Metal Gear Solid V: The Phantom Pain – Big Boss, David Bowie e George Orwell

Davide Capobianco

Gennaio 26, 2021

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Metal Gear Solid V: The Phantom Pain – Big Boss, David Bowie e George Orwell

Big Boss: «I won’t scatter your sorrow to the heartless sea. I will always be with you. Plant your roots in me. I won’t see you end as ashes. You’re all diamonds. […] We’re diamond dogs».

Metal Gear Solid V – The Phantom Pain è stato quello che è stato. Un gioco mozzato, pregno di tanti motivi per odiarlo, ma altrettanti per amarlo. Tuttavia, la sua narrazione si avvale di strumenti interessanti, citazioni e sotto-testi che portano avanti storia, tematiche e poetica dell’opera targata Hideo Kojima. Infatti, The Phantom Pain racconta di guerra e totalitarismo tramite David Bowie e il suo album Diamond Dogs, passando imprescindibilmente da 1984 di George Orwell. I temi del controllo, della violenza e del conflitto vengono trattati sotto punti di vista unici, con sfumature ambigue, ma avvincenti.

I protagonisti del videogioco sono soldati, Big Boss (aka Venom Snake) è un signore della guerra che gestisce un esercito privato: i Diamond Dogs, per l’appunto. Nessun ideale, nessuna lealtà se non a sé stessi, solo la guerra.

«We don’t need a reason to fight, we fight because we are needed» sono le parole di Big Boss sul finale di Peace Walker; il conflitto è una necessità, le battaglie una raison d’être. Fintanto che il mondo sarà in guerra, i Diamond Dogs avranno uno scopo, persone sole e disadattate avranno un motivo per andare avanti: pertanto, non dovrà mai esserci pace.

Big Boss e i Diamond Dogs

The Phantom Pain – Cipher, i Patriots e il Grande Fratello

Le vicende di MGS V – The Phantom Pain si svolgono, non a caso, nell’anno 1984. Big Boss, Ocelot e Kaz cercano vendetta per un assalto alla loro base nove anni prima: Cipher ne era la mente probabile, Skull Face l’esecutore. I Diamond Dogs non sono individui identificabili come eroi, il loro interesse nel fermare Cipher è più di natura personale: infatti, l’evoluzione di questo antagonista sfocerà nei Patriots, i villain principali nei capitoli della saga ambientati dopo le vicende del quinto.

Lo scopo di Cipher è il controllo, lui è il Grande Fratello (almeno, in principio) della storia. Il suo obiettivo principale viene perseguito mediante la creazione di un virus, studiato per attaccare le persone che parlano un qualsiasi idioma che non sia l’inglese, così da effettuare una pulizia etnica e unire il mondo sotto un’unica lingua. 

Propria dell’affermazione dell’ideologia orwelliana, infatti, è il linguaggio imposto dal regime che, rappresentando l’essenza dell’umanità, ne andrà a determinare i pensieri e dunque l’esistenza. Nell’Oceania di 1984 si parla la cosiddetta “neolingua”, un linguaggio che presenta solo termini con un significato preciso e definito, rendendo impossibile una presa di coscienza critica, «impedisce il dibattito e il formarsi di un’opinione pubblica».

Annullando il linguaggio, dunque, si nega la possibilità di pensare. Infatti, sostiene Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo, «l’educazione totalitaria non ha mai avuto lo scopo di inculcare convinzioni, bensì quello di distruggere la capacità di formarne».

I Diamond Dogs fanno fronte al totalitarismo subdolo e nascosto di Cipher, che non intende usare forza e repressione, ma il quotidiano, l’omologazione della lingua.

«Una lingua non è solo un insieme di parole. È cultura, è tradizione, l’unificazione di una comunità, un’intera storia che crea l’essenza della comunità. È tutto nella lingua».

(Noam Chomsky)

In Metal Gear Solid V è come se David Bowie affrontasse George Orwell: se Cipher è il Big Brother, Big Boss è il Rebel Rebel. Eppure, nell’intensificarsi del loro conflitto, le cose si complicano: il potere totalitario si nasconde nel più nobile e anticonformista degli “eroi”.

Lo stemma dei Diamond Dogs in Metal Gear Solid V – The Phantom Pain

The Phantom Pain – Big Boss e i Diamond Dogs di David Bowie

Diamond Dogs è un concept album del 1974: rappresenta la fusione tra il romanzo 1984 di George Orwell, Ragazzi selvaggi di William S. Burroughs e la visione glam di un mondo post apocalittico nel tipico stile del cantante.
Bowie voleva organizzare una produzione teatrale basata sul libro di Orwell, ma i possessori dei diritti dell’opera letteraria gli negarono i diritti. Le canzoni finirono nella seconda metà dell’album Diamond Dogs, mantenendo comunque riferimenti a 1984. 

«Call them the Diamond Dogs
Keep cool
Diamond Dogs rule, ok
Hey-hey-hey-hey
Beware of the Diamond Dogs».

(David Bowie, “Diamond Dogs”)

Nel disco queste figure rappresentano una minaccia da temere, dei punk che seminano il caos impedendo alla società ogni tipo di progresso. Sono il terrore del regime totalitario dipinto da Orwell, sono tutto ciò che si oppone al controllo, così come Big Boss e i suoi Diamond Dogs si oppongono al tentativo omologante di pulizia etnico-linguistica di Cipher.
Eppure, l’ultima strofa del testo di Bowie recita «Diamond Dogs rule, ok/ Beware of the Diamond Dogs». Il loro dominio è la risultante di un mondo figlio dell’atomica, di quella bomba che Skull Face vuole vendere al mondo per vederlo causare la propria apocalisse.

Ricordiamo che i soldati arruolati da Snake erano vagabondi senza ragione alcuna per vivere: lui ha permesso che la riscoprissero sul campo di battaglia.

Militari senza frontiere, i Diamond Dogs si sono autogestiti sotto l’abile comando di Big Boss, un padre ancor prima di un comandante. Cipher li ha annientati, uccisi, distrutti, ma non era l’unica minaccia cui far fronte.

Una falla dall’interno, un tradimento che permette al parassita delle corde vocali di diffondersi tra i soldati di Snake e farli impazzire. L’unica maniera per prevenire la diffusione del virus è l’esecuzione: Big Boss annienta uno a uno i suoi commilitoni, i suoi compagni, i suoi figli.
Tutto questo per colpa di un’insurrezione, per piccola e individuale che potesse essere. Dunque, i metodi da grande fratello di Cipher iniziano a diventare lusinghieri per Snake; «Big Boss is watching you» recitano gli inquietanti manifesti appesi lungo tutta la base militare dei Diamond Dogs.
Da ribelli a sovrani, i soldati senza patria si riuniscono sotto un potere totale, che non può permettersi traditori, non può permettersi di perdere il controllo. L’uomo che era Snake diventa un demone, poiché, riprendendo parole della Arendt, esiste un particolare potere politico che «dovunque ha imperato ha cominciato a distruggere l’essenza dell’uomo».

 «Someone to claim us, someone to follow
Someone to shame us, some brave Apollo
Someone to fool, someone like you
We want you, Big Brother».

(D. Bowie, “Big Brother”)

Big Boss

I manifesti lungo la base militare dei Diamond Dogs

Non dici di no a chi ti ha dato una seconda vita, a chi ti ha dato un motivo per alzarti e combattere, a chi ti ha dato uno scopo in un mondo violento e indifferente. I Diamond Dogs che, alla fine, dominano come nel finale della canzone di Bowie, sono un insieme di individui guidati (o forse, deviati) da interessi, bisogni e pulsioni.
Un regime totalitario, sfruttando l’angosciante necessità di questi individui, isolati e atomizzati, di un terreno nel quale radicarsi, offre un’immagine nella quale riconoscersi. Si mostra come la soluzione da perseguire in grado di, attraverso un ideale di unità e appartenenza capace di conferire un senso totale, riempire quel vuoto esistenziale. I Diamond Dogs permettevano a degli individui di sentirsi parte di un tutto, ma nell’avversare un despota non si rendevano conto di stare diventando ciò che avevano giurato di distruggere.

Sotto la bandiera non di un Big Brother, ma di Big Boss, avrebbero svenduto il mondo al miglior offerente, mantenendolo in uno stato di guerra perenne, alimentandone la vita, distruggendola a poco a poco.

Seguendo Freud, possiamo identificare un meccanismo inconscio di identificazione che caratterizza tutti gli uomini-massa, legati dalla medesima forma affettiva di riconoscimento nei confronti del capo poiché, prosegue lo psicoanalista, «nel capo del gruppo s’incarna sempre il padre tanto temuto, il gruppo vuole essere dominato da una potenza illimitata, è estremamente avido di autorità».
Non è un caso, allora, che uno dei temi principali di The Phantom Pain sia Sins of the Father di Donna Burke:

«The Sins never die
Can’t wash this blood off of our hands
Let the world fear us all
It’s just means to an end
Our salvation lies in the Father’s sins
Beyond the truth, let me suffer now!
In my heart I just know
That there’s no way to light up the dark
In his eyes».

(Donna Burke, “Sins of the Father”)

I soggetti atomizzati si ricostituiscono un’unità in un egual sentimento verso il capo che, sostiene Arendt, «in un’intima cerchia d’iniziati che diffonde intorno a lui un alone di impenetrabile mistero», è caratterizzato da un’«infallibilità perpetua» poiché «il capo appare al mondo esterno come l’unica persona che sa quel che sta facendo», oltre la verità.
Nel momento in cui il giocatore conduce Snake all’esecuzione dei suoi soldati, dei suoi compagni, questi ultimi si mettono sull’attenti, mano alla fronte e pronunciano parole che racchiudono l’essenza stessa della fedeltà tra gli uomini in terra: «we live and we die by your order».
Big Boss

Big Boss

The Phantom Pain – We are Diamond Dogs

«La guerra è pace.

La libertà è schiavitù.

L’ignoranza è forza».

(George Orwell, “1984”)

Big Boss si porta la guerra dentro sin da quando ha dovuto uccidere la persona che più amava solo per servire il suo paese. Poi, ha scoperto che quella donna solcava le rotte di un ideale che non avrebbe mai potuto seguire. Infine, un tradimento che l’ha costretto all’esecuzione dei suoi fratelli. Tutti loro sono arti amputati al suo animo, il dolore fantasma che ne consegue lo tormenta ogni notte, la sofferenza persiste senza motivo apparente.

Questo basta a rendere un uomo libero un demone tiranno, che pure rimane umano nelle sue contraddizioni e ipocrisie, fuori da ogni giurisdizione o norma, da ogni definizione di comodo.

Snake e i suoi Diamond Dogs sono tutto ciò che gli verrà richiesto di essere, il tempo deciderà, così come ha deciso per la nascita e la caduta dei regimi totalitari, così come lo farà per la democrazia e la libertà.

L’inferno e il paradiso si alternano su questa terra da tempi immemori, inutile tentare di opporsi: il controllo del totalitarismo è un’illusione momentanea, la ribellione una futile resistenza. Outer Heaven, la madre base di Big Boss, non è né l’uno né l’altra, ma entrambe, insieme se necessario. Nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa si può leggere una celebre frase: «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

I Diamond Dogs sono quel cambiamento che lascia le cose esattamente come sono: in uno stato di conflitto e, di conseguenza, mutamento perenne. «Not your kind of people» recita una canzone all’interno del videogioco, perché questo sono Snake e i suoi uomini. D’altronde, se è vero che i regimi totalitari fanno affidamento alla forza della paura, Big Boss rappresenta un qualcosa di ancor più ineluttabile: il cambiamento.

Big Boss: «We will forsake our countries. We will leave our motherlands behind us and become one with this earth. We have no nation, no philosophy, no ideology. We go where we’re needed, fighting, not for government, but for ourselves. We need no reason to fight. We fight because we are needed. We will be the deterrent for those with no other recourse. We are soldiers without borders, our purpose defined by the era we live in. We will sometimes have to sell ourselves and services. If the times demand it, we’ll be revolutionaries, criminals, terrorists. And yes, we may all be headed straight to hell. But what better place for us than this? It’s our only home. Our heaven and our hell. This is Outer Heaven».

Ogni fine nella storia contiene necessariamente un nuovo inizio, di questo era consapevole anche Hannah Arendt nel momento in cui guardava al suo tempo e al suo totalitarismo. Si serve, infatti, di una frase di Sant’Agostino: «Initium ut esset creatus est homo», affinché ci fosse un inizio è stato creato l’uomo, dice Sant’Agostino. Questo inizio è garantito da ogni nuova nascita; è in verità ogni uomo. Intendeva, con ogni probabilità, che gli uomini sono ontologicamente inizi e iniziatori.

A questo si agganci il finale di Metal Gear Solid V – The Phantom Pain, dove si scopre che in realtà, per tutto il tempo, non c’è stato nessun Big Boss, ma solo il giocatore che ne impersonava le fattezze.

Big Boss: «[…] And thanks to you I’ve left my mark. You have too, you’ve written your own history. You’re your own man. I’m Big Boss, and you are too… No… He’s the two of us. Together. Where we are today? We built it. This story – this “legend” – it’s ours. We can change the world – and with it, the future. I am you, and you are me. Carry that with you, wherever you go. Thank you… my friend. From here on out, you’re Big Boss».

Per tutto il tempo, giocando a Metal Gear, siamo stati i ribelli e siamo stati i tiranni, gli eroi e i villain, solo per scoprire che c’è un po’ di tutto questo nell’animo umano: un po’ Grande Fratello, un po’ Prolet. Il mondo ci ha invocato come salvatori, ci ha temuto come distruttori.

Col tempo, forse, guerra e politica si sposteranno sempre più dietro gli schermi, gestite da controller in mano ai soliti e ingenui esseri umani. L’opera di Hideo Kojima si sposa di certo, in un concetto, con quella della Arendt che riprende Agostino: l’uomo è un essere capace di cambiamento.

Il futuro è un po’ come un joystick, è nelle mani di chi lo impugna.

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