile propriamente come strumento divino, fermandoci un attimo certamente potrà apparirci anche nelle vesti di inquieto marasma di affari e persone: una Babilonia dell’epoca contemporanea.
D’altronde nel libro della Genesi gli uomini costruendo la Torre di Babele vollero davvero avvicinarsi al Cielo e a Dio, il quale li punì segnandone la dispersione su tutta la terra.
Allora è necessario fare un gesto d’umiltà, poiché pare che Novecento tutti i torti non li avesse…
A volte il molto diviene troppo e si rischia di avvicinarsi eccessivamente a Dio, per dirlo in altre parole, “di suonare il pianoforte sbagliato”.
Tornatore certamente non aveva l’intenzione di proporre una morale religiosa (e tantomeno chi scrive), però occorre riconoscere che esiste un lato oscuro della medaglia sulla cui faccia si trovano mete ed opportunità.

Ed è rappresentato dal perdersi nel troppo. Dal ritrovarsi travolti nel tumulto di un’infinita metropoli.

Occorrerebbe sapersi fermare, e godere del momento che fugge senza porsi inutili “perché”, del danzare sul mare togliendo i fermi al pianoforte”, del “suonare anche in terza classe”, come a Novecento è sempre piaciuto fare.
Lui è un uomo semplice.
Un semplice uomo in cui ferve uno spirito trascendente.

Probabilmente ha ragione lui: è meglio trovare sè stessi nel finito piuttosto che perdersi nell’infinito.

Fine

Novecento: Cristo! Non le vedevi le strade? Anche soltanto le strade, ce n’erano a migliaia.

Ma dimmelo, come fate voialtri laggiù a sceglierne una. A scegliere una donna…una casa…
Una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare…un modo di morire.
Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è.
Ma non avete paura voi di finire in mille pezzi solo a pensarla quella enormità?

Solo a pensarla! A viverla

Io ci sono nato su questa nave. E vedi, anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta.
E di desideri ce n’erano. Ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave: tra una prua e una poppa.
Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato a vivere in questo modo.

La terra, è una nave troppo grande per me.

Eh, è una donna troppo bella, è un viaggio troppo lungo, è un profumo troppo forte.
È una musica che non so suonare.
Non scenderò dalla nave. Al massimo posso scendere dalla mia vita. In fin dei conti è come se non fossi mai nato.
Sei tu l’eccezione Max…solo tu sai che sono qui. Sei una minoranza, non ti resta che adeguarti.
Perdonami amico mio, ma io non scenderò

Fine

La leggenda del pianista sull’oceano, Novecento.

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