Akira – Quando l’uomo gioca a fare Dio

Michel Buraggi

Settembre 10, 2021

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Colonello Shikishima: «Mi chiedo se un tale potere non dovrebbe rimanere inviolato».
Dottore: «Si riferisce… al potere di Dio?».

In queste due brevi battute si nasconde forse il senso dell’intero Akira, film di animazione del 1988, diretto dal geniale Katsuhiro Ōtomo.
Ambientata nel 2019, trentuno anni dopo la fine di una fittizia terza guerra mondiale che ha parzialmente raso al suolo Tokyo, la pellicola segue gli eventi vicini a una giovane banda di motociclisti, capeggiata da Kaneda, ragazzo risoluto e autoritario, di cui fanno parte anche Kaisuke, Yamagata e Tetsuo.

In seguito a un incidente stradale quest’ultimo, che è anche il più fragile e insicuro dell’intero gruppo, rimane gravemente ferito. Verrà soccorso e prelevato dall’esercito, che eseguirà esperimenti sul suo corpo e sulla sua mente.

Akira è un film catartico che, indagando il rapporto tra l'uomo e Dio, porta alla luce paure e traumi di un Giappone mai del tutto guarito.

Il dottore e il colonnello Shikishima di fronte allo spettro mentale di Tetsuo

Tetsuo, si scoprirà poco dopo, nonostante le sue insicurezze, ha qualcosa che gli altri non hanno; lo spettro delle sue capacità mentali ricorda infatti quello di Akira. E difatti, dopo svariati esperimenti volti a stimolarne i poteri, Tetsuo si avvicinerà sempre di più a questa figura enigmatica, quasi leggendaria, arrivando a vederlo, sentirlo, e, infine, odiarlo.

Una lotta tra uomo e Dio, una lotta per il controllo

Ma perché odiarlo? Perché la conseguenza diretta di questa nuova interazione è l’odio, e non la curiosità? La risposta è nascosta, anche se in bella vista.
Non appena Tetsuo entra in contatto con Akira, la figura di quest’ultimo va subito a sovrapporsi con quella di Kaneda. Akira diventa infatti qualcuno di superiore a Tetsuo, di più forte, in controllo della situazione. È infatti Akira ad avere la capacità di entrare in contatto con Tetsuo, non il contrario.

Tetsuo però è stanco di essere debole, di essere insicuro. Ora il controllo lo vuole lui. E, forte di poteri superiori a quelli di chiunque gli si pari davanti, diventa un mostro alla ricerca della sua nemesi. Uccide, distrugge, esercita una violenza sconsiderata su chiunque provi a mettersi sulla sua strada. La sua diventa una vera e propria missione volta a strappare il controllo dalle mani di Akira. Chi è, o meglio, cos’è però, Akira?

Akira è un film catartico che, indagando il rapporto tra l'uomo e Dio, porta alla luce paure e traumi di un Giappone mai del tutto guarito.

Tetsuo, completamente accecato dalla collera

Akira è un involucro contenente il potere di Dio. È il frutto di svariati miracoli di genetica e infiniti esperimenti, il dito di Adamo che sfiora quello del suo Creatore, il tentativo umano di raggiungere il divino. Ma è un fallimento.

Il potere di Akira è infatti troppo grande, non può essere controllato, e di conseguenza esplode, deflagra, e l’arma che doveva aiutare a vincere la terza guerra mondiale, perché di un’arma stiamo parlando, porta invece a una sanguinosa fine, fatto solo di autodistruzione e di sconfitta. Akira diventa così il simbolo ultimo dell’infinita sete di potere umana, la metafora di una razza che come Icaro prova in continuo a raggiungere il Sole, ma che ogni volta finisce per precipitare.

Tetsuo ha dentro di sé una porzione del potere di Akira. Ha un frammento del potere di Dio, un potere che l’umanità non dovrebbe azzardarsi a voler toccare. Perché se le intenzioni iniziali sono sempre quelle della ricerca, del potere, della vittoria, gli esiti sono ogni volta disastrosi.
E infatti, l’annientamento segue entrambi.

Akira è un film catartico che, indagando il rapporto tra l'uomo e Dio, porta alla luce paure e traumi di un Giappone mai del tutto guarito.

L’annientamento causato dal risveglio di Akira

Akira – Molto più di una semplice pellicola

Così, con un brillante parallelismo, Katsuhiro Ōtomo smette di parlare delle vicende di qualche giovane centauro e della corruzione del governo di New Tokyo, e comincia a parlare del Giappone, del suo Giappone. Un paese ferito, traumatizzato, in costante ricerca di una catarsi. Un paese che non ha dimenticato la Guerra, e porta ancora fresca nella memoria le tragedie del 6 e del 9 agosto 1945, quando “Little Boy” e “Fat Man” rasero al suolo rispettivamente Hiroshima e Nagasaki.

Due bombe, due armi di distruzione di massa, che come Akira e Tetsuo deflagrano e uccidono civili in maniera indiscriminata. Ma Ōtomo non si ferma qui, vuole portare la catarsi a un livello ulteriore, dargli un volto, e così Tetsuo diventa sineddoche. Strappa un drappo rosso, se lo mette sulle spalle, e con una sola mossa diventa un simbolo, diventa Superman, diventa l’America.

Akira è un film catartico che, indagando il rapporto tra l'uomo e Dio, porta alla luce paure e traumi di un Giappone mai del tutto guarito.

Tetsuo/Superman

Ma c’è una differenza.
Infatti, se i poteri di Tetsuo e Superman sono quasi identici, ciò che cambia sono le conseguenze. Non è un caso che a ogni utilizzo dei suoi poteri, Tetsuo lasci dietro di sé crateri. Crateri. Non una scia di distruzione qualsiasi, ma conche prive di vita, devastate dal peso di un potere troppo grande per poter essere controllato.

E così Superman, l’eroe perfetto, quello i cui poteri straordinari derivano dal Sole, Sole che (ironia della sorte) in passato era tanto adorato dal popolo giapponese, viene reimmaginato. Diventa la personificazione del sopruso, della reazione violenta, ma soprattutto della bomba, dello sterminio di massa.

Akira – Le cicatrici di un Giappone mai guarito

Il personaggio di Tetsuo, se visto sotto questa chiave interpretativa, cambia drasticamente. Le sue azioni non sono più solo quelle di un ragazzino, ma fanno eco a quelle di un paese straniero, lontano. Dapprima oggetto di soprusi da parte di qualcuno più autoritario, Kaneda o l’Inghilterra che sia, Tetsuo/America strappa la sua indipendenza con la forza. Quando però, nonostante la sua superiorità, il suo controllo viene messo in discussione, ciò che segue è la violenza indiscriminata.

A farne le spese, come al solito, sono i civili, che nella pellicola come ormai troppo spesso nella vita reale, vengono massacrati. E l’esito finale? Quello, ci dice l’autore, quasi con preveggenza, è l’autodistruzione. Interessante notare, infine, come in quest’opera di Katsuhiro Ōtomo compaia un’interessante rimando alla filosofia hegeliana per cui la guerra, la morte, scaturite in questo caso dal ritorno di Akira, vengano viste da un gruppo di fanatici e rivoluzionari, capeggiati da un politico non a caso ipocrita e corrotto, come una soluzione per i cittadini di New Tokyo alla «putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua» (Lineamenti della Filosofia del Diritto § 324). In questo caso, risulta evidente la condanna dell’autore nei confronti di tale pensiero.

New Tokyo, per la seconda volta annichilita

Quella di Katsuhiro Ōtomo è una storia incredibile. Akira riesce, in poco più di due ore, a condensare le paure, le ansie, i traumi di un intero popolo. I crateri, le bombe, lo sterminio, sono ancora una cicatrice per un intero popolo, cicatrice resa bruciante, giorno dopo giorno, generazione dopo generazione, dalla consapevolezza che il crimine che l’ha causata sia rimasto impunito. Perché chi l’ha perpetrato sono stati i vincitori.

Leggi anche: Akira – L’Eterno Ritorno

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