Tornare all’anormalità – Cartoline dal mondo post COVID-19

Gabriel Carlevale

Marzo 4, 2021

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La pandemia da COVID-19 ha drasticamente cambiato lo scenario mondiale dell’ultimo anno, segnando un profondo crinale tra il mondo che conoscevamo e quello che speriamo di tornare presto a vivere. In tempi difficili come questi, ancora di più, ci rendiamo conto di quanto l’arte, specie quella cinematografica, sia fondamentale per porre una lente d’ingrandimento su quelle situazioni che sfuggono alla narrazione quotidiana (volontariamente o no, a ognuno la sua opinione).

Capire il mondo, conoscerne le contraddizioni e provare a immaginare come queste difficoltà vadano a impattare in luoghi così apparentemente lontani. Raccontare storie come queste è di vitale importanza per il mezzo cinematografico che, dal suo avvento nelle nostre vite, è sicuramente diventato lo zenit dell’indagine antropologica.

Questo, e molto di più, sembra alimentare il sacro fuoco di Tornare all’anormalità (più complesso di un virus), documentario prodotto da Fujakkà – sostegno al cinema indipendente e Immagini da finis terrae: un viaggio intorno al globo, narrato da nove registi provenienti da Ecuador, Colombia, Cile, Italia, Spagna, USA, Brasile e Messico, che racconta autentici spaccati di vita in paesi già falcidiati da guerre civili e povertà che la pandemia ha contribuito ad alimentare.

Un’immagine delle strade deserte di Guayaquil, città simbolo dell’emergenza ecuadoregna raccontata nel capitolo 1 di Priscilla Aguirre Martínez

Un’opera necessaria che non vuole imporre una visione propria di quanto accade, ma lascia allo spettatore la libertà di interiorizzare i racconti e le immagini mostrate, scava fino alla radice del problema e si fa semplice osservatrice di una piccolissima parte delle storie che il nostro pianeta ha da raccontare.

Scorrendo le note di regia, troviamo una dichiarazione d’intenti che ci permette di capire quanto ci sia alla base di questo documentario: «c’è un panorama apocalittico, una visione macabra, una follia diffusa, che si stende come un velo sul nostro pianeta. Si trova sotto infinite vetrine e insegne luminose. Da più parti grida strazianti, diritti negati da argomenti difficili da sostenere, dignità soffocate».

Non negando l’oceano di paura e disperazione che il virus sta portando nelle nostre vite, e senza contestare nemmeno il terribile universo mediale che quotidianamente ci sommerge con bollettini, dati, interviste spietate agli esperti di turno e uscite infelici sui quotidiani, Tornare all’anormalità parte dagli Stati sudamericani per raccontarci altre porzioni di mondo.

Nel capitolo 1, la regista Priscilla Aguirre Martínez ci porta in Ecuador (e più specificatamente nella città di Guayaquil), mostrandoci il dramma delle migliaia di vittime lasciate morire in strada, a cui lo stato non può garantire una degna sepoltura, viste le cause di morte e l’impellenza di sopperire a problemi giudicati di maggior importanza.

Poco più a nord, nella Colombia del realismo magico, Lukas Jaramillo e Juan Pablo Patiño raccontano la quotidianità di Rosa e Fredy, moglie e marito prossimi alla vecchiaia che non mostrano – quasi con una bella dose di cinismo – nessuna paura verso il lockdown: la città dove vivono, Medellín, da oltre quarant’anni vive di lotte tra bande per il mercato della cocaina e la delinquenza dilagante, e per loro vivere barricati in casa non è altro che la normalità.

Girando per il mondo, Pauli Gutiérrez Arcos ci racconta l’esperienza necessaria del viaggio, del bisogno che abbiamo di vivere tra gli altri nel momento in cui, improvvisamente, il mondo inizia a fermarsi e l’arrivo in Cina, immaginato come l’apogeo del giro del mondo, diventa il presagio dell’imminente apocalisse da cui sfuggire il prima possibile nonostante, come la stessa regista affermi, «non importa quanto scappi, se la vita vuole insegnarti qualcosa ti troverà sempre».

Gene Sullivan, membro dell’NRA, racconta la “necessità” di avere un’arma di protezione in tempi di pandemia

In Italia, Stefano Virgilio Cipressi dà voce agli operai italiani da nord a sud, documentando le terribili condizioni di insicurezza in cui sono costretti a lavorare pur di portare il pane a casa: la totale mancanza di rispetto dei padroni, la paura di donne e uomini nel tornare a casa la sera con l’incubo di contagiare i propri cari e l’indistruttibilità del vecchio leitmotiv produci, compra, consuma, crepa.

Il capitolo spagnolo di Xabier Ortiz De Urbina mostra invece l’aumento del business legato alle RSA, luoghi tra quelli che hanno prodotto più morti durante la pandemia, mentre nei “democratici” Stati Uniti, Andrés Rico ci mostra l’effetto degli echi trumpiani nella voce di Gene Sullivan, convinto sostenitore del diritto dei cittadini statunitensi ad aver un’arma (o più) in casa per salvaguardare la propria vita, specie durante la pandemia.

Così come in America assistiamo agli effetti di una politica interna di stampo nazionalista, nel Brasile mostrato da Raíssa Dourado, i deliri del presidente Bolsonaro lo portano ad accusare le popolazioni indigene di aver appiccato volontariamente incendi nella foresta amazzonica. Accuse verso quelle stesse popolazioni che da essa ricevono il proprio sostentamento e che, da questa scellerata politica, non ricevono assistenza per la lotta al virus.

In Messico, alla fine del viaggio, Diana María González Colmenero, con voce fredda da cui non sembrano trasparire emozioni, elenca centinaia di donne uccise barbaramente dai loro compagni da gennaio a maggio 2020, nel pieno di una pandemia che, costringendo le donne in casa, le condanna a vivere nelle mani dei loro carnefici.

mondo

Gli spazi vuoti come lo sgomento di Diana María González Colmenero, che nel capitolo 8 racconta l’aumento di femminicidi durante il lockdown

Alla fine del viaggio, le immagini, le voci, le sensazioni che ci lascia Tornare all’anormalità (più complesso di un virus), sono quelle di un mondo terribilmente segnato dalla pandemia, ma già vittima di guerre silenziose ugualmente gravi.

Se tra le prossime battaglie che l’umanità si troverà davanti ci saranno anche quelle di restituire dignità e il diritto inviolabile alla vita di ogni singolo essere umano, una piccola, piccolissima parte, sarà anche grazie a opere di straordinario coraggio e necessità come questo documentario.

Leggi anche: Intervista a Stefano Virgilio Cipressi: Tornare all’anormalità (più complesso di un virus)

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