Verifica Incerta – Il massacro di Hollywood in stile Dada

Tommaso Paris

Maggio 22, 2024

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«Lo spettacolo è il capitale a un tal grado d’accumulazione da divenire immagine»

(Guy Debord, La società dello spettacolo, 1968)

Se Dio è filosoficamente morto con l’annuncio nietzschiano nel 1882, con la fine della Seconda guerra mondiale la morte di Dio si fa materia concreta e tangibile ai più. Tuttavia, come insegna la storia umana, morto un Papa se ne fa un altro. Ed ecco che il mutaforma divino trova la propria espressione nel moderno capitale – annunciato da Karl Marx morto nel 1883.

In questa trasversale catena di morte-rinascita, intorno agli anni ’60, il situazionista Guy Debord diviene voce collettiva di una disparata serie di teste – da Pasolini ad Adorno, da Marcuse a molti altri -, individuando un termine che catturava l’evolversi della società occidentale rivelando la frantumazione e la separazione tra le soggettività e il mondo intorno: lo spettacolo.

«Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini. (…) Lo spettacolo si presenta nello stesso tempo come la società stessa, come parte della società, e come strumento di unificazione. In quanto parte della società, esso è espressamente il settore più tipico che concentra ogni sguardo e ogni coscienza. Per il fatto stesso che questo settore è separato, è il luogo dell’inganno visivo e della falsa coscienza; e l’unificazione che esso realizza non è altro che un linguaggio ufficiale della separazione generalizzata».

(Guy Debord, La società dello spettacolo, 1968)

Ne La società dello spettacolo (1968), Debord cristallizza il problema e accenna una soluzione pratica: il situazionismo. L’Internazionale Situazionista, negando e al tempo stesso affermando, si attuava attraverso la creazione di situazioni, sociali e artistiche, volte all’aggregazione e all’esperienza artistico-culturale collettiva, tentando di riportare attività e volontà creativo-affermative nelle soggettività agenti.

Ora, se si volesse realizzare un film? Ma soprattutto, se si volesse girare un film che vada contro le logiche della società dello spettacolo? Se si volesse girare un film che metta in crisi i valori e i miti propagandati dall’industria culturale? Se si volesse girare un film che renda attivo sia chi lo realizza sia chi ne fruisce?
Leninianamente «che fare?», si chiede Alberto Grifi.
Debordianamente «Verifica Incerta», risponde Alberto Grifi insieme a Gianfranco Baruchello, «un massacro cinematografico di film hollywoodiani famosi rimontati pensando al Dada».

Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi

«Che fare? Girare un film antagonista per dire come la pensavamo noi avrebbe significato mettere in moto la macchina dei soldi, i ruoli separati della gerarchia del set, le prestazioni salariate, insomma la riproduzione di quel cinema-fabbrichetta che volevamo contrastare. Ma distruggere le storie che loro, quelli di Hollywood, confezionavano così bene, ecco, farle a pezzi e rimontarle. Ci impossessammo di un camion di film cinemascope che avevano terminato l’ultimo stadio di distribuzione, li mettevamo in moviola, una vecchia Prevost col piano di legno. Intrecciavamo tempi e luoghi diversi: cowboys che si sparavano da film differenti, turisti in vacanza sullo sfondo di cieli di cartone borbardavano la porta aerei dei marines»

(Alberto Grifi, Perchè, da un sottoscala, facemmo a pezzi Hollywood, 1981)

Così, nel 1964, il filmmaker sperimentale Alberto Grifi e il pittore Gianfranco Baruchello, comprarono 150 mila metri di pellicola del grande cinema hollywoodiano destinata al macero dopo aver completato il percorso distributivo.
47 gloriosi film degli Stati Uniti d’America per 15 mila lire.

8 mesi a selezionare, scartare e ricomporre il materiale, decostruendo la pellicola originale e montando degli spezzoni di film ricercando somiglianze per soggetto o per azione. Grifi e Baruchello decontestualizzano l’oggetto filmico privandolo della cornice che ne ricama il significato, realizzando con il metodo dadaista una sorta di ready-made duchampiano di stampo cinematografico.

La discontinuità, la frammentazione e l’aporia divengono modus operandi, rendendo Verifica Incerta un anti-film e istituendo una nuova forma del linguaggio cinematografico attraverso una de-costruzione dello stesso.
L’immagine – essendo già fatta e, al tempo stesso, ancora da fare – si fa dialettica, acquisisce significato in relazione con le altre e trova la propria sintesi nel tutto.
La sceneggiatura, infatti, era il punto di arrivo, non di partenza.

Nel frattempo, incarnando spirito situazionista, Baruchello creava dei piccoli happening ironici che accompagnavano la realizzazione del film: come la creazione di una contabilità immaginaria che teneva conto delle spese di attori e della troupe, o delle lettere immaginarie di corrispondenza tra gli attori e gli autori sulle possibilità drammaturgiche dei personaggi.

Marchel Duchamp – presente in una scena di Verifica Incerta

Ma di questi 150 mila metri di pellicola, cosa ne è uscito?
Un montaggio di 35 minuti, dai quali, alla fine, è emersa una storia.

Eddie Spanier è il non-protagonista – il più presente e prelevato da un film qualsiasi -, sintesi molteplice e collettiva di tutti i personaggi presenti nei 47 film.
Eddie Spanier è un personaggio filmico proteiforme, incarnazione di tutte le rappresentazioni mitopoietiche degli Stati Uniti che, con i medesimi valori e i medesimi sogni, di scopre essere una presenza assente, fisionomia senza volto, vuota dissoluzione.
Nel film il personaggio si trova a lottare con vichinghi, etruschi, faraoni, ladri giapponesi, indiani ecc., per poi risolversi, portare a termine la propria missione e ottenere il lieto fine.

Verifica Incerta mostra dunque, come tutte le storie prese in esame siano uguali e perfettamente intercambiabili, rivelando il carattere mitopoietico e propagandistico del cinema statunitense nell’era della grande Hollywood intesa come fabbrica di sogni e, dunque, di uomini.

Verifica Incerta

Verifica Incerta venne proiettato per la prima volta a Parigi presso la Cinémathèque française nel maggio del 1965, presentato da Marcel Duchamp, cui era dedicato, davanti a un pubblico d’eccezione che comprendeva Man Ray, Max Ernst e John Cage che, entusiasta , lo presentò al New York Museum of Modern Art.

In pieno spirito situazionista, il film doveva essere distrutto e gli spezzoni della pellicola donati al pubblico, completando il processo di morte-rinascita e realizzazione-distruzione che fino ad allora aveva accompagnato il modus creativo e situazionista dell’opera. Tuttavia, visto l’apprezzamento e i lunghi 8 mesi di produzione, si decise di compere il ciclo certificando Verifica Incerta (da cui, tuttavia, derivò molti anni dopo Blob di Enrico Ghezzi)

Verifica Incerta fu per Baruchello un esercizio linguistico, mentre per Grifi una forma di anti-potere.

I due autori hanno pensato, distrutto, smontato, ripensato e trasformato il linguaggio cinematografico attraverso il cinema stesso.

Verifica Incerta fu un atto rivoluzionario oltre che avanguardistico poiché, sia nella realizzazione che nella fruizione, si situa al di fuori delle logiche sistemiche della società dello spettacolo, in funzione di una soggettività attiva, consapevole e in evoluzione.

Leggi anche: L’industria culturale di Hollywood – Fabbrica di sogni e di uomini

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