Les Triangles Amoureux – Bande à part e il grido della Nouvelle Vague

Francesco Malgeri

Novembre 12, 2021

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Approcciarsi all’analisi di un film che ruota intorno all’espediente del triangolo amoroso spinge a esordire con una domanda: cosa s’intende con triangolo amoroso? Esistono delle regole, delle linee guida che si è tenuti a seguire per poter definire tale il triangolo amoroso? Esiste una struttura, dei confini all’interno dei quali il suddetto espediente debba muoversi per aver diritto a una simile etichetta? Se la risposta è sì, allora Bande à part non è un film su un triangolo amoroso.

Come la stessa ricerca della Nouvelle Vague, e di Jean-Luc Godard stesso, esplode in un’atmosfera di profonda spinta al cambiamento, al sovvertimento, alla sperimentazione, lo stesso nucleo (non) narrativo del film, che segue una linea in quasi totale contraddizione con il classico e il tradizionale.

Visto sotto questa luce, esplorato secondo queste premesse, allora è possibilissimo e quasi indicato affermare che sì, Bande à part è un film su un triangolo amoroso.

L’innesco di Bande à part

È una Parigi pigra, quasi quanto i due protagonisti maschili, la cornice entro la quale si muove la camera di Godard; e in un’atmosfera del tutto ordinaria, i sopracitati protagonisti, Franz e Arthur (Sami Frey e Claude Brasseur), s’imbattono nella possibilità di approfittare della compagna di classe Odile (Anna Karina, tra i volti più iconici della Nouvelle Vague).

Il termine “approfittare” indurrebbe a immaginare quali siano i secondi fini dei due amici nell’approccio alla graziosa Odile; tuttavia, nelle loro mire vi è in realtà tutt’altro. Ed è questo tutt’altro a innescare il meccanismo non proprio tradizionale del triangolo di Bande à part, nonostante la sua rilevanza ci sia suggerita già dal titolo in sovrimpressione, accompagnato dal susseguirsi quasi frenetico dei tre primi piani dei protagonisti.

Innesco che, tuttavia, rimane innesco: l’esplosione, l’accadimento, la svolta interna che dovrebbe portare a qualcosa è di fatto assente. Bande à part è uno scorcio su un’ordinaria giornata di tre giovani, le cui vite vengono mostrate senza il bisogno di essere raccontate.

L’unica spinta narrativa, se vogliamo, è data appunto dall’approccio iniziale dei due amici alla giovane Odile, corteggiata a turno dai due con l’unico obiettivo di derubarle la ricca zia. Il ritmo dell’intera giornata è scandito come una marcia d’avvicinamento a ciò che dovrebbe avvenire la notte stessa, ma di fatto non mostra che una serie di situazioni nelle quali i protagonisti non agiscono né prendono una reale posizione; semplicemente, vi si trovano, galleggiano nelle circostanze, nel più casuale e occasionale dei modi. La trama, lo sviluppo drammatico, perde d’importanza a favore dell’utilizzo che il regista compie del materiale filmato a disposizione.

Il quadro di Bande à part

Il meccanismo relazionale del triangolo amoroso viene rivisitato, ribaltato. I dialoghi interni tra i tre protagonisti, in questo senso, scardinano le regole e i canoni di trent’anni di cinema classico, le cui raisons d’ètre vengono azzerate. Lo spettatore non è più messo al centro della narrazione, immedesimato e sedato dai rapporti instauratisi tra i personaggi, bensì posto di fronte, distaccato, come se l’autore volesse render chiaro che il confronto tra prodotto cinematografico e fruitore esiste, ed è necessario che esista.

Non a caso Godard è uno dei registi moderni che più attinge dalle teorie brechtiane: nel teatro come nel cinema, il contatto è paritario tra regista e spettatore e rende chiara l’artificialità di ciò che appare sullo schermo. Ogni dettaglio più insignificante, fino allora trascurato dai codici della narrazione tradizionale, viene valorizzato, messo in luce: dal movimento di una mano, a un cenno delle labbra, a un semplice sguardo nel silenzio.

Secondo capitolo della rubrica sui triangoli amorosi nella storia del cinema francese, incentrato su Bande à part di Jean Luc Godard
Odile

Bande à part, in particolare, pratica un’opera di quasi parodizzazione dei manierismi dell’industria americana (come nella scena della morte di Arthur), ma l’intera produzione godardiana del primo periodo (dall’inizio degli anni ’60 al tramonto del decennio) sovverte gli stili drammatici tradizionali, da Fino all’ultimo respiro a La Cinese, da Questa è la mia vita a Una donna sposata (altro film nel quale il triangolo amoroso gioca un ruolo di rilievo).

Il regista parigino è padrone e manipolatore dellimmagine, un’immagine che nella sua riproducibilità può essere rivoltata, risentita, ripensata. Già nel solo Bande à part gli esempi sono numerosi e variegati: il famigerato minuto di silenzio (in realtà 35 secondi), la celebre scena del ballo all’interno del bar, la corsa attraverso il Louvre omaggiata quarant’anni dopo da Bernardo Bertolucci; tutti elementi che pongono il regista e il suo sguardo al di sopra dell’autonomia interna del raccontato, dello schema narrativo e semantico del triangolo di personaggi. Schema dapprima ritenuto intoccabile, ma che attraverso Godard diventa materia malleabile, modificabile, sovrapponibile.

La modernità del precursore della Nouvelle Vague sta proprio in questo: testimoniare senza orchestrare, mostrare una realtà senza il bisogno di stravolgerla a favore del racconto. E senza la necessità di enormi costi di produzione, a riprova di come l’eredità del neorealismo abbia trovato terreno fertile nella volontà e nella passione dei giovani turchi dei Cahiers du cinéma.

La chiave di Bande à part

Al di là di ogni analisi e ogni disamina, spesso basta una singola scena a iconicizzare lo scenario artistico che avvolge l’autore e l’opera in questione; la scena della corsa al Louvre, inserita da Godard solamente per paura che il girato totale fosse troppo corto e interamente improvvisata sul momento, riflette limpidamente la realtà che i precursori della Nouvelle Vague s’impegnavano a testimoniare.

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